Il danno non patrimoniale contrattuale

Il risarcimento del danno non patrimoniale, riconosciuto dall’art. 2059 c.c., grazie ai progressivi approdi evolutivi della giurisprudenza di legittimità, è pacificamente ammesso anche in ipotesi di responsabilità da inadempimento della prestazione di cui all’art. 1218 c.c. La condanna al relativo risarcimento, ad ogni buon conto, non può prescindere dall’accertamento della serietà e gravità della lesione di un diritto della persona costituzionalmente garantito, nonché dai limiti di cui agli artt. 1223, 1225 e 1227 del codice civile.
Il risarcimento del danno non patrimoniale: l’orientamento tradizionale.
Quella della risarcibilità del danno non patrimoniale contrattuale rappresenta una questione fortemente dibattuta in giurisprudenza. Ad un iniziale orientamento negativo, si è affiancato successivamente un indirizzo favorevole, che, ad oggi, risulta essere oramai pacificamente prevalente. Attualmente, dunque, in dottrina ed in giurisprudenza viene riconosciuta la risarcibilità del danno non patrimoniale, anche in ipotesi di responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. L’art. 2059 c.c. non attribuirebbe il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale nell’esclusivo ambito dell’illecito aquiliano, ma ne enuncerebbe in via generale i limiti. Sicché l’assenza di una norma equivalente all’art. 2059 c.c. in campo contrattuale non deve essere interpretata come esclusione della figura del danno non patrimoniale in tale ambito.
L’istituto del risarcimento del danno non patrimoniale ha conosciuto un percorso evolutivo che ne ha sancito la progressiva estensione delle casistiche di applicazione. Dal danno non patrimoniale derivante da reato si è arrivati a riconoscere la risarcibilità qualsivoglia sofferenza seria ed apprezzabile, ad oggi distinte a fini meramente descrittivi nelle categorie del danno morale, biologico ed esistenziale[1].
Il riconoscimento della risarcibilità del danno non patrimoniale nella responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. rappresenta un ulteriore risultato pretorio, raggiunto grazie al superamento di un orientamento giurisprudenziale tradizionale ancorato ad una lettura restrittiva dell’art. 2059 c.c.
La posizione inizialmente assunta dalla giurisprudenza sosteneva, infatti, l’inammissibilità del risarcimento del danno non patrimoniale contrattuale, sottolineando l’attinenza della relativa disposizione ai soli casi di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. Essa faceva leva sul dato topografico e, dunque, sull’assenza di una norma analoga a quell’art. 2059 c.c. nella sezione codicistica dedicata alla responsabilità da inadempimento. Di poi, tale orientamento sottolineava, altresì, la componente esclusivamente economica del danno da inadempimento richiesta dal codice civile. L’art. 1223 c.c. sancisce che “il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. Dalla lettura della norma sembrerebbe escludersi, quindi, la possibilità di risarcire un pregiudizio che non presenti carattere patrimoniale.
L’orientamento attuale favorevole al risarcimento del danno non patrimoniale nella responsabilità da inadempimento.
La giurisprudenza odierna, invece, supera gli apparenti ostacoli frapposti dalle disposizioni normative suindicate, puntualizzando la funzione disciplinatoria dell’art. 2059 c.c. Sicché, secondo l’orientamento prevalente, il Legislatore attraverso la norma in menzione non ha inteso attribuire il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in campo aquiliano, intendendo semplicemente indicarne in generale i limiti operativi.
Tale lettura consente, dunque, di estendere i confini del danno non patrimoniale, riconoscendone la risarcibilità, altresì, in ipotesi di responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c.
L’ambito di applicazione si fa più ampio se si considera, in aggiunta, la possibilità che le parti hanno grazie al principio di autonomia contrattuale di oggettivizzare in seno ad un negozio giuridico i più disparati interessi non patrimoniali, purché superino il vaglio di meritevolezza ordinamentale.
A riguardo, però, non sono mancate le critiche di parte della dottrina, dal momento che il riconoscimento del suesposto assunto implicherebbe l’accoglimento della domanda risarcitoria relativa al danno non patrimoniale derivante dalla violazione di qualsivoglia un dovere, che si ponga come conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento della prestazione[2]. Non verrebbe valorizzato, dunque, il limite della rilevanza della lesione dell’interesse costituzionalmente rilevante ex art. 2 Cost., considerato valvola di sfogo della nuova lettura della figura, “relativamente tipica”, del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.
Tale posizione è stata condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, che ha, infatti, richiesto il superamento del vaglio di meritevolezza costituzionale degli interessi non patrimoniali oggettivizzati in contratto, ai fini della risarcibilità del consequenziale danno non patrimoniale[3].
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I limiti operativi sull’an e sul quantum del risarcimento.
Ciò posto, il riconoscimento danno non patrimoniale contrattuale non è illimitato. A tal proposito, si sostiene l’operatività altresì dei limiti della serietà della lesione, dell’apprezzabilità del pregiudizio e dell’irrilevanza dei danni anormali, seguendo le coordinate della causalità materiale e giuridica[4].
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, infatti, il danno non patrimoniale è risarcibile solo se significativo. È richiesta, dunque, la sussistenza di una lesione seria e grave da cui conseguano pregiudizi sufficientemente apprezzabili. Sicché è irrilevante e non risarcibile il danno non patrimoniale che non presenti siffatte caratteristiche. Non è sufficiente nemmeno la ritenuta sussistenza della violazione di un diritto della persona costituzionalmente garantito ex art. 2 Cost. La cosiddetta clausola bagatellare vale, altresì, per il danno non patrimoniale da reato, posto che la valutazione di serietà della lesione e gravità dei pregiudizi non può essere rimessa a giudizi aprioristici. È necessario che il giudice di merito accerti in concreto la natura e la rilevanza dei pregiudizi non patrimoniali subiti.
Da ultimo, la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento segue i criteri di quantificazione di cui agli artt. 1223, 1225 e 1227 c.c.
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 1223 c.c. sarà risarcito, dunque, il pregiudizio non patrimoniale che risulti essere conseguenza immediata e diretta della contestata lesione del diritto della persona costituzionalmente garantito, purché prevedibile. Il Legislatore imputa a carico del debitore il risarcimento dei soli danni che questi abbia potuto prevedere nel momento in cui ha assunto il vincolo obbligatorio. Sono, quindi, esclusi i danni che esorbitano la sfera della prevedibilità e del controllo del debitore. Non sarebbe conforme al regime ordinario di responsabilità per colpa imputare al debitore, altresì, quei danni che non siano conseguenza diretta della condotta colposa di inadempimento ovvero di inesatto adempimento della prestazione.
Sono, in più, esclusi i danni non patrimoniali alla cui produzione o al cui aggravamento abbia concorso il creditore con propria condotta colposa. Ai sensi dell’art. 1227 c.c., infatti, la quantificazione del danno sarà diminuita in considerazione dell’irrilevanza ai fini del risarcimento di quei danni causalmente riconducibili al fatto colposo del creditore ovvero a quegli ulteriori che questi, parimenti, avrebbe potuto evitare secondo diligenza. I doveri di solidarietà sociale, sanciti dall’art. 2 Cost., si traducono in obblighi positivi e negativi di cooperazione da parte del creditore. Si richiede, dunque, in ossequio al principio di buona fede e correttezza, che anche il creditore ponga in essere condotte finanche attive, volte ad agevolare ed a rendere possibile l’adempimento della prestazione da parte del debitore, purché tale impegno non esorbiti il limite del sacrificio apprezzabile. Tale lettura si ripercuote anche in punto di quantificazione del danno risarcibile, secondo le coordinate normative innanzi riportate.
Questi limiti sono stati criticati da una parte della dottrina che ritiene inaccettabile limitare il risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dalla violazione di diritti fondamentali della persona. A detta di tale indirizzo minoritario, sarebbe un paradosso marginalizzare le microlesioni non patrimoniali di siffatta natura, escludendoli dall’alveo dei danni risarcibili.
L’orientamento dominante, invece, sostiene e conferma la fondatezza dei suesposti limiti operativi al risarcimento del danno non patrimoniale da contratto, dal momento che tale impostazione risulta coerente con la tipicità del danno non patrimoniale desumibile dalla lettura dell’art. 2059 c.c. La limitazione della serietà della lesione e della gravità dei pregiudizi non patrimoniali conseguenti, nonché quelle ulteriori di cui agli artt. 1223, 1225 e 1227 c.c., consentono di evitare un’eccessiva dilatazione del campo del danno non patrimoniale. Consentendo, diversamente, la risarcibilità del danno non patrimoniale da lesione di qualsivoglia diritto della persona, si rischierebbe di rendere atipico un istituto che il dato positivo richiede sia tipico e, quindi, confinato entro precise perimetrazioni normative. Si tratta quindi di razionalizzare l’utilizzo dell’istituto in commento, evitando fenomeni di rivendicazione di risarcimento a titolo di danno non patrimoniale di quelle che in concreto risultano essere mere molestie, giuridicamente irrilevanti sul piano civilistico. Si pensi all’effettivo e vero paradosso dell’ipotetico caso in cui sia risarcito un danno nunziale da smarrimento delle foto del matrimonio, un danno da black-out elettrico circondariale ovvero un danno da corteggiamento molesto.
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Note
[1] Cass., SS. UU., sentt. nn. 26972 e 26975, 11 novembre 2008.
[2] Ziviz, Procida Mirabelli Di Lauro.
[3] Cass., SS.UU. sent. n. 27337/2008.
[4] Cass. SS. UU., sent. n. 3727/2016. In dottrina, Delli Priscoli.

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