Il danno da nascita indesiderata può essere provato anche per presunzioni
precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. Un., 22/12/2015, n. 25767 e, da ultimo Cass. civ. Sez. 3, Sent., 11-04-2017, n. 9251;
riferimenti normativi: Legge 194 del 1978 art. 6;
Fatto
I due genitori di un minore affetto da gravi patologie convenivano in giudizio un’azienda ospedaliera al fine di richiedere il risarcimento dei danni per la nascita indesiderata del figlio. In particolare, la madre sosteneva che alla 21ª settimana di gestazione aveva effettuato un’ecografia presso il reparto di ostetricia dell’ospedale, all’esito della quale non era stata diagnosticata alcuna malformazione e che, tuttavia, la stessa aveva successivamente partorito il proprio figlio affetto da patologie agli arti superiori talmente gravi da determinarne l’invalidità totale e permanente al 100%.
Secondo l’attrice, quindi, l’ospedale risultava inadempiente a causa dell’errore compiuto dal medico nella diagnosi prenatale effettuata con la suddetta ecografia, in quanto non aveva individuato le malformazioni del feto e quindi non aveva informato di ciò i genitori. Tale inadempimento imputabile all’ospedale aveva determinato l’impossibilità per la madre di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza. In considerazione di ciò, entrambi i genitori avevano subito gravi danni da un punto di vista psichico e della qualità della vita a causa della suddetta nascita indesiderata.
Il tribunale di Brescia accoglieva la domanda formulata dagli attori e condannava l’ospedale a corrispondere 250.000 € a favore della madre e 200.000 € a favore del padre, come risarcimento per non aver potuto esercitare la facoltà di scegliere se proseguire comunque con la gravidanza e partorire il figlio oppure se interrompere detta gravidanza in considerazione delle malformazioni del feto (il Giudice, in particolare, la qualifica come perdita di chance).
La sentenza veniva poi impugnata dall’ospedale convenuto e la corte d’appello di Brescia accoglieva l’appello, escludendo il diritto dei coniugi al risarcimento dei danni per la perdita della suddetta possibilità di scelta.
In particolare, la corte di secondo grado riformava la sentenza di primo grado in considerazione del fatto che gli attori, cioè i genitori del minore, non avevano assolto all’onere probatorio sui medesimi gravanti relativo al fatto che la madre, nel caso in cui fosse stata informata delle malformazioni del feto, avrebbe effettivamente interrotto la gravidanza in considerazione del sorgere di un grave pericolo per la propria salute. Tale decisione veniva motivata dal giudice d’appello in base al fatto che la malformazione di cui è affetto il figlio degli attori non impedisce allo stesso di svolgere le attività fisiche e soprattutto quelle psicologiche e pertanto non sussisterebbero i requisiti per consentire l’interruzione di gravidanza ai sensi della relativa legge; inoltre, secondo la Corte d’appello, anche in considerazione di ciò, non poteva ritenersi acquisita la prova che la madre avrebbe interrotto la gravidanza, attraverso il ricorso alle presunzioni.
Nonostante la riforma della sentenza di primo grado su tale aspetto, la corte di appello, però, riconosceva che l’omessa diagnosi e la conseguente mancata informazione da parte del medico ospedaliero, avesse comunque causato un danno ai coniugi consistente nella lesione del loro diritto a conoscere la malformazione del feto in modo da potersi preparare, da un punto di vista psicologico e materiale, all’arrivo di un figlio che presentava delle malformazioni; pertanto, il Collegio ha riconosciuto un risarcimento di euro 60.000 alla madre euro 40.000 al padre.
La sentenza d’appello veniva quindi ricorsa in cassazione dagli attori.
La decisione della Corte
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso proposto dai genitori del bambino fondandolo su due principi, pacificamente riconosciuti dalla giurisprudenza delle sezioni unite della stessa cassazione:
In primo luogo, che grava sul genitore, il quale agisce per il risarcimento del danno per omessa diagnosi prenatale, l’onere probatorio in ordine al fatto che, se il sanitario avesse correttamente informato la madre circa la presenza di malformazioni del feto, quest’ultima avrebbe scelto di interrompere la gravidanza;
in secondo luogo, che i genitori possono assolvere il suddetto onere probatorio attraverso la semplice presunzione, deducendo la scelta abortista della madre dalle circostanze di fatto che sono state provate durante l’istruttoria giudiziale (come, per esempio, il fatto che la madre durante la gravidanza abbia consultato il medico per conoscere lo stato di salute del nascituro, il fatto che la gestante avesse delle precarie condizioni psicofisiche oppure ancora il fatto che la madre avesse precedentemente manifestato le proprie idee circa l’interruzione di gravidanza se si fosse trovata in una situazione del genere);
in terzo luogo che, assolto l’onere probatorio da parte dei genitori nel suddetto modo, grava al contrario sul medico la prova che la madre non avrebbe invece scelto l’interruzione di gravidanza.
Secondo la suprema corte, quindi, il giudice di secondo grado ha errato nella misura in cui ha escluso che i genitori potessero fornire la prova di cui sopra attraverso delle presunzioni per il semplice fatto che la malformazione del loro figlio non sarebbe grave poiché non incide sullo svolgimento di attività fisiche e soprattutto psichiche.
D’altra parte, prosegue il supremo collegio, il pacifico orientamento giurisprudenziale di legittimità permette il ricorso alle presunzioni per fornire la prova di cui sopra senza stabilire che esso possa essere utilizzato solo nei casi di malformazioni gravi oppure quando esse siano relative alle capacità intellettive del soggetto.
In considerazione di tali riflessioni, la sentenza d’appello è stata cassata e la cassazione ha rinviato ad una diversa sezione della corte d’appello di Brescia affinché questa, in considerazione delle prove acquisite durante l’istruttoria giudiziale, valuti se da un punto di vista probabilistico vi è stata la lesione del diritto della madre di scegliere se interrompere la gravidanza o proseguirla.
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