Il contratto di permuta
L’art. 1552 del codice civile definisce la permuta come il contratto avente ad oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o di altri diritti da una parte all’altra.
Corrisponde alla negoziazione più antica e rudimentale, propria di sistemi economici primitivi, nei quali la moneta non si sia ancora affermata come misuratore degli scambi.
In riferimento ai caratteri fondamentali del contratto, la permuta possiede come la vendita, una natura consensuale.
Ai fini del conseguimento dell’effetto traslativo basta che si sia perfezionato il consenso delle parti (ex art. 1376 c.c.).
Non è necessaria la consegna delle cose, gli effetti reali della stipulazione si producono automaticamente, divenendo ciascuno dei permutanti titolare del diritto oggetto dello scambio esclusivamente per il fatto del perfezionamento del vincolo negoziale.
Si tratta di un contratto qualificato da attribuzioni corrispettive, e ciascuna di esse si pone come giustificazione dell’altra.
La contrattazione è contrassegnata da due parti, i centri di interesse possono essere esclusivamente due, anche dandosi la possibilità che ciascuna delle parti sia composta da più soggetti.
Sulla natura commutativa della permuta bisogna fare alcune precisazioni.
La dicotomia commutatività/aleatorietà deve essere ricercata non tanto dal punto di vista giuridico, ma economico, che dipende strettamente dall’intento delle parti, che si riferisce alla modulazione dell’elemento dell’equivalenza delle prestazioni, sembrando evidente come la permuta, allo stesso modo di altri contratti, sia di per sè neutro riguardo la riferita qualificazione.
Se si può dire che nella normalità dei casi il contratto sarà connotato dalla commutatività, non si potrà escludersi che esso venga in concreto ad assumere una aleatorietà “volontaria”, vale a dire concretamente riferita all’elemento causale dalle parti (ex art.1469 c.c.), basti pensare alla permuta di cosa presente contro cosa futura, nella quale il bene non attualmente esistente da trasferire sia previsto come di incerta futura esistenza, senza che, a causa di questo rischio, venga meno l’attribuzione corrispettiva del trasferimento della cosa che già esiste a carico dell’altra parte.
Bisogna inoltre riferire della differenza tra permuta ed altre specie negoziali.
La struttura dell’atto permutativo non può che consistere nella reciprocità delle attribuzioni traslative.
Al più è possibile che una o anche entrambe siano differite riguardo l’elemento temporale, perché attinenti a beni futuri, altrui o generici, basti pensare alla permuta di cosa esistente contro cosa futura o tra cose generiche.
La condotta del permutante successiva alla stipulazione non può venire in esame sotto il profilo di un’obbligazione primaria di facere, altrimenti venendo in considerazione una differente specie negoziale.
Basti pensare al contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa a fronte del corrispettivo che consistein un facere infungibile dell’altra parte, ad esempio un mobile antico contro l’obbligazione di dipingere un quadro.
Si tratterà in questo caso di una negoziazione atipica ( do ut facias ) per certi versi riconducibile all’appalto.
L’economia del baratto implica l’inesistenza di un sistema di misurazione del valore delle cose accettato dai consociati, di modo che si rende indispensabile, onde sovvenire alle esigenze della vita, addivenire a forme di scambio delle cose che inevitabilmente rendono ciascuna contrattazione più lenta e rigida.
Nel diritto romano antico il meccanismo di funzionamento della permuta, imperniata sulla traditio della res, si poteva dire affine a quella della vendita, stante l’inesistenza del principio del consenso traslativo.
La differenziazione tra i due tipi si affermò in un tempo successivo, in esito alla assunzione del carattere della consensualità della compravendita.
La permuta venne in seguito considerata nel diritto giustinianeo come contratto atipico, per il quale perfezionamento era sempre indispensabile la consegna delle cose.
Bisogna attendere sino all’epoca delle codificazioni perchè la permuta assuma la propria attuale configurazione di contratto consensuale.
A questo proposito è possibile osservare che il previgente codice civile del 1865 conteneva una definizione della permuta tale da limitarne l’applicazione allo scambio di cose, escludendo quello di diritti (che, come tali, possono avere ad oggetto non già beni materiali, ma condotte che si concretano in prestazioni fungibili di facere o non facere.
Basti pensare alla permuta di un mobile antico contro la prestazione che consiste nella ristrutturazione di una porzione di stabile, anche questa concreta una prestazione fungibile in relazione all’opera da realizzare.
Non si può dire che la permuta sia poco più di un relitto storico, perché anche nei sistemi progrediti esistono specifiche esigenze in grado di essere meglio soddisfatte attraverso loscambio permutativo che può consentire anche apprezzabili vantaggi fiscali.
Si tratta dello speciale interesse che le parti possono vantare in relazione al fatto di divenire proprietarie di utilità specifiche, per acquisire le quali sarebbe necessario perfezionare due distinti atti di vendita.
Ecco che la permuta si pone come modalità sintetica atta a soddisfare l’intento dei contraenti, come la istituzione di servitù reciproche, cioè la permuta di bande di terreno tra proprietari di fondi finitimi allo scopo di rettificare i confini.
La prassi ha evidenziato ulteriori casi nei quali le diverse finalità economiche delle parti sono meglio servite da un atto permutativo.
Lo scambio tra area edificabile ed unità immobiliari da realizzarsi sulla stessa è diventata una fattispecie non infrequente.
Quando la permuta avviene tra due privati, non è soggetta ad Iva, e ci sono dei vantaggi fiscali.
Le tasse per il trasferimento si pagano esclusivamente sull’immobile di maggior valore, mentre le spese notarili si riducono alla stipula di un unico atto.
Le imposte vanno ripartite, secondo la legge, in maniera uguale tra le parti, anche se non è vietato pattuire una diversa e più equa ripartizione a seconda del valore dell’immobile.
Molte persone diffidano di questa forma di trasferimento, perché sembra abbastanza complesso e rischioso gestire in contemporanea la vendita del vecchio immobile e l’acquisto di un altro.
E’ consigliabile affidarsi ad intermediari seri che possano seguire le trattative e soprattutto garantiscano sul blocco dei prezzi fissati.
Non bisogna fidarsi delle agenzie che promettono il ritiro diretto del vecchio immobile, in caso non riuscisse la vendita.
I margini di guadagno di un intermediario immobiliare non sono tali da permettere l’acquisto di un immobile ad un prezzo equo, di conseguenza il prezzo di stima sarebbe di sicuro più basso di quello reale.
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