Il condomino che in giudizio richiede la rimozione dell’impianto fotovoltaico, installato illecitamente sulle parti comuni, non può citare solo l’amministratore di condominio

 
riferimenti normativi: art 1102 c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. III, Sentenza del 16/03/1981, n. 1455
La vicenda
Un condomino impugnava una delibera che aveva autorizzato l’installazione di un impianto fotovoltaico su una parte comune. Il condominio non si costituiva in giudizio. Il Tribunale accoglieva la domanda e annullava la decisione assembleare; tuttavia respingeva la richiesta di rimozione dell’impianto proposta (tardivamente) nel corso del giudizio. L’attore si rivolgeva alla Corte d’Appello insistendo per l’accoglimento dell’ulteriore domanda volta ad ottenere lo “smantellamento” del traliccio presente sulla parte comune. La Corte di Palermo, nel respingere quest’ultima pretesa del condomino, evidenziava come tale domanda desse luogo ad una “mutatio libelli”, non consentita in sede di appendice scritta dell’udienza di trattazione. Secondo il soccombente – che ricorreva in cassazione – la domanda di rimozione dell’impianto fotovoltaico non costituiva una domanda nuova, quanto “una rettifica concernente l’intervenuta esecuzione, nelle more, dell’impianto fotovoltaico”, oggetto della delibera annullata.
La questione
Nel caso in cui un condomino impugni una delibera e nel corso del giudizio richieda anche la rimozione dell’impianto fotovoltaico installato illecitamente sulle parti comuni sussiste comunque la legittimazione passiva dell’amministratore di condominio?
La soluzione
La Cassazione ha dato torto al condomino.
Infatti, i giudici supremi hanno notato che l’impugnazione di una deliberazione dell’assemblea di condominio, ai sensi dell’art. 1137 c.c., quale quella in origine proposta dal condomino, dà luogo ad un’azione, per così dire, “costitutiva-caducatoria”, che ha ad oggetto l’invalidità della decisione presa dall’assemblea e che vede, quale unico legittimato passivo, l’amministratore di condominio.
All’opposto l’azione, con la quale il condomino di un edificio chiede, invece, la rimozione di opere, che altro condomino abbia effettuato sulla cosa comune in violazione della disciplina dettata dagli artt.1102, 1120 e 1122 c.c., ha natura reale e deve essere proposta nei confronti di tutti gli altri partecipanti al condominio stesso.
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Le riflessioni conclusive
Si deve considerare che l’introduzione di una domanda di rimozione di un’opera realizzata in esecuzione di una deliberazione dell’assemblea condominiale, in aggiunta a quella originaria di impugnazione ex art. 1137 c.c., costituisce domanda “nuova”, come tale non ammessa dall’art. 183 c.p.c.; del resto, la modificazione permessa nei limiti della vicenda sostanziale dedotta in giudizio suppone che la domanda iniziale rimanga unitaria nei propri elementi fondamentali, oppure che la domanda diversa, comunque, non si aggiunga alla prima, ma la sostituisca, ponendosi, rispetto a quella, in un rapporto di alternatività (vedi anche Cass. civ., sez. III, 26/06/2018, n. 16807).
In ogni caso, non vi è dubbio che l’azione, con la quale il condomino di un edificio chiede la rimozione di opere che un condomino abbia effettuato sulla cosa comune, in violazione degli artt. 1102, 1120 e 1122 c.c., abbia natura reale (Cass. civ., sez. III, 06/06/2018, n. 14622; Cass. civ., sez. III, 16/03/1981, n. 1455).
In particolare, questa azione è diretta non al semplice accertamento dell’inesistenza (o esistenza) dell’altrui diritto, ma al mutamento di uno stato di fatto mediante la demolizione di manufatti o costruzioni con la conseguenza che ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra i comproprietari del beni comuni interessati; in tali ipotesi, la mancata integrazione del contraddittorio è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado; inoltre la stessa azione di rimozione non è suscettibile di prescrizione; l’imprescrittibilità, può essere superata dalla prova dell’usucapione del diritto a mantenere la situazione lesiva (Cass. civ., sez. II, 29/02/2012, n. 3123; Cass. civ., Sez. II, 07/06/2000, n. 7727; Cass. civ., sez. II, 13/08/1985, n. 4427).
Analogamente a quanto sopra affermato, l’azione a tutela del decoro architettonico dell’edificio in condominio, per effetto di opere realizzate da un condomino nella porzione di proprietà esclusiva, quando sia diretta alla riduzione in pristino di un immobile comune a più persone, richiede il litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari dell’appartamento. La condanna all’abbattimento incide, infatti, sull’esistenza dell’oggetto della comproprietà di persone estranee al processo.
Recentemente è stato ulteriormente precisato che nel giudizio promosso per conseguire la rimozione di una costruzione illegittimamente realizzata in un’unità immobiliare in danno delle parti comuni di un edificio condominiale, sono litisconsorti necessari tutti i comproprietari di tale unità, indipendentemente dal fatto che solo uno od alcuno di essi ne siano stati gli autori materiali (Nel caso di specie la convenuta, titolari di locali adibiti ad attività commerciale, aveva realizzato una vetrina tale da ingabbiare parte della facciata condominiale, di fatto arretrando il portone, in modo da consentire l’accesso diretto alla strada dalla propria unità immobiliare; il condominio denunciò la lesione del decoro architettonico e chiese la rimozione del manufatto, unitamente al risarcimento dei danni: Cass. civ., sez. II, 28/02/2018, n. 4685).
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