I vizi del consenso nel contratto
Nel diritto italiano la disciplina dei vizi del consenso è contenuta nella sezione II, capo XII, titolo II, del codice civile.
L’articolo 1427 del codice civile recita, rubricato “Errore, violenza, e dolo”, recita:“Il contraente, il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto secondo le disposizioni seguenti.”
Contratto e vizi del consenso
L’articolo 1321 del codice civile definisce il contratto come “l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
La regolamentazione contrattuale di un rapporto giuridico non si può avere senza una volontà conforme delle due o più parti negoziali, non c’è contratto senza consenso, vale a dire senza accordo (art. 1325 numero 1).
A questo punto emerge l’interrogativo di quale possa essere il quantum di volontà necessaria perché l’impegno contrattuale si possa dire compiutamente assunto.
Può darsi, ad esempio, che le due parti non abbiano acconsentito allo stesso identico patto, ma ci sia, in concreto, un’asimmetria grave e profonda tra quello che le due parti si rappresentavano come oggetto della loro volontà e quello che si è ottenuto.
Allo stesso modo può darsi il caso che le volontà delle parti non si siano perfettamente incontrate, perché la risposta a una proposta contrattuale dovrebbe essere pervenuta attraverso una modalità di comunicazione, ma questo non si è verificato oppure si è verificato in modo impreciso.
Si può poi verificare l’ipotesi nella quale una parte costringa l’altra al consenso su una proposta contrattuale prendendone materialmente la mano e guidandola con pura violenza fisica alla sottoscrizione di un documento, oppure ottenendo il suo consenso attraverso le più varie forme di violenza morale.
Si può anche verificare il caso nel quale una parte induca o determini l’altra a concludere un contratto, attraverso artifici o raggiri oppure incutendole un timore di particolare gravità.
I primi due casi rappresentano le ipotesi tipiche dell’errore, inteso come errore-vizio del consenso e come errore ostativo in modo che la corretta comunicazione del consenso arrivi al destinatario designato.
Perché possa essere giuridicamente rilevante ai fini dell’annullabilità del contratto al quale era relativo, l’errore deve essere essenziale e riconoscibile da parte dell’altro contraente.
Il terzo caso è relativo alla presenza della violenza nella stipulazione contrattuale.
Si articola in due sottoipotesi.
La prima, puramente di scuola, è quella della violenza fisica che conduca alla stipulazione di un contratto.
In un simile caso si ritiene concordemente che il contratto sia nullo, perché la violenza esercitata annulla la volontà di chi sottoscriva sotto la brutale coazione altrui.
La seconda ipotesi, è quella della violenza morale.
Qui vale il brocardo Coactus, tamen voluit, che mette in evidenza come colui che fu coartato alla stipulazione comunque, inevitabilmente la volle.
Questa parziale volontà determina una annullabilità del contratto, anziché una sua immediata nullità.
Qui la volontà contrattuale viene in essere, ma viene in essere viziata, proponendo l’interrogativo se meriti di restare valida all’interno delle relazioni giuridiche private, o se, all’opposto, si debbano prevedere dei rimedi per eliminarne la giuridicità.
La scelta del legislatore
Per sommi capi la scelta del legislatore è la seguente:
nei casi nei quali la volontà non c’era, come nel caso del costringimento fisico, ci deve essere un rimedio giurisdizionale che testimoni l’originale mancanza di volontà, il rimedio in questione è l’azione di nullità.
nei casi nei quali volontà c’era, ma si atteggiava come claudicante e viziata, il rimedio deve elidere il consenso esistente, tutelando, in qualche modo, chi, dalla sua posizione di terzo, avesse fatto un legittimo affidamento sul suo permanere in esistenza.
Il rimedio è detto azione di annullamento.
Un altro caso è quello del dolo negoziale, vale a dire degli artifici o raggiri che abbiano determinato l’altro contraente alla stipula del contratto oppure che abbia sospinto l’altro contraente alla stipula del contratto a condizioni deteriori rispetto a quelle alle quali avrebbe stipulato se gli inganni non ci fossero stati.
I vizi del consenso nel codice civile
I vizi del consenso sono esplicitamente previsti dal codice civile.
Sono, come scritto all’inizio, errore, violenza, dolo.
Ognuno ha una regolamentazione specifica che contempera le esigenze di chi esterna la volontà viziata, di chi la sfrutta, generando l’accordo contrattuale, e di chi si trovi, da terzo estraneo, a fondare alcune sue pretese sul permanere o sullo smettere di esistere della volontà negoziale.
L’errore si ha quando il contraente ignora, oppure conosce in modo sbagliato o insufficiente, situazioni determinanti ai fini della decisione di stipulare o non stipulare il contratto o di stipularlo a determinate condizioni.
La violenza consiste nel pericolo di un male ingiusto e notevole per il quale il contraente è portato a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato, oppure avrebbe stipulato in condizioni diverse.
Il dolo si ha quando un contraente è portato a raggiri o inganni per stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato (dolo determinante) o avrebbe stipulato in condizioni diverse (dolo incidente).
Si potrebbe dire che questi tre istituti sono vicini agli altri strumenti di tutela riconosciuti nel nostro ordinamento civile.
Ci sono altri casi nei quali la volontà contrattuale, nonostante sia venuta in essere, presenta una sintomatologia di vizio.
Si può leggere l’articolo 428 del codice civile, nel quale si tutela chi abbia esternato una volontà in stato di incapacità di intendere o di volere.
Si può anche leggere la disciplina dell’incapacità legale, oppure interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno come un altro caso nel quale se uno dei soggetti sottoposti al provvedimento di limitazione in questione esterni una volontà, lo faccia in modo viziato.
La tutela dell’annullamento ricorre anche nel caso del contratto concluso in conflitto di interessi dal rappresentante, o nel caso della mancata partecipazione del coniuge in alcuni atti sulla comunione matrimoniale.
Ma qui si è lontani dai casi dai quali erano state prese le mosse.
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