I sistemi di governo delle s.p.a.
SOMMARIO: Introduzione – 1. Questioni preliminari: responsabilità limitata e autonomia patrimoniale – 2. Segue. L’organizzazione corporativa – 2.1 L’assemblea – 2.2 L’organo amministrativo – 2.3 L’organo di controllo – 3. I sistemi di governo – 4. Il sistema di governo tradizionale – 4.1 Il ruolo dell’assemblea – 4.2 Il ruolo degli amministratori – 4.3 Il ruolo del collegio sindacale – 4.4. Il ruolo del revisore contabile – 5. Il sistema di governo dualistico – 5.1 Panoramica essenziale e competenze dell’assemblea – 5.2 Il consiglio di gestione – 5.3 Il consiglio di sorveglianza e la revisione legale dei conti – 6. Il sistema di governo monistico – 6.1 Panoramica essenziale – 6.2 Il consiglio di amministrazione – 6.3 – Il comitato di controllo sulla gestione
Introduzione
La società per azioni si inscrive nel novero delle società di capitali, costituendo attualmente la tipologia societaria più diffusa all’interno del nostro sistema economico. La normativa prevista per la società per azioni, vista la sua crescente diffusione, è stata oggetto di modifiche sin dagli anni ’70 sotto l’impulso di direttive comunitarie. Il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, dando attuazione alla legge di delega 3 ottobre 2001, n. 366, ha innovato radicalmente la disciplina societaria lato sensu. La suddetta riforma, tra le altre cose, ha inciso notevolmente proprio in relazione al sistema di governo della società per azioni. In questo studio, pertanto, si intende offrire uno sguardo complessivo circa tali innovazioni, soffermandosi in particolare sul ruolo degli organi che governano la s.p.a., non mancando – al fine di fornire una struttura quanto più confacente alla tematica – di raccogliere e ricapitolare gli elementi maggiormente salienti che la definiscono e che si andranno, pertanto, a trattare primieramente.
1. Questioni preliminari: responsabilità limitata e autonomia patrimoniale
Ciò che caratterizza e definisce la società per azioni è che «per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio» (art. 2325, comma 1, c.c.). Nella norma sono impliciti almeno due principi fondamentali afferenti le società di capitali. Anzitutto la responsabilità limitata dei soci, tenuti ad eseguire solo il conferimento determinato nel contratto sociale. La funzione dei conferimenti è quella di munire la società del capitale di rischio necessario allo svolgimento dell’attività di impresa[1]. Si evince dunque che la responsabilità del socio è limitata esclusivamente al valore del suo conferimento[2] e che nessun socio può essere chiamato a rispondere personalmente con il proprio patrimonio per i debiti sociali[3]. D’altra parte, è quindi altrettanto evidente che i creditori sociali hanno come unica garanzia quella costituita dal patrimonio sociale.
Il secondo principio che si desume dalla norma, infine, è quello corrispondente alla nozione di autonomia patrimoniale perfetta. Questa si sostanzia nella netta separazione fra il patrimonio della società e quello dei singoli soci.
2. Segue. L’organizzazione corporativa
2.1 L’assemblea
La s.p.a. è caratterizzata da un’organizzazione di tipo corporativo, composta cioè da tre organi distinti: l’assemblea (organo deliberativo), l’amministrazione e l’organo di controllo. L’assemblea dei soci si definisce a partire dalla sua esclusiva natura deliberativa, le cui competenze sono circoscritte dall’atto costitutivo, «nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione» (art. 2479, comma 1, c.c.). L’assemblea può essere convocata in seduta ordinaria o straordinaria a seconda delle materie di cui tratta. All’assemblea convocata in seduta straordinaria sono devolute competenze specifiche inerenti materie di particolare importanza tassativamente determinate dalla legge.
2.2 L’organo amministrativo
All’organo amministrativo è affidata la gestione dell’impresa sociale[4]. Il potere di gestione riguarda specificamente l’attività interna: ad esso è ascritto il potere di decidere il compimento di un atto. «Gli amministratori», inoltre, «hanno la rappresentanza generale della società» (art. 2475-bis, comma 1, c.c.). Il potere di rappresentanza concerne l’attività esterna della società, ossia il potere di compiere l’atto in nome e per conto dell’ente. Per la società per azioni è previsto che all’interno dell’atto costitutivo, redatto per atto pubblico, siano indicati «il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri», ma soprattutto «[…] quali tra essi hanno la rappresentanza legale della società» (art. 2328, n. 9, c.c.). Molto importante, inoltre, è la richiesta che venga indicato «il sistema di amministrazione adottato», oggetto precipuo del nostro studio. A tal proposito è necessario anticipare che con l’entrata in vigore della riforma del diritto societario (1° gennaio 2004), l’organizzazione della s.p.a. può essere realizzata secondo tre differenti modelli societari, all’interno dei quali è pur sempre rinvenibile la distinzione dei tre organi “basici”.
2.3 L’organo di controllo
All’organo di controllo interno sono devolute le funzioni di vigilanza sull’amministrazione della società. Si ricorda che il singolo socio non svolge alcun potere di amministrazione né di controllo. Egli, infatti, ha il solo diritto a concorrere tramite il suo voto in assemblea, alla designazione dei membri dell’organo amministrativo e di controllo[5]. Più in dettaglio, il dettato codicistico impone al collegio sindacale di vigilare «[…] sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento» (art. 2403, comma 1, c.c.)[6]. Il “controllo” di cui è responsabile l’organo è di natura legale, vale a dire inerente la regolarità degli atti e il loro rispetto della legge e dello statuto, e non di “merito”, afferente cioè alla opportunità delle scelte da operare. Ciò si desume anche da quanto prevede l’art. 2407, comma 1, c.c. lì dove si legge che essi «[…] devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico»; essi «sono responsabili della verità delle loro attestazioni […].
3. I sistemi di governo
Come anticipato, prima della riforma di diritto societario del 2003, la società per azioni conosceva un solo sistema di governo. Successivamente, in aggiunta al sistema o modello “tradizionale” (art. 2380-bis ss. c.c.), la riforma ha previsto altri due sistemi alternativi di governo della società per azioni: il modello “dualistico” (artt. 2409-octies ss. c.c.), di ispirazione germanica, e il modello “monistico” (artt. 2409-sexiesdecies ss. c.c.), d’ispirazione anglosassone[7]. Nei casi in cui lo statuto della società non disponga diversamente, si applica il sistema tradizionale. Oltretutto è importante far notare, come si vedrà, che quest’ultimo «garantisce una maggiore partecipazione dei soci al governo della società»[8], il che rende il modello tradizionale di gran lunga il sistema più utilizzato dalle s.p.a. .
4. Il sistema di governo tradizionale
4.1. Il ruolo dell’assemblea
Il sistema tradizionale prevede un’organizzazione in cui le competenze sono ripartite fra: l’assemblea degli azionisti (artt. 2363 ss. c.c.), gli amministratori (artt. 2380-bis ss. c.c.), il collegio sindacale (artt. 2397 ss. c.c.) e il revisore contabile (artt. 2409-bis ss. c.c.). L’assemblea degli azionisti rappresenta il cuore della società per azioni poiché ne è l’organo deliberativo interno nel quale si forma la volontà della società stessa[9]. Inoltre, attraverso l’assemblea vengono nominati i componenti degli altri organi. Nelle società chiuse, cioè in quelle che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l’assemblea viene convocata attraverso la pubblicazione di un avviso, contenente l’indicazione della data, dell’orario e delle materie da trattare, nella Gazzetta Ufficiale o in un quotidiano appositamente indicato dallo statuto, almeno quindici giorni prima di quello fissato per l’assemblea (art. 2366, comma 2, c.c.). Secondo il medesimo articolo, per le società aperte, ossia quelle che fanno ricorso al mercato di capitale di rischio, «le modalità di pubblicazione dell’avviso sono definite da leggi speciali». Rispetto alle società che «non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio» lo statuto delle società può «consentire la convocazione mediante avviso comunicato ai soci con mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima dell’assemblea», recita il terzo comma dell’art. 2366 c.c.. «Le deliberazioni dell’assemblea, prese in conformità della legge e dell’atto costitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti» (art. 2377, comma 1, c.c.). L’assemblea può essere convocata e delibera in seduta ordinaria o straordinaria a seconda della materia oggetto di discussione (art. 2363, comma 2, c.c.)[10].
L’assemblea ordinaria è regolarmente costituita in presenza di un “quorum costitutivo”, ossia «quando è rappresentata almeno la metà del capitale sociale […]» e delibera normalmente a maggioranza assoluta (“quorum deliberativo”), eccezion fatta per il caso in cui lo statuto richieda una maggioranza più elevata (art. 2368, comma 1, c.c.). La suddetta assemblea deve essere convocata almeno una volta l’anno, «entro il termine stabilito dallo statuto» ed entro centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, salvo un maggior termine previsto dallo statuto, «comunque non maggiore di centoottanta giorni» (art. 2364, comma 2, c.c.). Essa rispettivamente: 1) approva il bilancio; 2) si occupa della nomina e della revoca gli amministratori, della nomina dei sindaci, del presidente del collegio sindacale e, infine (se previsto), del «soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti»; 3) si occupa della determinazione del compenso degli amministratori e dei sindaci, se non previsto dallo statuto; 4) delibera circa la responsabilità degli amministratori e dei sindaci; 5) delibera su altre questioni attribuite dalla legge alla competenza dell’assemblea, ivi incluse le autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori; 6) approva, infine, l’eventuale regolamento dei lavori assembleari (art. 2365 c.c.).
L’assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di più della metà del capitale sociale, qualora lo statuto non richieda una maggioranza più elevata. «Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio» (art. 2368, comma 2, c.c.), invece, viene regolarmente convocata quando è rappresentata almeno la metà del capitale sociale e la percentuale maggiore prevista dallo statuto. Essa delibera rispetto alle modificazioni dello statuto e alla nomina, alla sostituzione e ai poteri dei liquidatori «e su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge» (art. 2365, comma 1, c.c.). È prevista una seconda convocazione e, ancora, successive convocazioni nel caso in cui dinanzi all’assemblea non è rappresentata la parte di capitale sociale prevista dagli articoli poc’anzi esaminati (art. 2369 c.c.).
4.2 Il ruolo degli amministratori
Gli amministratori costituiscono l’organo a cui è affidata la gestione dell’impresa in via esclusiva (art. 2380-bis, comma 1, c.c.). L’amministrazione della società può essere affidata ad una singola persona o a più di una. Qualora si trattino di più persone, queste costituiranno il consiglio di amministrazione ed eleggeranno un presidente, ove questi non sia nominato dall’assemblea. In caso di amministrazione collegiale, «per la validità delle deliberazioni del consiglio d’amministrazione», è richiesta la presenza della maggioranza degli amministratori in carica e le deliberazioni devono essere prese a maggioranza assoluta dei presenti (art. 2388, comma 1, c.c.). Il consiglio di amministrazione, nei limiti di ciò che consente lo statuto e l’assemblea, può delegare proprie competenze ad un “comitato esecutivo” «costituito da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi membri» (“consiglieri delegati” o “amministratori delegati”) (art. 2381, comma 2, c.c.)[11].
Data la peculiare natura del compito di cui è investito l’amministratore, egli «deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società» (art. 2391, comma 1, c.c.). La nomina degli amministratori spetta all’assemblea, tranne nel caso dei primi, i quali sono nominati nell’atto costitutivo. Essi sono impossibilitati dall’essere nominati per un periodo superiore ai tre esercizi. Spetta loro, inoltre, entro trenta giorni dalla nomina, la richiesta dell’iscrizione della società nel registro delle imprese (art. 2383, comma 4, c.c.). Il codice ricorda infatti che agli amministratori è attribuito il potere di rappresentanza legale, il quale viene conferito loro dallo statuto o dalla deliberazione di nomina assembleare (art. 2384 c.c.). Gli artt. 2392 ss. c.c. vertono sulla responsabilità degli amministratori, i quali «devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto» poiché essi «sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri» (art. 2392, comma 1, c.c.). Essi possono così essere chiamati a rispondere dei danni che siano derivati alla società, attraverso «l’azione sociale di responsabilità» (art. 2393 c.c.), ai creditori sociali, tramite «l’azione di responsabilità verso i creditori sociali» (art. 2394 c.c.), infine, al singolo socio o al terzo direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi, per mezzo dell’«azione individuale del socio e del terzo» (art. 2395 c.c.)[12].
4.3 Il ruolo del collegio sindacale
Al collegio sindacale è affidata la vigilanza circa l’osservanza della legge e dello statuto, nonché il rispetto dei principi di corretta amministrazione e corretta gestione dell’impresa (art. 2403 c.c.)[13]. L’art. 2407, comma 1, c.c. recita che i membri del collegio sono responsabili della «verità delle loro attestazioni». Esso si compone di tre o cinque membri, soci o non (art. 2397, comma 1, c.c.). «I sindaci sono nominati per la prima volta nell’atto costitutivo», mentre i successivi sono di nomina assembleare. Restano in carica per tre esercizi e la cessazione dal ruolo avviene dal momento in cui il collegio è stato ricostituito (art. 2400 c.c.). I sindaci hanno il compito di «assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione, alle assemblee ed alle riunioni del comitato esecutivo», pena la decadenza dall’ufficio se in maniera ingiustificata non sono presenti a due adunanze consecutive (art. 2405 c.c.). Inoltre, è concesso loro di procedere anche individualmente, tramite atti di ispezione e di controllo (art. 2403-bis, comma 1, c.c.). I sindaci possono avvalersi nell’esercizio delle loro funzioni di propri dipendenti ed ausiliari (art. 2403-bis, comma 4, c.c.) ed hanno l’obbligo di riunirsi almeno ogni novanta giorni, in presenza della maggioranza dei sindaci, dove deliberano a maggioranza assoluta dei presenti (art. 2404, comma 4, c.c.). I sindaci decadono dall’ufficio se non partecipano durante un esercizio a due riunioni senza giustificato motivo e possono essere revocati solo per giusta causa, con l’approvazione del decreto del tribunale (art. 2400, comma 2, c.c.).
Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori «per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica» (art. 2407, comma 2, c.c.). Conseguentemente, come già si vide per gli amministratori, possono essere esperite contro di loro «l’azione sociale di responsabilità» (art. 2393 ss. c.c.), «l’azione di responsabilità verso i creditori sociali» (art. 2394 c.c.) e «l’azione individuale del socio e del terzo» (art. 2395 c.c.).
4.4 Il ruolo del revisore contabile
Cenno a parte lo merita, infine, la figura del revisore contabile nel sistema tradizionale. In seguito all’emanazione del d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, che ha recepito in Italia la Direttiva 2006/43/UE, l’art. 2409-bis è stato oggetto di modifica al fine di coordinarlo con la nuova disciplina comunitaria. Il suddetto articolo, al comma 1, prevede che «la revisione legale dei conti sulle società è esercitata da un revisore legale dei conti o da una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro». Le società che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato possono «prevedere che la revisione legale dei conti sia esercitata dal collegio sindacale», costituito «da revisori legali iscritti nell’apposito registro», si legge al comma 2. Per le società quotate, infine, la disciplina della revisione legale rimanda alle norme dettate dal T.U.F. (d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, come modificato dal d. lgs. 39/2010) artt. 155 e ss..
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5. Il sistema di governo dualistico
5.1. Panoramica essenziale e competenze dell’assemblea
Il sistema dualistico, di matrice tedesca e francese, si basa su di una struttura organizzativa in cui le competenze sono ripartite fra l’assemblea degli azionisti, il consiglio di sorveglianza (artt. 2409-duodecies ss. c.c.), il consiglio di gestione (art. 2409-novies ss. c.c.) e il revisore contabile (art. 2409-quinquiesdecies c.c.). Per quel che riguarda l’assemblea degli azionisti, dall’art. 2364-bis se ne ricava che il legislatore della riforma ha ristretto le competenze che possiede l’assemblea nel modello tradizionale. Nel sistema dualistico le competenze dell’assemblea ordinaria sono limitate alla nomina ed alla revoca dei consiglieri di sorveglianza, alla determinazione del loro compenso, alle deliberazioni sulla loro responsabilità, alla delibera circa la distribuzione degli utili e, infine, alla nomina del revisore (art. 2364-bis c.c.). Si tratta quindi di un sistema di governance in cui i soci non nominano gli amministratori né approvano il bilancio, ma decidono sull’elezione del consiglio di sorveglianza.
5.2 Il consiglio di gestione
Il consiglio di gestione è l’organo a cui è affidata in via esclusiva la gestione della società per azioni. Esso, quindi, «compie le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale (art. 2409-nonies, comma 1, c.c.)[14]. Sempre il medesimo articolo rende noto che la gestione dell’impresa può attuarsi anche in maniera delegata, infatti il consiglio di gestione «può delegare proprie attribuzioni ad uno o più dei suoi componenti. Si applicano in tal caso il terzo, quarto e quinto comma dell’art. 2381». Il comma successivo esplicita inoltre che il consiglio di gestione è costituito da almeno due componenti, anche non soci. È escluso, dunque, l’amministratore unico. La ratio della norma la si ricava indirettamente da quanto si prevede ai sensi dell’art. 2409-nonies, comma 3, c.c.: «Fatta eccezione per i primi componenti, che sono nominati nell’atto costitutivo, e salvo quanto disposto dagli artt. 2351, 2449, 2450[15], la nomina dei componenti il consiglio di gestione spetta al consiglio di sorveglianza[16], previa determinazione del loro numero nei limiti stabiliti dallo statuto».
La caratteristica perspicua del modello in esame è da rinvenirsi precisamente in questa scelta, cioè quella di sottrarre la scelta dei gestori dell’impresa all’assemblea dei soci, per assegnarla ad un organo (consiglio di sorveglianza) da essa nominato e che garantirebbe maggiore indipendenza e neutralità nella scelta dei componenti il consiglio di gestione. L’esclusione dell’amministratore unico è quindi da leggersi come contrappeso ad ipotesi che potrebbero indurre quest’ultimo ad essere condizionato da coloro che lo hanno eletto. «I componenti del consiglio di gestione non possono essere nominati consiglieri di sorveglianza» (art. 2409-novies, comma 4, c.c.). A tal proposito il Comitato Triveneto dei Notai ha precisato che il divieto deve essere letto «come un divieto di cumulo e non di modifica di funzioni». Pertanto «è da ritenersi legittimo che, alla scadenza del mandato, un soggetto che abbia ricoperto la carica di consigliere di gestione possa essere nominato consigliere di vigilanza e viceversa»[17]. I componenti del consiglio di gestione «restano in carica per un periodo non superiore a tre esercizi […]» (art. 2409-nonies, comma 4, c.c.) e sono rieleggibili, «salvo diversa disposizione dello statuto, e sono revocabili dal consiglio di sorveglianza in qualunque tempo […]» (art. 2409-nonies, comma 5, c.c.). Il codice prevede anche l’ipotesi del venire meno di uno o più componenti il consiglio nel corso dell’esercizio e la statuizione a che «il consiglio di sorveglianza provveda senza indugio alla loro sostituzione» (art. 2409-nonies, comma 6, c.c.). Nei confronti dei consiglieri di gestione può essere esperita l’«azione sociale di responsabilità» «dalla società o dai soci» ai sensi degli artt. 2393 e 2393-bis» (art. 2409-decies, comma 1, c.c.) e, in aggiunta, anche dal consiglio di sorveglianza a seguito di apposita deliberazione dello stesso (art. 2409-decies, comma 6, c.c.) entro cinque anni dalla cessazione. Infine, in linea generale «è previsto che, nel sistema dualistico, all’assemblea, al consiglio di gestione ed al revisore trovino applicazione le regole dettate, con riferimento al sistema tradizionale, rispettivamente per l’assemblea, per gli amministratori e per il revisore (v. artt. 2380, comma 3, 2409-undecies, 2409-quinquiesdecies c.c.)»[18].
5.3 Il consiglio di sorveglianza e la revisione legale dei conti
Il consiglio di sorveglianza è un organo a cui sono devolute competenze che nel sistema tradizionale sono affidata da una parte, all’assemblea ordinaria, e dall’altra, al collegio sindacale. Il consiglio di sorveglianza, in particolare «a) nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione; ne determina il compenso, salvo che la relativa competenza sia attribuita dallo statuto all’assemblea; b) approva il bilancio di esercizio e, ove redatto, il bilancio consolidato; c) esercita le funzioni di cui all’articolo 2403, primo comma[19]; d) promuove l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del consiglio di gestione; […]». In tema di responsabilità, «i componenti il consiglio di sorveglianza […] sono responsabili solidalmente con i componenti del consiglio di gestione per i fatti o le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica» (art. 2409-terdecies, comma 3, c.c.). L’art. 2409-duodecies, comma 1, c.c. statuisce che «[…] il consiglio di sorveglianza si compone di un numero di componenti, anche non soci, non inferiore a tre». Lasciando quindi all’assemblea la decisione di determinare il numero massimo dei componenti[20]. Infatti, «fatta eccezione per i primi componenti nominati nell’atto costitutivo […] la nomina dei componenti il consiglio di sorveglianza spetta all’assemblea, previa determinazione del loro numero nei limiti stabiliti dallo statuto» (art. 2409, comma 2, c.c.). I componenti restano in carica per tre esercizi (art. 2409-duodecies, comma 3, c.c.), almeno un componente del consiglio deve essere scelto tra i revisori, come risulta dall’iscrizione all’apposito registro (art. 2409-duodecies, comma 4, c.c.) ed essi «[…] sono revocabili dall’assemblea in qualunque momento salvo il diritto al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa» (art. 2409-duodecies, comma 5, c.c.). Spetta, inoltre, all’assemblea provvedere alla sostituzione dei componenti, in caso di mancanza di questi nel corso dell’esercizio (art. 2409-duodecies, comma 7, c.c.) ed alla elezione del presidente del consiglio di sorveglianza (art. 2409-duodecies, comma 8, c.c.). Secondo autorevole dottrina, inoltre, vi si rileva l’applicabilità al consiglio di sorveglianza delle norme relative ai sindaci ai sensi dell’art. 223-septies disp. att. c.c.[21]. L’art. 2409-quaterdecies, infine, indica specificamente le norme sul collegio sindacale estendendone l’applicabilità, se compatibili, al consiglio di sorveglianza. «La revisione legale dei conti è svolta a norma dell’art. 2409 bis, primo comma c.c.», recita l’art. 2409-quinquiesdecies, c.c.. Perciò se ne ricava che nelle società per azioni che adottano il modello dualistico il controllo legale dei conti è esercitato da un revisore legale o da una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro.
6. Il sistema di governo monistico
6.1 Panoramica essenziale
Il sistema monistico, di derivazione anglosassone, prevede una ripartizione di competenze fra l’assemblea degli azionisti (artt. 2363 ss. c.c.), il consiglio di amministrazione, con al suo interno il comitato per il controllo sulla gestione, sua emanazione, (artt. 2409-sexiesdecies ss. c.c.) e il revisore contabile (art 2409-noviesdecies, comma 2, c.c.). Il modello monistico si caratterizza per l’eliminazione del collegio sindacale, sostituito dal comitato per il controllo sulla gestione, costituito internamente al consiglio di amministrazione. Ne deriva che la gestione della società e l’attività di controllo scaturiscono entrambe (alla sua fonte) dal consiglio di amministrazione. Il sistema di governance risulta così assai semplificato, ma allo stesso tempo rischia di possedere un forte elemento di debolezza. Giacché, come si è visto, «i controllori sono direttamente nominati dai controllati»[22].
6.2 Il consiglio di amministrazione
Il codice mostra particolare attenzione a questo aspetto, infatti prevede che, ai sensi dell’art. 2409-septiesdecies, comma 1, «la gestione dell’impresa spetta esclusivamente al consiglio di amministrazione» (pertanto, come già si vide nel sistema dualistico, anche nel monistico non è previsto l’amministratore unico) e, successivamente, al comma 2, che «almeno un terzo dei componenti del consiglio di amministrazione deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza stabilita per i sindaci dall’art. 2399, comma 1, e, se lo statuto lo prevede, di quelli al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati». Al comma 3 del medesimo articolo si prevede aggiuntivamente che «al momento della nomina dei componenti del consiglio di amministrazione e prima dell’accettazione dell’incarico sono resi noti all’assemblea gli incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società».
6.3 Il comitato di controllo sulla gestione
Il comitato di controllo sulla gestione «a) elegge al suo interno, a maggioranza assoluta dei suoi membri, il presidente; b) vigila sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione; c) svolge gli ulteriori compiti affidatigli dal consiglio di amministrazione con particolare riguardo ai rapporti con il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti» (art. 2409-octiesdecies, comma 5, c.c.). La nomina dei componenti del comitato per il controllo sulla gestione spetta al consiglio di amministrazione, il quale decide anche della determinazione del numero, tenendo conto che per quanto concerne le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, «[…] il numero dei componenti del comitato non può essere inferiore a tre» (art. 2409-octiesdecies, comma 1, c.c.). Ai componenti del comitato sono richiesti il possesso «dei requisiti di onorabilità e professionalità» e i «requisiti di indipendenza di cui all’art. 2409-septiesdecies» (che rimanda ad i medesimi stabiliti per i sindaci ai sensi dell’art. 2399, comma 1, c.c.), oltre al fatto che non abbiano incarichi esecutivi o «funzioni attinenti alla gestione dell’impresa sociale o di società che la controllano o ne sono controllate». Il comma 3 specifica poi che almeno uno dei componenti del comitato deve essere scelto fra i revisori legali iscritti al registro apposito. Infine, al consiglio di amministrazione è demandata di provvedere con solerzia alla sostituzione del componente, in caso di morte, rinuncia, revoca o decadenza di questi, «[…] scegliendo tra gli altri amministratori in possesso dei requisiti previsti dai commi precedenti […], o, ove non sia possibile, provvedendo a scegliere altra persona provvista dei medesimi requisiti. Nel sistema monistico, per quanto concerne il consiglio di amministrazione e il comitato per il controllo sulla gestione trovano infine applicazione, normalmente, ciò che è statuito circa il sistema di governo tradizionale, in riferimento al consiglio di amministrazione ed al collegio sindacale (artt. 2409-noviesdecies, comma 1, 2409-octiesdecies, comma 6, c.c.).
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Note
[1] Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. Diritto delle società, vol. II, Utet, Torino 2009, p. 185 ss.; F. Denozza, A che serve il capitale sociale?, in “Giurisprudenza commerciale”, 2002, I, p. 585.
[2] A tal proposito, si fa notare che sebbene l’art. 2342, comma 2, c.c. preveda che «alla sottoscrizione dell’atto costitutivo deve essere versato […] almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro […]», dall’esame incrociato con l’art. 2328, n. 4, c.c. si evince in realtà che tale versamento va eseguito prima della sottoscrizione dell’atto costitutivo, poiché, recita la norma, «l’atto costitutivo […] deve indicare […] l’ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato». Ciò considerato, è interessante la spiegazione fornitaci dal Consiglio Notarile di Milano rispetto a tale percentuale da versare, come detto, anticipatamente. «L’obbligo di versamento dei venticinque centesimi dei conferimenti in denaro, previsto dagli artt. 2342, comma 2, c.c. (in sede di costituzione), e 2439, comma 1, c.c. (in sede di aumento di capitale), va riferito, oltre che all’ammontare complessivo del capitale sociale, anche all’ammontare del conferimento dovuto per ciascuna azione, in modo che tutte le azioni risultino sempre liberate per i 25 centesimi del loro valore nominale. Ciò significa, in ipotesi di assegnazione proporzionale delle azioni ai soci, che l’obbligo di versamento dei venticinque centesimi dei conferimenti in denaro può intendersi rispettato: (i) sia qualora ciascun socio abbia versato il 25 per cento dei conferimenti da lui dovuti; (ii) sia qualora uno o più soci abbiano versato il 25 per cento dei conferimenti da loro dovuti, oltre al 25 per cento dei conferimenti dovuti da uno o più altri soci, con imputazione di tale versamento alla parziale liberazione delle azioni assegnate a questi ultimi, di guisa che tutte le azioni della società risultino liberate per i 25 centesimi del loro valore nominale. Il citato obbligo non può invece dirsi rispettato qualora il versamento dei 25 centesimi del valore nominale complessivo delle azioni emesse dalla società venga effettuato solo da uno o più soci, in misura superiore al 25 per cento del valore nominale delle azioni ad essi assegnate, senza imputazione di tale eccedenza alla parziale liberazione delle azioni assegnate agli altri soci, di guisa che alcune azioni della società risultino liberate in misura superiore al 25 per cento, mentre altre azioni risultino liberate in misura inferiore. Analoghi principi si intendono applicabili nella s.r.l., in relazione ai corrispondenti obblighi di versamento dei conferimenti in denaro, disposti dall’art. 2464, comma 4, c.c. (in sede di costituzione) e dall’art. 2481-bis, comma 4, c.c. (in sede di aumento di capitale)». (Consiglio Notarile di Milano, massima n. 76, Versamento dei venticinque centesimi dei conferimenti in sede di costituzione e di aumento di capitale (artt. 2342, comma 2, 2439, comma 1, 2464, comma 4, e 2481-bis, comma 4, c.c.)).
[3] Per completezza si deve far riferimento ad un caso d’eccezione rappresentato dalla s.p.a. unipersonale, per la quale in verità è prevista la responsabilità illimitata del socio unicamente quando i conferimenti risultino non integralmente effettuati a norma dell’art. 2432, comma 2 e 4, c.c..
[4] Sulla questione circa la natura giuridica che lega gli amministratori alla società, si rimanda a U. De Crescenzo, Il rapporto società-amministratori, in Cagnasso – Panzani (diretto da), Le nuove s.p.a., Zanichelli, Bologna 2010, p. 723 ss.
[5] Cfr. L. Genghini – P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, tomo I, Cedam, Padova 2015, p. 380.
[6] Cfr. Relazione al d. lgs. n. 6/2003 § 6, 6. Collegio sindacale: «Significative sono state le innovazioni in materia di collegio sindacale. In primo luogo il controllo contabile è stato sottratto al collegio sindacale ed è stato attribuito ad un revisore o società di revisione (artt. 2403 e 2409 bis primo e secondo comma), con la sola eccezione, per di più facoltativa, per le società che, oltre a non fare ricorso al mercato del capitale di rischio, non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato (artt. 2403, secondo comma, e 2409 bis, terzo comma). I compiti del collegio sindacale sono stati pertanto limitati alla vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società (art. 2403, primo comma): pertanto, sebbene la norma relativa alla responsabilità dei sindaci abbia subito solo piccole modifiche (art. 2407), l’ambito della responsabilità risulta meglio definito e sostanzialmente ristretto. In secondo luogo sono state meglio definite ed ampliate sia le cause d’ineleggibilità e decadenza al fine di garantire l’indipendenza e neutralità di tutti i sindaci (art. 2399), sia i requisiti di professionalità, prevedendo la possibilità che la maggioranza dei sindaci non sia iscritta nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia, anche se gli altri sindaci devono pur sempre essere iscritti in albi professionali individuati con decreto del Ministro della Giustizia, o essere professore di ruolo in materie economiche o giuridiche (art. 2397, secondo comma).
[7] Cfr. A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, Giuffrè, Milano 2009, p. 980.
[8] A. Graziani – G. Minervini – U. Belviso, Manuale di Diritto Commerciale, Cedam, Padova 2011, pp. 244-245.
[10] Cfr. M. Milli, La deliberazione assembleare. Teoria generale e dogmatica, Cedam, Padova 2007.
[11] Cfr. R. Santagata, Interlocking directorates ed «interessi degli amministratori» di società per azioni, in “Riv. Società”, 2009, p. 310 ss.
[12] Per una panoramica complessiva si rimanda a S. Ambrosini (a cura di), La responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, Giuffrè, Milano 2007.
[13] Cfr. Relazione al d. lgs. n. 6/2003 § 6, 6. Collegio sindacale: «Significative sono state le innovazioni in materia di collegio sindacale. In primo luogo il controllo contabile è stato sottratto al collegio sindacale ed è stato attribuito ad un revisore o società di revisione (artt. 2403 e 2409 bis primo e secondo comma), con la sola eccezione, per di più facoltativa, per le società che, oltre a non fare ricorso al mercato del capitale di rischio, non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato (artt. 2403, secondo comma, e 2409 bis, terzo comma). I compiti del collegio sindacale sono stati pertanto limitati alla vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società (art. 2403, primo comma): pertanto, sebbene la norma relativa alla responsabilità dei sindaci abbia subito solo piccole modifiche (art. 2407), l’ambito della responsabilità risulta meglio definito e sostanzialmente ristretto. In secondo luogo sono state meglio definite ed ampliate sia le cause d’ineleggibilità e decadenza al fine di garantire l’indipendenza e neutralità di tutti i sindaci (art. 2399), sia i requisiti di professionalità, prevedendo la possibilità che la maggioranza dei sindaci non sia iscritta nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia, anche se gli altri sindaci devono pur sempre essere iscritti in albi professionali individuati con decreto del Ministro della Giustizia, o essere professore di ruolo in materie economiche o giuridiche (art. 2397, secondo comma).
[14] «Tale impostazione non è contraddetta dalla previsione dell’art. 2409-terdecies, lett. f) bis, c.c., che attribuisce al consiglio di sorveglianza (solo ove lo statuto lo preveda) il potere di deliberare «in ordine alle operazioni strategiche ai piani industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione, ferma in ogni caso la responsabilità di questo per gli atti compiuti». La deliberazione ivi prevista non è dissimile nella sostanza dalle autorizzazioni che l’assemblea ordinaria può fornire per l’art. 2364, n. 5, c.c., anche se nella fattispecie in esame l’ingerenza nella gestione è limitata al sindacato di operazioni strategiche (e alla pianificazione industriale e finanziaria) e non si estende a singoli atti di gestione, altrimenti il consiglio di sorveglianza si ritroverebbe a controllare atti da lui stesso autorizzati (F. Ferrara – F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Giuffrè, Milano 2011, p. 653). Anche questo aspetto differenzia il modello italiano dai modelli ispiratori in quanto il sistema tedesco prevede, ad esempio, che determinati atti di amministrazione siano riservati alla competenza del consiglio di sorveglianza. Infine sul punto è da osservarsi che nel sistema dualistico, dato il mancato richiamo proprio dell’art. 2364, n. 5, c.c., è dubbio se lo statuto possa subordinare il compimento di atti del consiglio di gestione all’autorizzazione dell’assemblea: in senso negativo C. Montagnani, Art. 2364-2364-bis, in Società di capitali: commentario a cura di G. Niccolini – A. Stagno d’Alcontres, Jovene, Napoli 2004, p. 450; mentre ritiene ammissibile siffatta clausola statutaria G. Rescio, L’assemblea nel progetto della riforma delle società di capitali, in Atti del Convegno sul tema «Verso il nuovo diritto societario. Dubbi e attese», Firenze, 16 novembre 2002, il quale afferma che il silenzio del legislatore non possa essere inteso come implicito divieto considerato, considerato che essa potrebbe rispondere all’interesse meritevole di tutela della società di attuare una forma, seppur blanda, di controllo diretto e preventivo dell’assemblea sui singoli atti gestori» (L. Genghini – P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, tomo I, Cedam, Padova 2015, p. 550, nota 242.).
[15] L’art. 2450 c.c. è stato abrogato dall’art. 3, comma 1, del d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito dalla L. 6 aprile 2007, n. 46, come previsto dalla sentenza della Corte di giustizia della Comunità europee C-197/03 dell’11 maggio 2006.
[16] Importante, al riguardo, risulta essere la chiarificazione pervenuta dal Comitato Triveneto dei Notai, massima H.D.3, Consiglio di gestione – Nomina dei componenti – Imperatività della normativa, 1° pubbl. 9/06. «É da ritenersi illegittima una clausola statutaria che attribuisca la nomina dei consiglieri di gestione all’assemblea. La competenza, tanto in materia di nomina (e revoca) dei gestori quanto di determinazione del loro compenso, è rimessa in via di principio (restando salve le eccezioni poste dallo stesso art. 2409 novies, comma 3, c.c. riguardanti la prima nomina e quelle stabilite in virtù degli artt. 2351, 2449 e 2450 c.c.) al consiglio di sorveglianza. Solo per la determinazione del compenso è possibile derogare alla suddetta regola generale, attribuendo il relativo potere all’assemblea ai sensi dell’art. 2409 terdecies lett. a), c.c.».
[17] Idem, massima H.D.4, Cause particolari di ineleggibilità e decadenza – Passaggio vietato tra Consiglio di gestione e Consiglio di sorveglianza nel solo arco di tempo del mandato, 1° pubbl. 9/06.
[18] A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, Giuffrè, Milano 2009, p. 994.
[19] «È dubbio se i componenti del consiglio di sorveglianza abbiano il potere di procedere individualmente agli atti di ispezione e di controllo di cui all’art. 2403-bis c.c. […]» (L. Genghini – P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, cit., p. 560, nota 272).
[20] Cfr. Comitato Triveneto dei Notai, massima H.D.13, Consiglio di sorveglianza – Composizione – Numero minimo legale – Autonomia – 1° pubbl. 9/06: «La norma dell’art. 2409 duodecies c.c. fissa soltanto il numero minimo dei componenti il consiglio di sorveglianza (tre) lasciando all’autonomia statutaria la determinazione del numero massimo. Appare legittimo che lo statuto possa prevedere, oltre ad un numero fisso di componenti il consiglio di sorveglianza (pari a tre o superiore), la sola determinazione di un numero minimo e massimo, lasciando in tale ultimo caso all’assemblea il potere di decidere, volta per volta, il numero dei componenti (entro i limiti statutari)».
[21] Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. Diritto delle società, cit., p. 427.
[22] L. Genghini – P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, cit., p. 564.
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