I reati a consumazione prolungata -scheda di diritto

Il seguente articolo intende analizzare i reati a consumazione prolungata e le conseguenze che i medesimi possono avere con riguardo ad una serie di istituti, quali: la prescrizione, la successione delle leggi penali nel tempo, la qualificazione della condotta del terzo che interviene, successivamente al perfezionamento del reato, ma prima che questo abbia esaurito la consumazione (quindi, quando la condotta è ancora in corso), dando un suo contributo causale.
     Indice

Cosa si intende per reati a consumazione prolungata?
Le fattispecie di reati a consumazione prolungata
L’elemento caratterizzante dei reati a consumazione prolungata: la scissione tra perfezionamento e consumazione del reato
Favoreggiamento o concorso di persone: qualificazione della condotta del terzo, il quale interviene, dopo il perfezionamento del reato, ma prima della consumazione, dando un suo contributo causale

1. Cosa si intende per reati a consumazione prolungata?
I reati a consumazione prolungata costituiscono una categoria di genere, all’interno della quale è possibile ricondurre diverse species.
La caratteristica comune dei reati in esame consiste nel fatto che si assiste ad un protrarsi, ad un reiterarsi o, talvolta, anche alla realizzazione di condotte alternative rispetto a quelle che sono necessarie e sufficienti per il perfezionamento della fattispecie delittuosa.
In conseguenza di siffatte condotte che si prolungano, si reiterano, oppure che sono alternative rispetto alla fattispecie base, si verifica contestualmente un protrarsi dell’offesa.
Ne deriva che, ad esempio, un omicidio, preceduto da una condotta anche prolungata, che si risolve in una serie di colpi inferti alla vittima, che poi portano alla morte della stessa, non è un reato a consumazione prolungata.
In tal caso, infatti, siamo in presenza di un reato istantaneo, posto che la condotta, pur prolungandosi, non continua ad alimentare l’offesa, consumandosi definitivamente ed istantaneamente nel momento in cui si verifica la morte.
2. Le fattispecie di reati a consumazione prolungata
All’interno della categoria dei reati a consumazione prolungata è possibile far rientrare diverse tipologie delittuose.
Tra di esse vanno, anzitutto, menzionati i reati necessariamente permanenti, rispetto ai quali, già ai fini del perfezionamento della fattispecie penalmente rilevante, si richiede che vi sia, nella fase iniziale, un prolungamento dell’offesa per un significativo lasso temporale.
Dunque, presupposto indispensabile, affinché sia integrato il reato, è che vi sia un protrarsi della condotta minimo.
Tipico esempio è il sequestro di persona ex art. 605 c.p., caratterizzato dal fatto che, già nella fase iniziale, la lesione del bene protetto (ossia la libertà della persona, la libertà di movimento, la libertà di autodeterminarsi) permane per un intervallo minimo di tempo, che deve essere apprezzabile (secondo al giurisprudenza, non sono sufficienti pochi istanti, ma occorrono alcuni minuti).
È, tuttavia, possibile che, dopo questo lasso temporale minimo necessario per il perfezionamento della fattispecie di sequestro di persona, la persona offesa continui ad essere privata della sua libertà personale.
In tal caso, quindi, l’offesa si protrae in conseguenza del prolungarsi della condotta.
Un fenomeno analogo si verifica nel reato necessariamente abituale, che si connota per il fatto che, ai fini del perfezionamento della fattispecie costitutiva, serve una condotta che si prolunghi nel tempo, non in maniera continuativa (come la permanenza), ma intervallata da episodi omogenei che denotano abitualità.
Si pensi, a tal riguardo, ai maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., rispetto ai quali si richiede una reiterazione abituale di più episodi violenti e vessatori omogenei, ripetuti in un breve lasso temporale (secondo la giurisprudenza, ve ne devono essere almeno 4 o 5 in due mesi e non due a distanza di anni).
Occorrono, pertanto, ai fini della configurabilità di tale fattispecie delittuosa, l’abitualità delle condotte, nonché il dolo unitario, ossia la consapevolezza che ogni episodio lesivo si ricongiunga all’altro e la volontà di continuare in questo prolungamento dell’offesa.
Si badi bene, però, che il c.d. dolo unitario non è una preordinazione, non postulando la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale i vari episodi lesivi, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzati. Al contrario, esso presuppone solo la consapevolezza e la volontà dell’agente di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima.
Rientrano nell’ambito della categoria in esame, altresì, i reati eventualmente permanenti, che si possono, cioè, perfezionare istantaneamente – come l’incesto ex art. 564, co. 1, c.p. – ma che, tuttavia, possono essere anche caratterizzati da una certa abitualità, integrandosi, in tal caso, una fattispecie delittuosa più grave, quale ad esempio la relazione incestuosa di cui all’art. 564, co. 2, c.p.
Vi sono, poi, anche i reati a condotta reiterata ma non necessariamente abituale, come gli atti persecutori, o c.d. stalking, ex art. 612-bis c.p., che è un reato che sanziona chi, con condotte reiterate di minacce o molestie, cagioni anche uno soltanto degli eventi alternativi descritti dall’art. 612-bis c.p., la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo (perdurante stato di paura, fondato timore per la propria incolumità o quella di un congiunto, alterazione dello stile e delle abitudini di vita).
In questa ipotesi, viene in rilievo un reato a consumazione prolungata, che non presuppone necessariamente l’abitualità, atteso che è sufficiente la mera reiterazione, ossia il compimento di sole due condotte lesive, anche distanziate nel tempo e inidonee ad integrare l’abitualità, da cui però conseguono gli eventi descritti dalla norma, che cagionino un’offesa, che può essere alimentata da successive reiterazioni.
Ancora, vanno menzionati i reati a consumazione alternativa – come l’usura ex art. 644 c.p., l’estorsione ex art. 629 c.p., la concussione ex art. 317 c.p. e la corruzione ex art. 318 c.p.  –  rispetto ai quali è possibile che, dopo la prima fattispecie (es. promessa), si realizzino le condotte alternative relativamente previste (es. dazione-riscossione) e queste determinino il prolungamento della consumazione.
In tali casi, il reato si perfeziona con la promessa e continua a consumarsi a seguito di ogni singola dazione-riscossione.
Infine, vi sono dei reati che possono, a seconda delle concrete circostanze, dare vita a questo prolungamento della consumazione, come ad esempio il disastro innominato di cui all’art. 434 c.p., che può essere istantaneo, oppure può avvenire lentamente, progressivamente (come normalmente accade quando si parla di diffusione di sostanze inquinanti che gradualmente inquinano il sito o l’ambiente, continuando a danneggiarlo in conseguenza del protrarsi della condotta).

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Michele RossettiAvvocato, già Giudice Onorario presso il Tribunale di Taranto, docente alla Scuola di Formazione dei Consulenti del Lavoro, docente presso la Scuola di Formazione Forense di Taranto, Responsabile della Scuola di Alta Specializzazione per Avvocati Penalisti presso la Camera Penale di Taranto.

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3. L’elemento caratterizzante dei reati a consumazione prolungata: la scissione tra perfezionamento e consumazione del reato
Risulta, dunque, piuttosto evidente che la categoria dei reati a consumazione prolungata è caratterizzata da una forte eterogeneità.
Le diverse fattispecie che vi rientrano, tuttavia, sono accomunate da una caratteristica fondamentale, ossia dalla scissione tra il momento perfezionativo ed il momento della consumazione.
Il momento perfezionativo è quello in cui viene integrato ciò che è necessario e sufficiente affinché sia configurabile una fattispecie penalmente rilevante.
La consumazione del reato, invece, si ha quando, nel reato permanente, cessa la permanenza e, più in generale, la condotta finisce di alimentare il protrarsi dell’offesa. È, in siffatto momento, che l’offesa raggiunge l’apice, il suo livello massimo. Dopo di esso, infatti, è anche possibile che l’offesa permanga, ma non è più alimentata da una condotta che si protrae nel tempo.
Tale distinzione tra perfezionamento e consumazione del reato è di estrema importanza, in quanto fa nascere una serie di questioni, in materia di prescrizione, di successione delle leggi penali nel tempo e di qualificazione della condotta del terzo, il quale interviene successivamente al perfezionamento del reato, ma prima che questo abbia esaurito la consumazione.

In materia di prescrizione

Anzitutto, in materia di prescrizione, si è posto il problema di individuare il tempus commissi delicti e, quindi, il momento in cui comincia a decorrere, per questi reati, il termine prescrizionale.
Va precisato che il legislatore, con riferimento al sequestro di persona di cui all’art. 605 c.p., ha espressamente dettato una disciplina particolare per quanto concerne il dies a quo del termine di prescrizione, prevedendo che, in questo caso, esso inizi a decorrere dal momento in cui cessa la permanenza.
Più precisamente, si fa riferimento al momento in cui viene meno il rapporto tra la condotta e l’offesa, nel senso che la prima cessa di alimentare la seconda.
Ciò, ad esempio, può accadere nel caso in cui l’ostaggio è liberato, oppure nelle ipotesi in cui, pur non essendo stato quest’ultimo rimesso in libertà, i sequestratori non ne hanno più la disponibilità per altre ragioni.
Ebbene, secondo parte della giurisprudenza, tale disciplina relativa alla decorrenza del termine di prescrizione è molto importante perché, pur essendo specificamente rivolta al reato permanente, è valevole anche per gli altri reati a consumazione prolungata.
In sostanza, dunque, da siffatta disciplina è stato ricavato una sorta di principio generale, in forza del quale, nei reati a consumazione prolungata, il dies a quo da cui inizia a decorrere il termine di prescrizione non coincide con il perfezionamento del reato (cioè con il momento iniziale in cui si verifica l’offesa penalmente rilevante), ma con la consumazione del medesimo (ossia con il momento finale, in cui cessa il prolungamento ed il protrarsi della condotta che quindi non alimenta più l’offesa).

In materia di successione delle leggi nel tempo

L’identificazione del tempus commissi delicti rileva sotto un ulteriore profilo, cioè quello dell’applicazione dell’art. 2 c.p., e dunque della disciplina della successione delle norme penali nel tempo, nei reati a consumazione prolungata.
Ed invero, occorre chiedersi cosa accada nell’ipotesi in cui, durante il prolungarsi della consumazione, dovesse cambiare la disciplina penale ed intervenire una norma più sfavorevole.
La questione è stata incidentalmente esaminata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (pronuncia n. 40986, del 19 luglio 2018), quando si sono occupate di una fattispecie, in realtà, diversa, ossia della successione di leggi penali nel tempo nei reati caratterizzati da un evento differito.
I reati ad evento differito non sono reati a consumazione prolungata, o per lo meno non lo sono necessariamente.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, veniva in rilievo un reato a consumazione istantanea – omicidio stradale di cui all’art. 589-bis c.p. –, in cui l’evento lesivo – la morte della vittima – si era verificato un po’ di tempo dopo rispetto alla condotta.
Il problema che si era posto, nella specie, riguardava il fatto che, quando la condotta era stata realizzata, era prevista solo la possibilità di riconoscere l’aggravante nel caso in cui l’omicidio era stato commesso violando le norme del Codice della strada.
Tuttavia, nell’intervallo temporale tra la condotta e l’evento, era sopravvenuta una normativa più sfavorevole, che ha introdotto la fattispecie delittuosa dell’omicidio stradale.
Quindi, nel momento in cui si era verificata la morte della persona offesa, v’era una normativa più sfavorevole, che non sussisteva quando la condotta era stata posta in essere.
Era sorto, pertanto, un dibattito in merito all’individuazione del tempus commissi delicti, dovendosi stabilire se il medesimo fosse quello della condotta o quello dell’evento.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il problema, precidando, anzitutto, che la nozione di tempus commissi delicti è cangiante, e quindi deve essere adattata all’istituto che viene di volta in volta in considerazione ed alla funzione del medesimo.
Nel caso di specie, a venire in rilievo era il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, la cui ratio è quella di garantire la calcolabilità e la prevedibilità del rischio penale.
Esso, dunque, presuppone che, nel momento in cui il soggetto pone in essere la condotta, deve già esserci la legge di riferimento, perché è necessario che per costui siano prevedibili le conseguenze penali delle sue azioni.
Appare allora evidente che, ai fini dell’applicazione del principio di irretroattività sfavorevole, ciò che conta è il momento della condotta, ossia quello in cui il soggetto compie la scelta di porsi contro la norma incriminatrice.
Se l’evento si verifica (a causa della condotta) successivamente, in una situazione in cui esso è ormai indipendente dalla sua possibilità di scelta, è chiaro che, ove si andasse ad applicare la norma che sopravviene, si verificherebbe quello che il principio di irretroattività intende escludere, ossia che il rischio penale diventi incalcolabile.
Il soggetto verrebbe, cioè, a sopportare delle conseguenze penali che, nel momento della condotta, non poteva prevedere, perché non v’era la legge di riferimento.
Pertanto, piuttosto agevolmente la Suprema Corte ha affermato che, nei reati caratterizzati da un evento differito, ai fini della applicazione dell’art. 2 c.p., ciò che conta è il momento della condotta e non quello dell’evento.
In tale occasione, per quel che più ci interessa, sono state fatte, incidenter tantum, delle considerazioni su quello che può accadere nelle fattispecie dove c’è proprio un protrarsi nel tempo della condotta (c.d. reati a consumazione prolungata, come il reato permanente, il reato abituale e anche i reati non propriamente abituali ma comunque caratterizzati da un necessario prolungamento).
Più precisamente, si è osservato che, se, nella fase del prolungamento della condotta, interviene una nuova norma o incriminatrice (che quindi incrimina ex novo una condotta che prima non era penalmente rilevante – come nel caso di atti persecutori –) o modificatrice, la stessa non potrà applicarsi retroattivamente alle condotte poste in essere in precedenza.
Ciò implica che, nel vigore della nuova norma sfavorevole, diventa centrale la scelta dell’agente, il quale si è potuto confrontare con la nuova disciplina (grazie anche alla vacatio legis che, comunque, precede normalmente l’entrata in vigore della legge).
Conseguentemente, nel caso in cui, dopo l’introduzione della nuova norma incriminatrice o modificatrice più sfavorevole, costui scegliesse di cessare la condotta, quest’ultima non sarà applicabile nei suoi confronti (laddove quella fattispecie però costituiva già reato, egli sarà punibile solo sulla base della vecchia norma meno severa, e soltanto per il pregresso).
Al contrario, nell’ipotesi in cui l’agente, pur sapendo che nel frattempo è intervenuta la nuova legge che peggiora il trattamento sanzionatorio o introduce la nuova figura criminosa, decidesse di protrarre la condotta (sotto la vigenza della nuova legge), si riterrà giustificata l’applicabilità della nuova disciplina più sfavorevole.
Con la precisazione però – affermano le Sezione Unite – che, se si tratta di un reato caratterizzato dal fatto che, ai fini del perfezionamento iniziale, sia già richiesto un prolungarsi della condotta (come, ad esempio, nel reato permanente, nel reato abituale o anche in alcune forme di reato a condotta reiterata  pur prive dell’abitualità come gli atti persecutori), è comunque indispensabile che, nel vigore della nuova incriminazione, sia configurabile quel protrarsi della condotta minimo necessario per il perfezionamento della fattispecie.
Così, ad esempio, se venisse introdotto un reato permanente, è fondamentale che, nel vigore della nuova incriminazione, l’offesa si protragga per quel lasso apprezzabile di tempo che rappresenta il minimum richiesto dalla legge. Chiaramente non si può contare l’offesa che già si è protratta prima, perché allora non era ancora vigente la norma incriminatrice.
La stessa cosa vale anche laddove venisse in rilievo un nuovo reato abituale o fosse inasprito il trattamento sanzionatorio di uno già esistente (come i maltrattamenti in famiglia). In tal caso, al fine di applicare la norma sfavorevole sopravvenuta, è indispensabile che, nel vigore di quest’ultima, sia posta in essere la condotta permanente, siano integrati o nuovamente integrati gli elementi costitutivi della fattispecie.
Ugualmente, ove fossero introdotti dei reati a condotta reiterata ma non necessariamente abituale (come gli atti persecutori), occorre che la reiterazione sia configurabile anche nel vigore della nuova fattispecie, mentre non assumono rilevanza gli episodi vessatori posti in essere precedentemente.
In conclusione, con riguardo ai reati a consumazione prolungata, il principio di diritto affermato dal Supremo Collegio è che, se durante il prolungamento della consumazione, c’è un peggioramento del trattamento penale, la norma sfavorevole sarà applicabile a condizione che, dopo la sua entrata in vigore, la condotta non solo continui, ma lo faccia per un tempo minimo necessario ad integrare gli elementi costitutivi della fattispecie che, di volta in volta, viene in considerazione.
4. Favoreggiamento o concorso di persone: qualificazione della condotta del terzo, il quale interviene, dopo il perfezionamento del reato, ma prima della consumazione, dando un suo contributo causale
L’aspetto maggiormente problematico che, con riguardo alle fattispecie delittuose in esame, pone la scissione tra il momento perfezionativo e quello consumativo del reato riguarda la qualificazione della condotta del terzo, il quale, successivamente al perfezionamento del reato, ma prima che questo si sia consumato, intervenga, dando un suo contributo causale.
In questa ipotesi, ci si è chiesti se il contributo del terzo possa essere qualificato – e sulla base di quali criteri – come favoreggiamento personale ex art. 378 c.p. o reale ex art. 379 c.p., da un lato, oppure, come concorso di persone nel reato di cui all’art. 110 c.p., dall’altro.
Come è noto, mentre il favoreggiamento è un reato a condotta vincolata, al contrario, il concorso di persone è un reato a forma libera.
Ciò significa che, ai fini del concorso di persone, rileva qualsiasi contributo che abbia efficacia eziologica, dato con la consapevolezza e la volontà di concorrere alla consumazione del reato.
Tuttavia, il contributo del concorrente può risolversi in una condotta che per la sua oggettività coincide con quella del favoreggiamento.
Il tradizionale criterio di distinzione di carattere temporale prevede che, prima del perfezionamento del reato, può eventualmente esserci solo il concorso di persone, mentre non è immaginabile il favoreggiamento, posto che quest’ultimo richiede che il fatto sia stato già commesso.
Dopo la definitiva consumazione, invece, può eventualmente esserci soltanto il favoreggiamento, se la condotta corrisponde a quella di cui all’art. 378 o 379 c.p., ma non è ipotizzabile il concorso di persone, perché presuppone che la commissione sia in atto e non già conclusa.
Il problema, però, di come qualificare la condotta del terzo si pone in quel lasso temporale elastico in cui si ha una sfasatura tra il momento perfezionativo e quello consumativo (quindi, v’è un reato sì perfezionato, ma non ancora definitivamente consumato).
Si consideri, ad esempio, il concorso esterno in associazione mafiosa, ove il soggetto estraneo dà un suo contributo configurabile come concorso esterno quando l’associazione, già perfezionata, è ancora in atto. Tuttavia, in quella stessa fase, il contributo del concorrente esterno può risolversi in una condotta che per la sua oggettività coincide con quella del favoreggiamento.
Si pensi, ancora, al già menzionato sequestro di persona, in cui il terzo potrebbe intervenire sempre dopo che sia iniziata la privazione di libertà, cioè quando il sequestro è in atto, per aiutare il sequestratore ad eludere le investigazioni o ad assicurarsi – se lo ha ricevuto già – il riscatto, se già è stato pagato.
Il terzo potrebbe, però, anche agire non tanto come favoreggiatore, ma proprio come concorrente, aiutando, con animus socii, i sequestratori a nascondersi, ponendo in essere una condotta che ha efficacia eziologica rispetto al mantenimento della permanenza.
Ebbene, è chiaro che, in questi casi in cui la condotta del concorso coincide con quella del favoreggiamento sotto il profilo materiale, si rende assolutamente necessario risolvere il problema di capire quando interviene l’una o l’altra fattispecie delittuosa.
Di regola, la distinzione viene affidata all’elemento soggettivo del terzo, nel senso che bisogna vedere se costui fosse mosso da dolo di favoreggiamento o da dolo del concorso di persone.
Tale indagine deve essere compiuta caso per caso, senza inutili ed ingiustificati automatismi, che ancora oggi, invece, ricorrono nella giurisprudenza, in materia di detenzione di sostanze stupefacenti.
La detenzione di sostanze stupefacenti di cui al DPR. n. 309/90 (artt. 73 o 75 a seconda che sia per fini di spaccio o di utilizzo personale) è un reato di possesso eventualmente permanente, in quanto, ai fini del suo perfezionamento, non serve il protrarsi dell’offesa per un apprezzabile lasso temporale. Però, normalmente, è un reato che perdura nel tempo, e quindi è a consumazione prolungata.
Rispetto alla detenzione di sostanze stupefacenti, si pone spesso il problema di comprendere come qualificare la condotta del convivente o familiare che, nel momento in cui la polizia irrompe nell’abitazione dello spacciatore, per proteggerlo, cerca di occultare la droga, dimostrando anche una consapevolezza circa l’esistenza della stessa, oppure, per assicurare il prodotto, il prezzo o profitto del reato, la mette al sicuro.
Questo tipo di condotta, in linea teorica, potrebbe essere configurata come favoreggiamento personale o reale.
In realtà, con la sentenza Biondi del 2012, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nell’affrontare incidentalmente la questione, hanno affermato che, in materia di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, il favoreggiamento non è configurabile, poiché nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve in un concorso nel reato, quantomeno a carattere morale.
Prendendo spunto dalla pronuncia in questione, un orientamento ricorrente nella giurisprudenza di legittimità ha dato vita ad un automatismo, che esclude la compatibilità fra detenzione e favoreggiamento, ritenendo che quest’ultimo non sia, ad esempio, configurabile in relazione alla condotta di chi, dopo l’avvenuto spossessamento della droga da parte del detentore mediante il lancio da un’automobile in corsa, lo aiuti a recuperarla.
Altra giurisprudenza, invece, in maniera più corretta, ha evidenziato che siffatto automatismo non sia accettabile, in quanto del tutto ingiustificato.
Si è osservato, infatti, che, sebbene in astratto è fuori discussione la compatibilità tra reato permanente e favoreggiamento, la stessa non può non valere in materia di detenzione di sostanze stupefacenti, dato che si tratta di un reato eventualmente permanente.
Il reato permanente si perfeziona nel momento in cui è posta in essere la situazione giuridica tipica, anche se l’illecito si protrae nel tempo, per effetto della condotta dell’agente.
Pertanto, l’intervento di un terzo volto ad aiutare l’autore del reato, se non si risolve in un apporto concreto e consapevole alla protrazione dell’illecito, può dar luogo al reato di favoreggiamento.
Si pensi al caso in cui il terzo agisca in quanto sollecitato dallo spacciatore, il quale, durante la perquisizione, gli mette in mano la droga, chiedendo di nasconderla. Ciò potrebbe essere un indice sintomatico del fatto che la sua condotta è stata posta in essere soltanto per aiutarlo ad eludere le investigazioni, o ad assicurarsi il prodotto del reato, piuttosto che per dar continuità alla situazione antigiuridica istauratasi con la detenzione illecita.
Al contrario, una modalità pratica che potrebbe denotare consapevolezza della detenzione, e quindi in qualche modo concorso di persone, è quella di chi autonomamente, dimostrando di sapere dove si trova la droga, la va a cercare per nasconderla, senza che, quindi, ci sia una sorta di interazione immediata con il detentore. Questa condotta, in effetti, potrebbe risolversi in un contributo alla permanenza del reato e denotare il dolo del concorso di persone.
Sempre in tale ottica, è stato ravvisato il concorso di persone nella condotta dell’imputato sorpreso a sorvegliare dall’esterno l’appartamento dove i complici erano intenti a confezionare la sostanza stupefacente.
Si è evidenziato, infatti, che in questo caso si è in presenza di un contributo causale che va oltre il favoreggiamento, dal momento che vi è la consapevolezza di contribuire, anche in minima parte, alla realizzazione di una condotta più articolata.
Ad avviso di tale impostazione, pertanto, il discrimine fra concorso di persone e favoreggiamento va ravvisato tenendo conto della direzione in cui si svolge l’azione, delle modalità pratiche della condotta e dell’elemento soggettivo del terzo.
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