I poteri del Tribunale del riesame in materia di appello cautelare

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La questione
La soluzione adottata dalla Cassazione
Conclusioni

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 310)
1. La questione
Il Tribunale del riesame di Catanzaro rigettava un appello proposto ex art. 310 cod. proc. pen. avverso una ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro che aveva, a sua volta, disatteso la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari.
Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, censurandosi in sostanza l’operato compiuto dai giudici de libertate.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il ricorso era dichiarato inammissibile.
In particolare, la Suprema Corte addiveniva alla sua reiezione innanzitutto richiamando quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato (ex plurimis: Sez. 6, n. 45826 del 27/10/2021; Sez. 2, n. 18130 del 13/04/2016).
La cognizione del Tribunale in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., dunque, sempre secondo il Supremo Consesso, non può superare i confini tracciati dai motivi, anche dalla natura del provvedimento impugnato, che è del tutto autonomo rispetto all’ordinanza genetica, non dovendo riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni dì applicabilità della misura, ma stabilire se il provvedimento gravato sia immune da violazioni di legge ed adeguatamente motivato in relazione all’eventuale allegazione di fatti nuovi, fermo restando il dovere di revocare la misura al venir meno delle condizioni di sua applicabilità (Sez. 2, n. 1134 del 22/02/1995).
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, gli Ermellini ritenevano come il Tribunale di Catanzaro avesse fatto buon governo di tali principi, rilevando l’assenza di elementi di novità valutabili al fine di attenuare la diagnosi relativa all’attualità delle esigenze cautelari e, in particolare, precisando come non potesse ritenere tale il tempo trascorso tra l’epoca di commissione dei fatti e l’applicazione della misura.
3.  Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi precisato quali sono i poteri del Tribunale del riesame in materia di appello cautelare.
Difatti, si afferma in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento interpretativo, che, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, e ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato; di conseguenza, la cognizione del Tribunale, in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., non può superare i confini tracciati dai motivi, anche dalla natura del provvedimento impugnato, che è del tutto autonomo rispetto all’ordinanza genetica, non dovendo riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni dì applicabilità della misura, ma stabilire se il provvedimento gravato sia immune da violazioni di legge ed adeguatamente motivato in relazione all’eventuale allegazione di fatti nuovi, fermo restando il dovere di revocare la misura al venir meno delle condizioni di sua applicabilità.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare se la cognizione del Tribunale, in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., sia correttamente compiuta (o meno).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.
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Michele RossettiAvvocato, già Giudice Onorario presso il Tribunale di Taranto, docente alla Scuola di Formazione dei Consulenti del Lavoro, docente presso la Scuola di Formazione Forense di Taranto, Responsabile della Scuola di Alta Specializzazione per Avvocati Penalisti presso la Camera Penale di Taranto.

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