I nuovi poteri dell’Agenzia delle entrate-Riscossione

Premessa
L‘Agenzia delle entrate – Riscossione è il nuovo agente della riscossione che, come previsto dal decreto legge n. 193/2016, dal 1° luglio 2017 è subentrata nei compiti oggi ricoperti da Equitalia, la quale, invece, è sparita dal nostro ordinamento lasciando il suo posto all’Agenzia delle Entrate – Riscossione.
Da predetta data, le società del gruppo Equitalia sono sciolte (tranne Equitalia Giustizia Spa, la quale continua a svolgere le funzioni diverse dalla riscossione) ed è nato l’ente pubblico economico, “Agenzia delle Entrate-Riscossione”.
Il nuovo ente assume la qualifica di agente della riscossione sul territorio nazionale (Sicilia esclusa) e, inoltre, può svolgere le attività di riscossione delle entrate tributarie o patrimoniali delle amministrazioni locali, come individuate dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), con esclusione delle società di riscossione e delle società da esse partecipate.
L’Agenzia delle entrate-Riscossione, ente strumentale dell’Agenzia delle Entrate, è sottoposta all’indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell’Economia e delle Finanze; la sua attività è monitorata dall’Agenzia delle Entrate, secondo principi di trasparenza e pubblicità
Il nuovo ente, altresì, è sottoposto al controllo della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria, ai sensi degli articoli 2 e 3 della L. 21.3.1958, n. 259.
Con DPCM 5.6.2017 è stato approvato lo Statuto del nuovo ente.
L’Agenzia delle Entrate e Riscossione subentra a titolo universale nei rapporti giuridici attivi, anche processuali, a tutte le società del gruppo Equitalia; ciò ha causato una serie di problematiche, in particolare, alcune aventi a oggetto la difesa in giudizio, di cui si tratterà in seguito.
La natura giuridica del nuovo Ente.
La prima conseguenza del passaggio di consegne tra i due agenti della riscossione è strettamente connessa alla natura del nuovo ente, profondamente diversa da quella del precedente.
Equitalia, infatti, è una società di capitali e, quindi, ha una struttura privatistica. Sebbene l’Agenzia delle Entrate e l’Inps siano i suoi soci (rispettivamente al 51% e al 49%), essa è formalmente terza rispetto al fisco. Lo stesso non può dirsi, invece, con riferimento all’Agenzia delle entrate – Riscossione, che è un ente pubblico economico, parte integrante dell’amministrazione finanziaria dello Stato.
Gli organi di detto ente non coincidono esattamente con quelli dell’Agenzia delle Entrate, poiché, oltre al comitato di gestione e al collegio dei revisori dei conti, che ne fanno parte, è stato previsto che “il presidente è scelto tra i magistrati della Corte dei Conti”.
Secondo la dottrina più autorevole, la qualificazione quale ente strumentale dovrebbe comportare  che l’ente in esame, pur perseguendo fini propri ed esclusivi, è strettamente collegato all’Agenzia delle Entrate dai vincoli di soggezione, la quale, a sua volta, è succeduta allo Stato nella gestione delle funzioni in precedenza esercitate dal dipartimento ministeriale delle entrate.
Il nuovo ente, pertanto, ha natura ibrida poiché, da un lato, ha la finalità di garantire la continuità e la funzionalità dell’attività di riscossione per conto dello Stato  e, dall’altro, dovendo acquistare le azioni di Equitalia s.p.a. e di Equitalia Giustizia s.p.a., come previsto dal comma 11 del citato art.1 del D.L. n.193/2016 e dovendo stipulare un proprio atto aggiuntivo alla convenzione di cui all’art. 59 del Dlgs n. 300/1999, come previsto al successivo comma 13, ha rilevanti caratteristiche di natura non pubblicistica.
Predetto ente ha , infatti, una disciplina molto simile all’Agenzia del demanio che anch’essa,con il dlgs n. 173/2003, è stata trasformata in ente pubblico economico e, come tale, è stato dotata di autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e di gestione.
Le ragioni di tale organizzazione si ritrovano nel fatto che , come previsto dal comma 9 del suddetto art. 1 del D.L. n.193/2016,a tale ente è stato trasferito “il personale delle società del Gruppo Equitalia, in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto con contratto di lavoro a tempo indeterminato e determinato fino a scadenza, senza soluzione di continuità e con la garanzia di conservazione della posizione giuridica, economica e previdenziale maturata alla data del trasferimento, ferma restando la ricognizione delle competenze possedute, ai fini di una collocazione organizzativa coerente e funzionale alle esigenze dello stesso ente”; da tale articolo si evince che il personale ha mantenuto lo stesso trattamento economico e di carriera notevolmente più favorevole di quello dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, proprio in virtù della sua provenienza al settore bancario.
Ai fini della difesa in giudizio, il comma 8 del predetto articolo 1 prevede che il nuovo ente “ è autorizzato ad avvalersi espressamente dell’avvocatura dello Stato[…]. Lo stesso ente può altresì avvalersi … di avvocati del libero foro, nel rispetto delle previsioni di cui agli articoli 4 e 17 del decreto legislativo 18 aprile 2016 n.50, ovvero può avvalersi di essere rappresentato , davanti al tribunale e al giudice di pace, da propri dipendenti delegati, che possono stare in giudizio personalmente; in ogni caso, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici,l’Avvocatura dello Stato, sentito l’ente, può assumere direttamente la trattazione della causa[…]” .
Tale formulazione è differente e più articolata rispetto a quella riguardante l’Agenzia delle Entrate, per la quale  l’art. 72 del dlgs n. 300/1999 aveva stabilito  che le “agenzie fiscali possono avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 43 del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n.1611, e successive modificazioni”.
Dal confronto dei suddetti articoli emerge  che il nuovo ente, subentrante a Equitalia, è una sorta di ente strumentale dell’Agenzia delle Entrate, senza però esserne parte o essere inserito e immedesimato  nell’Agenzia delle Entrate, quest’ultima istituita con Dlgs n.300/1999.
Ulteriore conferma della diversità dei summenzionati enti, è nell’art. 1 succitato, al comma 3, che qualifica l’Agenzia delle entrate-Riscossione, a differenza dell’Agenzia delle entrate, come ente pubblico “economico”, anch’esso sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza del Ministero del’Economia e delle Finanze, munito di un proprio Statuto approvato con D.P.C.M. su proposta del Ministro stesso, ma sottoposto alle disposizioni del codice civile e delle altre leggi relative alle persone giuridiche”private”.
Difesa tecnica dell’ Agenzia delle entrate-Riscossione
Difesa giudiziale davanti alle Commissioni tributarie
Per quanto riguarda la difesa davanti alle Commissioni tributarie, le conseguenze  relative a predetto passaggio di consegne al nuovo ente non sono marginali; infatti, il nuovo ente “subentra a titolo universale nei rapporti giuridici attivi e passivi , anche processuali, delle società del gruppo Equitalia … e assume la qualifica di agente della riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I capo II e al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.
Pertanto, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, avendo ereditato il personale del Gruppo Equitalia, ha l’onere di esercitare anche il patrocinio relativamente alle attività di riscossione delle entrate tributarie e patrimoniali dello Stato con detto personale.
Qualora la pretesa abbia a oggetto il merito della pretesa tributaria, il suddetto personale dovrebbe evocare in giudizio, ai sensi dell’art. 14, terzo comma del Dlgs  31 dicembre 1992, n. 546, gli Uffici impositori, che sono difesi dal personale dell’Agenzia delle Entrate; di conseguenza, in giudizio si fronteggeranno funzionari dell’Agenzia delle Entrate, che sono a tutti gli effetti funzionari pubblici, con funzionari dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione che,  grazie alla loro provenienza dal settore bancario e finanziario, hanno conservato un trattamento economico e di carriera più favorevole.
Ciò che accomuna le predette categorie di personale  è quanto sancito dal quinto comma del citato art. 1 del D.L. n. 193/2016, ovvero di “conformarsi  ai principi dello statuto di diritti del contribuente di cui alla legge  27 luglio 2000 n.212, con particolare riferimento ai principi di trasparenza, leale collaborazione e tutela dell’affidamento della buona fede,  nonché agli obiettivi individuati dall’art. 6 della legge 11 marzo 2014 n. 23, in materia di cooperazione rafforzata, riduzione degli adempimenti, assistenza e  tutoraggio del contribuente”.
La difesa davanti all’autorità giudiziaria ordinaria
Ben più rilevanti sono le conseguenze  della creazione del nuovo ente di riscossione per quanto riguarda le controversie davanti al giudice ordinario, ivi compresa la Corte di Cassazione.
Come anzidetto, infatti, l’ottavo comma del ripetuto art. 1 del D.L. n. 193/2016 “ autorizza” l’Agenzia delle entrate-Riscossione ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato competente per territorio, ai sensi dell’art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n.1611, escluse le controversie dinanzi al Tribunale e al Giudice di Pace, per le quali può stare in giudizio avvalendosi direttamente dei propri dipendenti, specificatamente “ delegati”, “ salvo che … vengano in rilievo le questioni di massima o aventi notevoli rilievi economici” nel qual caso “l’Avvocatura dello Stato, sentito l’ente, può assumere direttamente la trattazione della causa”.
Tale formula fa esplicito riferimento  all’art. 43  del R.D. n. 1611/1933, secondo cui “l’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti all’autorità giudiziaria, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o anche alla sola vigilanza dello Stato, sempre che sia stata autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento con regio decreto”.
Pertanto, tenendo conto dell’evoluzione normativa sin qui intervenuta, si evince che il modello della difesa pubblica viene comunemente definita “facoltativa”, anziché obbligatoria come quella prevista per gli enti pubblici statali dall’art. 9 del predetto R.D.
Inoltre, il succitato ottavo comma  dell’art. 1 del D.L. prevede la possibilità  per il nuovo ente di “avvalersi, sulla base di specifici criteri  definiti negli atti di carattere deliberati ai sensi del comma 5 del presente articolo, di avvocati del libero foro, nel rispetto delle previsioni di cui agli articoli 4 e 17 del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50”.
Appare evidente che, in tal modo, viene creata una disparità di trattamento tra le controversie riguardanti il Ministero dell’Economia e delle Finanze e,dopo di esso, l’Agenzia che gli è succeduta per legge, per i quali la difesa viene svolta dall’Avvocatura generale  dello Stato, e le controversie della nuova Agenzia delle entrate-Riscossione, che pure interviene nella stessa materia tributaria, per la quale la difesa del grado di legittimità è svolta dall’Avvocatura dello Stato solo facoltativamente, in presenza di autorizzazione prevista “da disposizioni di legge, di regolamento di altro regio decreto”.
La difesa da parte dei dipendenti delegati
Il nuovo ente Agenzia delle entrate-Riscossione, per le controversie davanti al Tribunale o al Giudice di Pace può anche essere rappresentato “da propri dipendenti delegati che possono stare in giudizio personalmente”.
Pertanto, non è sufficiente che questi risultino dipendenti dell’ente, come accade per i dipendenti dell’Agenzia delle Entrate che partecipano alle udienze dinanzi alle Commissioni tributarie, ma è per di più necessario che costoro siano espressamente “delegati”, come condizione per “stare in giudizio personalmente”; tale delega è nominativa in quanto viene conferita caso per caso dall’organo di vertice.
Applicazione della sanatoria del difetto di rappresentanza tecnica in appello(Cass. Ordinanza di rimessione n. 10080/2017).
 Quesito  di diritto formulato dall’ordinanza di rimessione.
Se l’appello proposto senza l’assistenza di un difensore, ma sottoscritto dalla parte in proprio, è radicalmente inammissibile, o se il difetto di rappresentanza tecnica dell’impugnante è sanabile grazie al nuovo art. 182 c.p.c.
Caso de quo
Una società impugna un avviso di accertamento con ricorso sottoscritto solo dal suo legale rappresentante, non abilitato al patrocinio per controversie aventi valore superiore.
L’Amministrazione Finanziaria eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di ius postulandi.
A questo punto, la contribuente nomina un proprio difensore di fiducia  e deposita la procura ad litem prima dell’udienza di trattazione, esimendo la Commissione tributaria dal provvedere ai sensi dell’art. 12 comma 10, Dlgs n. 546/1992.
La Commissione Provinciale respinge il ricorso nel merito. La contribuente propone appello, nuovamente senza avvalersi di un difensore tecnico.
La Commissione Regionale, rilevato il difetto di rappresentanza tecnica dell’appellante, dichiara inammissibile l’atto d’appello, per essere stato sottoscritto solamente dal rappresentante legale della società, priva di difensore, in violazione dell’art. 18 comma 3, Dlgs n.,546/1992.
La Sezione Tributaria rimettente afferma che la soluzione al quesito proposto alle Sezioni Unite può giungere attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata del novello art. 12, comma 10, Dlgs n. 546/1992.
La Commissione Regionale, investita da un appello sottoscritto personalmente solo dal contribuente,  dovrà assegnare alla parte un termine perentorio per la nomina di un difensore in modo da sanare il difetto di rappresentanza tecnica; solo nel caso d’inottemperanza della parte di tale termine, potrà essere dichiarata l’estinzione del processo per inattività delle parti.
La Suprema Corte osserva che, nel caso di specie, si ripropone la questione  della necessità dell’assistenza tecnica  del contribuente nel giudizio tributario per le controversie superiori al limite indicato nel Dlgs n. 546 del 1992, art. 12 comma 5, e delle conseguenze derivanti dalla violazione di tale disposizione.
Il Supremo Consesso ricostruisce l’excursus giurisprudenziale dei numerosi interventi della giurisprudenza di legittimità e del giudice delle leggi.
Le prime pronunce non armonizzate  della Suprema Corte  in ordine  alla necessità dell’emanazione dell’ordine da impartire al contribuente per regolarizzare la propria posizione contrattuale, esclusa da Cass. n. 1781/1999 e Cass.n. 7966/2000, veniva ammessa da Cass. n. 7966/2000, a seguito della pronuncia della Corte Cost. n. 189/2000, ritenendo che l’inammissibilità può essere pronunciata solo successivamente all’ordine del Presidente della Commissione o della Sezione di munirsi di assistenza tecnica tramite il conferimento della procura a un professionista abilitato, rimasto poi ineseguito.
Tale considerazione si basa su un’interpretazione costituzionalmente orientata secondo la quale, poiché la legge processuale tributaria prevede un’assistenza e non una rappresentanza della parte privata e affinché vengano garantiti i principi di un’adeguata difesa (art. 24 cost) e tutela contro gli atti dell’Amministrazione (art. 113 cost), si deve adeguare la lettera della legge in modo da garantire l’effettiva applicazione di tali principi (Cass. n. 29587/2011).
Tale orientamento è stato successivamente confermato da Corte Cost. n. 520/2002 e n.158/2003,
riaffermato in sede di superamento di contrasto dalle Sezioni Unite con sentenza n.22601/2004, sottolineando che “ nel processo tributario il giudice chiamato a conoscere di una controversia di valore superiore a lire cinque milioni, è tenuto a disporre che l’attore parte privata che sta in giudizio senza assistenza tecnica si munisca di essa,conferendo incarico a difensore abilitato; con la conseguenza che l’inammissibilità del ricorso può essere dichiarata solo a seguito della mancata esecuzione di tale ordine. Lettura questa ritenuta l’unica conforme a Costituzione per non rinvenirsi interpretazioni alternative che assicurino l’effettività della tutela del diritto fondamentale di difesa nel processo e adeguata tutela contro gli atti della PA” (Cass. n. 13208/2007).
La Suprema Corte ha da subito operato un distinguo nell’applicazione del principio d’ispirazione costituzionale suddetto.
Un filone giurisprudenziale ha sostenuto che l’ordine del contribuente di munirsi di assistenza tecnica può essere impartito solo nel giudizio di primo grado e, pertanto, “quando la parte si sia munita di assistenza tecnica nel giudizio di primo grado a seguito di ottemperanza dell’ordine emesso dal giudice e proponga appello personalmente, l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile, non dovendo l’ordine essere reiterato, e l’appello va dichiarato immediatamente inammissibile, attesa la riferibilità di quello impartito in prime cure dall’intero giudizio” (Cass. n. 21139/2010, v. anche Cass. n. 15448/2010; Cass. n. 20929/2013).
Un’altra parte della giurisprudenza di legittimità, in contrasto con il predetto filone, ha affermato che i principi affermati dalla Corte Costituzionale nel 2002, poi ripresi dalle Sezioni Unite del 2004, si applicano sia al giudizio di primo grado che all’appello, affermando che “anziché dichiarare inammissibile l’appello, avrebbero dovuto rilevare, anche d’ufficio, la mancanza di difesa tecnica della società concessionaria e, per assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale e garantire a regolarità del contraddittorio, cui è sotteso il fondamentale diritto di difesa, ordinare alla parte di nominare, in assegnando termine, un difensore abilitato; e, solo, all’esito della mancata nomina, dichiarare inammissibile il ricorso” (Cass. n. 21459/2009, v. anche Cass. n. 110/2002).
Secondo la Sezione rimettente, è evidente l’esistenza di un contrasto tra i predetti orientamenti; la sentenza n. 21459/2009 non è stata in grado di contrastare adeguatamente le ragioni d’inapplicabilità del dlgs n. 546/1992, art. 12 comma 5, ultima parte, al processo tributario d’appello, sostenute in modo tralaticio dalle pronunce n. 8778/2008, n. 15448/2010, n. 21139/2010 e n. 20929/2013.
In predetta ordinanza di rimessione, la Suprema Corte, per completezza, sottolinea che il Dlgs n. 156 del 2015, art. 9 comma1, lett. e), ha interamente riscritto il Dlgs n. 546/1992, art. 12  e, dopo aver ribadito la regola generale dell’obbligatorietà dell’assistenza tecnica nelle controversie tributarie, salvo i casi di contenzioso di modico valore, con il comma 10 ha disciplinato le ipotesi di difetto di rappresentanza o di autorizzazione, rinviando alle disposizioni contenute nell’art. 182 c.p.c., secondo alcune sentenze summenzionate applicabile in giudizio d’appello, prevedendo che la predetta attività possa essere svolta dal Presidente della Commissione  ovvero della Sezione e dal Collegio e ciò, come si legge nella Relazione illustrativa del Governo “al fine di evitare l’inutile prolungamento dei tempi del giudizio”.Sempre in tale Relazione è stato specificato che “la declaratoria d’inammissibilità del ricorso potrà essere pronunciata dal giudice tributario soltanto all’esito dell’inottemperanza dell’invito formulato alla parte a provvedere”.
Effetti dei poteri attribuiti al nuovo ente dal Decreto Legge n.193/2016
 Pignoramenti sui conti correnti bancari più mirati.
L’accorpamento delle funzioni di riscossione presso l’Agenzia delle Entrate ha consentito dal 1° luglio 2017 di accedere in maniera immediata alle banche dati dell’anagrafe tributaria e a quelle degli stessi enti previdenziali e assistenziali, quali l’INPS e le Direzioni del Lavoro, garantendo la massima efficacia alle azioni di pignoramento presso terzi.
Il pignoramento del conto corrente bancario e postale, insieme al pignoramento dello stipendio, pensione, TFR, rientra nel cd. pignoramento presso terzi che si attiva ai sensi dell’articolo 491 del codice civile, come misura di esecuzione per recuperare un credito vantato ne confronti di un debitore.
Prima del 1°luglio 2017.
Se un’impresa o un comune cittadino, intendevano recuperare il credito, per procedere al pignoramento del conto corrente e vedere così soddisfatta la richiesta, dovevano:

notificare l’atto esecutivo: es. la sentenza emessa dal giudice;
notificare l’atto di precetto: ossia, l’atto che intima al debitore il pagamento del debito entro 10 giorni dalla notifica.

Passati 10 giorni, se il debitore non pagava, il creditore aveva diritto a notificare l’atto di pignoramento sia alla persona debitrice che alla banca o alla Posta, presso cui ha il proprio conto il debitore, per un importo pari alla somma indicata nell’atto + il 50%.
La banca o la Posta, ricevuto l’atto di pignoramento, procedeva subito con:

il blocco delle somme sul conto corrente fino a nuove disposizioni da parte del giudice;
la dichiarazione al creditore di aver proceduto al pignoramento delle somme e di averle rese disponibili sul conto corrente.
il versamento delle somme pignorate al creditore, dopo l’autorizzazione da parte del giudice.

Occorre mettere in evidenza che Equitalia, prima del 1°luglio 2017, a seguito della richiesta d’informazioni circa i rapporti bancari intrattenuti da un contribuente, poteva conoscere solo chi fossero gli intermediari finanziari e quali fossero le tipologie del rapporto intrattenuto; pertanto, l’ente di riscossione non poteva ricevere alcuna informazione sulle movimentazioni e sulle eventuali disponibilità liquide intrattenute su tali conti.
Per tale motivo, Equitalia era costretta a inviare la richiesta di pignoramento a tutte le banche e agli uffici postali presso i quali risultavano aperti dei rapporti, senza avere alcuna certezza del buon esito della misura cautelare.
Pignoramento conto corrente cartella esattoriale
Tale procedura di pignoramento del conto corrente non vale per il Fisco.
Infatti, quando siamo di fronte ad una cartella esattoriale che è stata emessa da Equitalia o dalla attuale Agenzia delle Entrate-Riscossione, la procedura è differente in quanto non occorre l’autorizzazione del giudice.
L’Agenzia delle Entrate-Riscossione, infatti, nel momento stesso in cui notifica la cartella esattoriale non deve rivolgersi al giudice per citare in giudizio il debitore ed attendere la sentenza, in quanto la cartella di pagamento è in sé già un atto esecutivo al pari dell’atto di precetto e, pertanto, può procedere al pignoramento del conto corrente se, passati 60 giorni dalla notifica, la cartella esattoriale non è stata pagata.
Trascorso il suddetto termine, l’Ente della riscossione può subito inviare alla banca l’atto di pignoramento ancora prima di notificarlo all’interessato, per poi invitare quest’ultimo al pagamento di quanto dovuto entro altri 60 giorni.
Se il debitore, poi, persevera e continua a non pagare quanto dovuto, il Fisco richiede alla banca di versare l’importo pari al debito, senza necessità di rifarsi ad un giudice per far emettere il relativo provvedimento.
Dal 1°luglio 2017.
A partire dal 1° luglio del 2017, le disposizioni introdotte dal decreto n. 193/2016, hanno prodotto effetti non favorevoli per i contribuenti, in quanto, in caso di pignoramento del conto corrente 2018, possono essere immediatamente privati delle somme sul loro conto e  trasferite al Fisco per saldare il debito.
Sulla base di quanto sopra esposto, per i debiti fiscali non è l’assenza di un procedimento giudiziario che cambia il pignoramento del conto corrente, perché era già così previsto prima del D.L. n. 193/2016, ma il fatto che le somme sul conto possono essere subito bloccate e utilizzate a saldo dei debiti, visto che è la stessa Agenzia delle entrate-Riscossione  che verifica direttamente le informazioni ed attiva il procedimento, mentre Equitalia doveva prima richiedere le informazioni all’Agenzia, attendere il riscontro e poi attivare la procedura.
Dal 1° luglio 2017, gli Uffici dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, sono in grado di verificare preventivamente la giacenza dei conti procedendo ad azioni mirate al pignoramento delle stesse.
 Competenza del giudice tributario sul pignoramento ritenuto viziato (Cass. n. 13913/2017).
Fatto
Oggetto del giudizio della Suprema Corte è una sentenza della CTR che, in riforma della pronuncia di primo grado, afferma la giurisdizione tributaria qualora la contestazione sottesa all’atto di pignoramento impugnato riguardi un’invalida notifica del titolo esecutivo.
La sentenza delle Sezioni Unite.
La Suprema Corte con sentenza n. 13913/2017 ha statuito la competenza del giudice tributario in caso d’impugnazione dell’atto di pignoramento adottato dall’esattore, qualora il ricorrente contesti l’omessa o invalida notifica della cartella o dell’intimazione di pagamento.
Secondo il Supremo Consesso, la contestazione è ammessa al di là del fatto che la cartella o gli altri atti che precedono il pignoramento siano stati regolarmente notificati; la Corte di Cassazione continua sottolineando che l’opposizione agli atti esecutivi, pur non rientrando nell’ambito della giurisdizione tributaria, sono contestabili innanzi alle commissioni tributarie se il debitore eccepisce “l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento o degli altri presupposti dal pignoramento”, ossia l’intimazione di pagamento o avviso di mora, che ai sensi dell’art. 50 del D.P.R. n. 602/1973 va notificato all’interessato decorso un anno dalla notifica della cartella. Tale questione è stata oggetto di dibattito giurisprudenziale.
Il Supremo Consesso precisa, altresì, che l’attribuzione della giurisdizione non può dipendere  dal raggiungimento o meno della prova che la cartella sia stata effettivamente notificata, poiché si tratta di una questione di merito sulla quale proprio il giudice tributario è chiamato a pronunciarsi.
Questo è l’approdo delle Sezioni Unite che risolve il contrasto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione tributaria, a favore di quest’ultima.
Secondo un primo orientamento più recente della Suprema Corte, in tema di azioni esecutive la giurisdizione spetta al giudice ordinario. L’art. 57 del D.P.R. n. 602/1973 prevede espressamente che non sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, nonché  le opposizioni di cui all’art. 617 c.p.c. relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo.
In tale ultimo caso, il giudice ordinario “..dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica all’esclusivo fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale”( Cassazione n. 9246 del 2015).
Appare di tutta evidenza come tale orientamento dà rilevanza ai seguenti aspetti: 1) il Giudice ordinario aveva giurisdizione ogni volta che l’opposizione avesse a oggetto un atto dell’esecuzione; 2) non era determinante che il vizio di notifica incidesse su un atto oggetto di giurisdizione tributaria (cartella di pagamento o avviso impo-esattivo), posto che tale vizio doveva essere valutato dal GO quasi incidentalmente, per arrivare ad invalidare il vero atto opposto: il pignoramento.
Il secondo orientamento, richiamato e condiviso dalle Sezioni Unite, ha affermato la giurisdizione del giudice tributario sostenendo che l’opposizione agli atti esecutivi riguardante un atto di pignoramento, che il contribuente ritiene viziato per mancata notifica della cartella di pagamento o di altro provvedimento presupposto, si risolve nell’impugnazione del primo atto con il quale viene manifestata l’intenzione di procedere alla riscossione coattiva di un credito tributario (S.U. n.14667/2011 e n. 15994/2012)
Per tale motivo, l’opposizione è ammissibile e deve essere proposta dinanzi al giudice tributario, indipendentemente che il pignoramento non sia contemplato tra gli atti impugnabili davanti alle Commissioni Tributarie, ai sensi dell’art. 19  del dlgs n. 54671992; infatti, è pacifico che tale elencazione contenuta nella predetta disposizione processuale è meramente esemplificativa.
Secondo tale orientamento giurisprudenziale, due erano gli aspetti da valorizzare per determinare la giurisdizione.
Il primo era la materia: l’art. 2, primo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede espressamente che, se la controversia ha ad oggetto tributi,  la giurisdizione spetta agli organi tributari.
Il secondo mirava a superare la linea di demarcazione tracciata dal legislatore stesso, sempre nell’art 2, primo comma, secondo capoverso, citato, che esclude l’impugnabilità  degli atti esecutivi (compreso il pignoramento) dinnanzi al Giudice Tributario. Diveniva, dunque, necessario stabilire quale fosse il reale “oggetto della controversia”: se la contestazione riguardava non l’atto dell’esecuzione bensì il titolo esecutivo ad esso sotteso, allora innegabile era la giurisdizione tributaria, posto che  il titolo esecutivo è atto impugnabile  ai sensi dell’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992.
La soluzione cui giunge il Supremo Consesso, supera il principio di diritto statuito dal recente primo orientamento.
Secondo l’iter logico della Suprema Corte, in primo luogo, la norma violata (art. 57 del d.p.r. n. 602 del 1973 ) prevede espressamente come “non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall’art. 617 c.p.c. relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo.”
La volontà del legislatore è chiara nel ritenere inammissibili le opposizioni agli atti esecutivi relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo.
Le Sezioni Unite, inoltre, superano anche il secondo aspetto relativo al vizio dell’atto sotteso al pignoramento, non ritenendo convincente “ripartire la giurisdizione in base al petitum formale contenuta nell’impugnazione proposta dal contribuente (…)  il petitum sostanziale è unico e una ricostruzione simile sarebbe totalmente artificiosa” (…) “rimane tuttavia aperto il problema dell’individuazione del giudice davanti al quale proporre l’opposizione agli atti esecutivi ove concerna la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo”.
Sulla base di tali argomentazioni, il Supremo Consesso ritiene che “ammettere davanti al giudice ordinario l’impugnazione del pignoramento per omessa notifica della cartella appare in contrasto con il menzionato divieto di cui all’art 57 (…), divieto che per la sua collocazione sistematica e per la sua sopra ricordata formulazione deve ritenersi assoluto (e dunque diretto non esclusivamente al giudice tributario)”; le Sezioni Unite, con tale pronuncia, hanno aperto  la strada ad una opposizione agli atti esecutivi  esperibile dinnanzi al Giudice Tributario.
Il Supremo Collegio sottolinea, infatti, che l’art. 57 non deve essere considerato un limite per la giurisdizione tributaria: l’inammissibilità dell’opposizione agli atti esecutivi, relativa alla regolarità formale e alla notificazione del titolo, riguarda solo la giurisdizione ordinaria e non quella tributaria: “in materia di esecuzione forzata tributaria, l’opposizione agli atti esecutivi riguardante l’atto di pignoramento che si assume viziato per l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento è ammissibile e va proposta ai sensi dell’art. 2, primo comma secondo periodo e 19 d.lgs. 546 del 1992, 57 d.p.r. 602 del 1973 e 617 c.p.c. davanti al giudice tributario”.
Con tale sentenza, le Sezioni Unite hanno fornito uno strumento in più al contribuente che vorrà difendersi davanti alla Commissione Tributaria, anche ad esecuzione avviata, senza i limiti dell’art. 57.
Il servizio di riscossione è tenuto per legge a conservare gli atti e a garantire l’accesso ai privati (Tar Lazio , II sez. bis, n. 4890/2017).
 Il Tar Lazio, con sentenza n. 4890/2017, ha affermato che chi svolge il servizio di riscossione dei tributi in concessione è tenuto per legge a conservare gli atti e a garantire l’accesso ai privati.
Il caso presentatosi dinanzi alla giurisprudenza di merito riguardava la richiesta di ostensione di alcuni documenti da parte di una società che aveva fatto domanda di concordato preventivo.
Equitalia e Agenzia delle Entrate avevano adempiuto in modo solo parziale alla domanda proposta in base alla legge sulla trasparenza amministrativa.
Secondo il Tar Lazio, nulla rileva la contestazione di Equitalia riguardante il fatto che la contribuente fosse già in possesso  dell’estratto di ruolo e delle copie degli avvisi di ricevimento delle notifiche effettuate.
Secondo il Collegio, le Amministrazioni hanno l’onere di conservare copia degli atti inoltrati al privato, che potrebbe non averli in suo possesso perché persi per svariate cause (ad esempio in un trasloco o in un furto).
Pertanto, il contribuente non può essere “mutilato” nella difesa a causa di un evento a lui non riconducibile; ad ogni buon conto, non è precluso al concessionario di stampare un duplicato della cartella generato dallo stesso ruolo con l’attestazione della conformità all’originale; anzi, lo stesso ente di riscossione deve organizzare i suoi uffici per consentire ciò, incaricando ah hoc i suoi dipendenti.
 
 
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