I diritti nella convivenza more uxorio
La convivenza more uxorio è il rapporto affettivo che lega due persone in comunione di vita, cioè per la convivenza more uxorio senza il vincolo del matrimonio.
Nel 1993, la Suprema Corte di Cassazione dichiarò che questo tipo di convivenza non contrasta con il buon costume, l’ordine pubblico e le norme imperative.
Coloro che scelgono oggi la convivenza more uxorio devono avere presente la legge Cirinnà del 2016.
Secondo la legge il contratto deve essere registrato presso l’ufficio anagrafe del Comune di residenza e, a differenza del matrimonio, stabilisce che cosa ognuno deve apportare alle necessità della famiglia sia durante la convivenza sia se questa finisse.
Oltre a supporre il passo definitivo per vivere insieme ed essere riconosciuti come coppia di fatto, anche un primo passo per un’eventuale separazione.
Secondo la legge, se la casa nella quale abita una coppia in convivenza more uxorio appartiene ad uno dei partner, l’altro non ha nessun diritto sull’immobile e viene ritenuto un ospite.
In caso di decesso del proprietario, l’altro convivente subentra nel contratto di affitto e mantiene il diritto di abitazione per un periodo proporzionale alla convivenza, tra i due e i cinque anni.
Se ci sono dei figli minorenni o disabili, il convivente può restare nell’abitazione non meno di tre anni, non eredita la casa se non ci sono precise disposizioni in un eventuale testamento.
La Corte di Cassazione si è espressa in senso contrario. In una sentenza ha affermato che la convivenza more uxorio, dando vita a un consorzio familiare, determina sulla casa di abitazione comune un potere di fatto basato su un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, e il convivente non proprietario non è un semplice ospite ma un membro della famiglia a ogni effetto.
Sempre secondo la Suprema Corte, questo convivente ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare.
L’estromissione violenta o clandestina dalla casa compiuta dal convivente proprietario ai danni dell’altro lo legittima alla tutela possessoria e ad esperire l’azione di spoglio, pretendendo, anche per vie legali, di non essere mandato via nell’immediato.
La stessa Corte è ritornata di recente con un’altra sentenza, stabilendo che il diritto personale di godimento della casa viene acquistato dal convivente more uxorio in dipendenza del titolo giuridico individuato dall’ordinamento nella destinazione dell’immobile ad uso abitativo dei conviventi. Il partner non proprietario può disporre di quella casa sino a che dura la convivenza.
Se ci sono dei figli minori, la destinazione di un immobile a casa familiare e la conseguente relativa assegnazione al convivente, frutto di un contratto di comodato, collocatario dei figli non viene meno se il possessore abbia trasferito la proprietà del bene.
IN caso di separazione dei conviventi more uxorio, la legge non prevede un assegno di mantenimento.
Un’eccezione si ha quando uno dei due versi in condizioni economiche di necessità, in questo caso, l’altro è tenuto a passare una cifra per gli alimenti in misura e durata equivalente al tempo di convivenza.
La legge riconosce pari diritti ai figli nati nell’ambito di una convivenza more uxorio rispetto a quelli venuti al mondo da una coppia sposata.
La procedura da seguire per l’affidamento dei figli in caso di separazione è la stessa,senza l’accordo tra i conviventi, questi si possono rivolgere al Tribunale dei Minori e spetterà al giudice stabilire il diritto di visita, l’assegno di mantenimento, l’affidamento e l’assegnazione della casa familiare.
I figli hanno anche il diritto a mantenere un rapporto adeguato con il genitore dal quale vengono separati.
Secondo gli Ermellini, il coniuge che crea un’altra famiglia, anche se basata sulla convivenza more uxorio, rompendo ogni legame con quella precedente, ad esempio avendo divorziato, non è tenuto a versare l’assegno di mantenimento all’ex moglie o marito, perché creare un’altra famiglia, anche di fatto, fa venire meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno, che resta definitivamente escluso.
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