Famiglia: gli illeciti endofamiliari
Gli atti illeciti commessi dai genitori nei confronti dei figli e responsabilità civile
In ordine alle relazioni intercorrenti tra genitori e figli, prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, esisteva, nell’area privatistica, una normativa relativamente immunitaria, considerata una logica conseguenza della concezione della patria potestas accolta nel codice del 1942 e dei poteri ad essa connessi.
In sostanza la legge consentiva al genitore l’uso dei mezzi correzionali adeguati alle diverse situazioni concrete. Ad una cattiva condotta del figlio, qualora fosse necessario, poteva seguire una violenta reazione
del padre, che rappresentava esercizio legittimo della potestà e come tale non poteva determinare alcun tipo di responsabilità.
L’immunità anche nei rapporti tra genitori e figli non dipendeva da principi di diritto, ma era ancorata a regole del costume che esprimevano una concezione della famiglia come gruppo chiuso, che non lasciava
trapelare le crisi che avvenivano al suo interno ma le risolveva in base a regole proprie.
I figli venivano trattati non alla stregua di soggetti di diritto, bensì come componenti di un gruppo che si autodisciplinava e, in definitiva, soggetti all’autorità paterna.
Con la riforma del diritto di famiglia si è ridefinito il ruolo genitoriale in funzione dell’interesse morale e materiale della prole, anche se ci si è astenuti − in applicazione del principio di libertà e di autonomia della famiglia – dal proporre modelli, limitandosi, pertanto, a fornire la direttiva contenuta nell’art. 147 c.c. che impone di tenere conto, nell’adempimento dei doveri verso i figli, delle loro capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni.
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Inadempienze e violazioni nell’affido condiviso
Come già accennato, con la riforma del 2006, è mutato profondamente il quadro normativo di riferimento in materia di diritto di famiglia e, ai fini di quanto in questa sede ci interessa, dobbiamo fare riferimento
al secondo comma dell’art. 709 ter c.p.c.
Tale norma prevede che, per il caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, il giudice può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di settantacinque euro a un massimo di cinquemila euro a favore della cassa delle ammende.
Con riferimento alle sanzioni di cui ai punti 1 e 4, può essere reputata rispondente la finalità di deterrenza attribuita agli istituti. Più problematica è la soluzione della questione con riferimento alle pronunce risarcitorie, alle quali non è estranea una finalità sanzionatoria.
Seconda una parte della dottrina (Da Marzo), la ricostruzione più coerente con la voluntas legis sembrerebbe essere quella che sottolinea la finalità punitiva delle misure risarcitorie, salvo poi comprendere quali siano i criteri di determinazione della somma dovuta.
Al fine di evitare sovrapposizioni delle domande risarcitorie che le parti possono autonomamente proporre, in relazione al pregiudizio all’esistenza e qualità del rapporto parentale, sembrerebbe necessario fare riferimento al solo criterio della gravità della condotta. In tal modo, il risarcimento viene configurato come una pena privata che non si sovrappone alle ordinarie misure risarcitorie.
I presenti contributi sono tratti da
Manuale del risarcimento per il danno alla persona
Giuseppe Cassano (a cura di), 2017, Maggioli Editore
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