Estinzione del reato per prescrizione: si revocano anche le statuizioni civili

Il giudice di appello, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute
      Indice

Il fatto
La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
La soluzione adottata dalle Sezioni Unite
Conclusioni

1. Il fatto
Il Tribunale di Palermo condannava gli imputati per i delitti di estorsione continuata e pluriaggravata e la Corte di Appello della medesima città, dal canto suo, confermava questa sentenza.
Pur tuttavia, con riguardo ad uno degli imputati, invece, la Corte territoriale, sulla base del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 8, d.l. n. 152 del 1991 (negata dal primo giudice) e delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 3, cod. pen., dichiarava non doversi procedere per essere il reato ascritto allo stesso estinto per prescrizione e, pertanto, in conseguenza di tale statuizione, la Corte di merito revocava le statuizioni civili disposte in primo grado a suo carico essendosi il reato estinto prima dell’emissione della sentenza di primo grado.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure, proponevano ricorso per Cassazione, sia le parti civili, che uno tra gli accusati.
In particolare, per quello che rileva in questa sede, degne di nota sono le doglianze sollevate da tali parti private le quali, con un unico motivo, lamentavano la violazione dell’art. 578 cod. proc. pen..
Più nel dettaglio, a sostegno di tale assunto, le medesime parti civili osservavano che la predetta disposizione ha la finalità di assicurare, nonostante l’intervenuta declaratoria di prescrizione, la cognizione del giudice dell’appello sui capi civili oggetto della sentenza di condanna in primo grado, evidenziandosi al contempo che quest’ultima pronunzia, nel caso di specie, era stata appellata non solo dall’imputato, ma anche dalle stesse parti civili, che si dolevano della mancata determinazione della somma dovuta loro a titolo di risarcimento.
Oltre a ciò, costoro contestavano altresì l’affermazione della Corte palermitana secondo la quale la revoca delle statuizioni civili doveva essere disposta perché il reato ascritto a questo imputato era estinto prima dell’emissione della sentenza di primo grado, deducendo che l’art. 578 cod. proc. pen. non consente di distinguere tra le conseguenze derivanti dalla declaratoria di prescrizione intervenuta «prima del giudizio di primo grado, nel corso del giudizio di primo grado, successivamente alla sentenza di prime cure o, infine, (…) in grado di appello», fermo restando che la prospettazione delle parti civili trovava il suo presupposto logico nell’affermazione che il termine di prescrizione del reato ascritto era spirato antecedentemente la sentenza di primo grado, per effetto del riconoscimento dell’attenuante della dissociazione attuosa e del bilanciamento in prevalenza delle attenuanti generiche rispetto all’aggravante ex art. 628, terzo comma, n. 3, cod. pen..
Ciò posto, era infine dedotta la mancata o erronea applicazione, da parte della Corte distrettuale, dell’art. 578, comma 1, cod. proc. pen., in base al quale, «[q]uando nei confronti dell’imputato é stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili».
2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
Assegnataria dei ricorsi summenzionati, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione, a sua volta, li rimetteva alle Sezioni Unite in riferimento alla sorte delle statuizioni civili nel caso di sentenza d’appello dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione, maturata prima della decisione di condanna emessa in primo grado e rilevata dal giudice del gravame in conseguenza di un diverso giudizio di bilanciamento tra aggravanti e attenuanti.
Secondo la Sezione rimettente, invero, in base al principio enunciato dall’art. 578 cod. proc. pen., laddove all’esito del giudizio di primo grado sia stata pronunziata sentenza di condanna e siano state adottate statuizioni civili, queste ultime dovrebbero essere successivamente caducate per effetto della declaratoria di estinzione del reato in appello per prescrizione conseguente al riconoscimento di un’attenuante e/o ad un diverso giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen. che collochi la maturazione del termine di prescrizione in epoca antecedente alla prima decisione (in tal senso erano richiamate le sentenze Sez. 2, n. 24458 del 22/03/2018; Sez. 4, n. 33778 del 20/06/2017; Sez. 4, n. 14014 del 04/03/2015; Sez. 5, n. 27652 del 17/06/2010), rilevandosi al contempo come tale affermazione sia giustificata con: a) la regola derogatoria contenuta nell’art. 578 cod. proc. pen. rispetto a quanto previsto in via generale dagli artt. 533 e 538 cod. proc. pen. che collegano la decisione del giudice sulle statuizioni civili alla pronunzia della sentenza di condanna (da ultimo v. Sez. 5, n. 5433 del 18/12/2020); b) i principi enunciati dalla sentenza n. 10086/1998 delle Sezioni Unite in base alla quale é illegittima la sentenza d’appello che, accertata la maturazione della prescrizione prima della pronuncia dì primo grado, confermi le statuizioni civili in questa contenute, mancando in tale ipotesi i presupposti in presenza dei quali l’art. 578 cod. proc. pen. consente al giudice dell’impugnazione di decidere sugli effetti civili (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998; in senso sostanzialmente conforme Sez. 3, n. 41583 del 10/09/2021; Sez. 4, n. 27393 del 22/03/2018; Sez. 5, n. 32636 del 16/04/2018; Sez. 5, n. 15245 del 10/03/2015; Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014; Sez. 6, n. 9081 del 21/02/2013; Sez. 2, n. 5705 del 29/01/2009); c) la più recente pronunzia a Sezioni Unite n. 28911/2019 in base alla quale la legittimazione e l’interesse delle parti civili a impugnare la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione emessa in primo grado, così come quella di appello che tale decisione abbia confermato, sussistono solo nel caso in cui le dette parti contestino la correttezza di tale statuizione (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Rv. 275953).
Ciò posto, nell’ordinanza si osservava, inoltre, che, nel caso di specie, la peculiarità era costituita dal fatto che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione era stata la conseguenza della rivalutazione in appello del quadro circostanziale e del relativo giudizio di bilanciamento.
Pur tuttavia, a fronte di codesto orientamento nomofilattico, la Sezione rimettente dava conto di un diverso orientamento in base al quale il giudice d’appello, che collochi la maturazione del termine di prescrizione del reato in epoca antecedente la sentenza di condanna a seguito di un diverso apprezzamento del regime circostanziale, deve decidere sulle statuizioni civili in applicazione dell’art. 578, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 39446 del 08/05/2018; Sez. 3, n. 10229 del 24/01/2013; Sez. 5, n. 9092 del 19/11/2008; Sez. 4, n. 21569 del 16/01/2007; e Sez. 1, n. 12315 del 18/01/2005).
La questione era quindi rimessa alle Sezioni Unite chiamate a stabilire se la Corte di Appello possa pronunciarsi sulle statuizioni civili adottate con la condanna emessa in primo grado, qualora dichiari il reato estinto per prescrizione in epoca antecedente la predetta condanna per effetto di una diversa valutazione circa la sussistenza di una o più aggravanti e di un differente giudizio di bilanciamento tra aggravanti e attenuanti.

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Giorgio SpangherProfessore emerito di procedura penale presso l’Università di Roma “La Sapienza”.Marco ZincaniAvvocato patrocinatore in Cassazione, presidente e fondatore di Formazione Giuridica, scuola d’eccellenza nella preparazione all’esame forense presente su tutto il territorio nazionale. Docente e formatore in venti città italiane, Ph.D., autore di oltre quattrocento contributi diretti alla preparazione dell’Esame di Stato. È l’ideatore del sito wikilaw.it e del gestionale Desiderio, il più evoluto sistema di formazione a distanza per esami e concorsi pubblici. È Autore della collana Esame Forense.

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3. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite – dopo avere circoscritto la questione posta alla loro attenzione (ossia: se il giudice di appello, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, maturata prima della pronuncia della sentenza impugnata, per effetto di una valutazione difforme rispetto a quella operata dal giudice di primo grado (come, ad esempio, nei casi di esclusione della recidiva qualificata o di ritenuta insussistenza di una circostanza aggravante o di formulazione di un diverso giudizio di comparazione fra circostanze del reato), possa ugualmente decidere sull’impugnazione, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, ovvero debba revocare le statuizioni civili) e realizzata una compiuta e articolata analisi dei diversi, e contrapposti, indirizzi interpretativi elaborati in subiecta materia, oltre che una complessa disamina in ordine al principio generale dell’accessorietà delle statuizioni civili alla condanna penale, stabilito dall’art. 538 cod. proc. pen., in base al quale il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, avanzata dalla parte civile nel processo penale, allorché pronuncia sentenza di condanna – ritenevano senz’altro meritevole di adesione il primo indirizzo interpretativo summenzionato, condividendo i principi espressi dalle Sezioni Unite, nella pronuncia n. 10086 del 13/07/1998, che per prime hanno messo in luce lo stretto e inscindibile legame esistente tra “sopravvenienza” della causa estintiva del reato e “validità” della condanna alle statuizioni civili nel grado immediatamente precedente, rilevandosi al contempo che a tali principi si è conformata la prevalente giurisprudenza secondo cui, qualora il giudice d’appello, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, accerti che la prescrizione è maturata in epoca antecedente alla sentenza di primo grado, deve contestualmente revocare le statuizioni civili in essa contenute (Sez. 3, n. 41583 del 10/09/2021; Sez. 4, n. 27393 del 22/03/2018) con la conseguenza che, in tal caso, é illegittima la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili (Sez. 3, n. 15245 del 10/03/2015; Sez. 4, n. 44826 del 28/05/2014; Sez. 3, n. 9081 del 21/02/2013) così come al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile (Sez. 5, n. 32636 del 16/04/2018; Sez. 6, n. 9081 del 21/02/2013, cit.; Sez. 2, n. 5705 del 29/01/2009). Appaiono dunque, per la Corte di legittimità, condivisibili sul punto le argomentazioni della sentenza n. 27393/2018 secondo cui «quando la decisione di condanna di primo grado venga riformata per essere intervenuta una causa estintiva prima della sua pronuncia – prescrizione all’epoca già maturata – osta al mantenimento del potere di provvedere sui soli effetti civili, il disposto dell’art. 538, comma 1, cod. proc. pen., secondo il quale il giudice decide sulla domanda di restituzione o risarcimento solo quando pronuncia sentenza di condanna. Il giudice dell’impugnazione, infatti, non può esercitare poteri che il giudice di prima cura non può validamente esercitare».
La natura derogatoria ed eccezionale dell’art. 578 cod. proc. pen. trova quindi, per gli Ermellini una sua coerente collocazione, nell’ordinamento processuale, alla luce del già richiamato principio di accessorietà atteso che, laddove l’art. 578 cod. proc. pen. attribuisce al giudice dell’impugnazione che ha dichiarato estinto il reato la legittimazione a decidere in ordine alle statuizioni civili adottate con la condanna emessa in primo grado, il principio in esame non travolge le decisioni relative ai capi civili, perché esse sono accessorie rispetto a una condanna (penale) “validamente emessa“, avente ad oggetto un reato la cui estinzione é maturata solo successivamente.
Appare di conseguenza evidente, per la Suprema Corte, che, su queste basi, la fattispecie cui ha inteso fare riferimento il legislatore é essenzialmente quella in cui il fatto estintivo non abbia alcuna interferenza temporale con la condanna dell’imputato, essendo intervenuto in un momento successivo e non pregiudicandone, pertanto, la validità mentre, nel caso in cui, viceversa, l’estinzione del reato sia bensì maturata prima della condanna in primo grado, ma venga constatata solo in sede d’appello, il principio in esame non può più operare, atteso che la condanna emessa per un reato che – sia pure in base a una decisione successiva – era in realtà già prescritto non può reputarsi “valida” nel senso appena detto, e ciò indipendentemente dal fatto che la declaratoria di estinzione del reato derivi dalla “correzione” di un errore del giudice di prima istanza nel computo del tempo necessario a prescrivere, ovvero da una diversa valutazione che determini un accorciamento del termine prescrizionale.
Ebbene, a fronte di ciò, per i giudici di piazza Cavour, il difforme orientamento, in base al quale sarebbe preferibile affidare al giudice dell’impugnazione il compito di decidere sulle statuizioni civili anche nel caso in cui la prescrizione sia maturata prima della sentenza di condanna in dipendenza di una diversa valutazione del regime circostanziale, fa essenzialmente leva sulla ritenuta diversità di siffatta situazione rispetto al caso in cui il giudice che ha emesso la condanna non ha tenuto conto, per un errore, dell’avvenuto spirare della prescrizione.
Pur tuttavia, prendendosi atto di come sia stato già osservato che il diverso approccio valutativo del giudice dell’impugnazione costituisce un’espressione del principio di legalità, che giustifica la sostituzione della sentenza d’appello a quella di primo grado riformata, la soluzione accolta dalle Sezioni Unite è ritenuta da parte loro maggiormente rispettosa del generale principio in base al quale la sentenza del giudice d’appello, nel deliberare entro i limiti del devolutum (art. 597 cod. proc. pen.), esplica – in base all’art. 605 cod. proc. pen. – un effetto sostitutivo rispetto alle argomentazioni e alle statuizioni della sentenza impugnata (cfr. Sez. 1, n. 5524 del 16/12/1993) dal momento che queste ultime recedono a fronte delle valutazioni e della decisione del giudice del gravame, con la conseguenza che, ove quest’ultima consista in una riforma del provvedimento appellato, essa sola spiegherà gli effetti che le sono propri, nel caso in cui si formi il giudicato.
Corollario di detto principio, per la Cassazione, di conseguenza, é che l’estinzione del reato dichiarata dal giudice dell’appello, ma maturata prima della condanna emessa in primo grado, non può dirsi “sopravvenuta” alla condanna medesima, di cui travolge funditus la “validità” in quanto il fatto estintivo, quali che siano le ragioni della sua declaratoria postuma, impone di retrocedere nel giudizio al momento del suo verificarsi, venendo quindi meno, in siffatta ipotesi, due dei presupposti fondamentali di applicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen.: ossia quello della “sopravvenienza” della causa estintiva del reato e quello della previa condanna “validamente emessa“.
Ciò posto, se pertanto il giudice di primo grado, rispetto alla medesima regiudicanda, avesse operato una valutazione identica a quella del giudice dell’impugnazione (ad esempio escludendo una recidiva qualificata, o un’aggravante ad effetto speciale) che lo avesse condotto a rilevare l’estinzione del reato, la condanna non sarebbe stata emessa e, conseguentemente, non sarebbero state adottate le statuizioni sui capi civili.
Di contro, ove si volesse operare la distinzione prospettata dal secondo orientamento a seconda che il mancato rilevamento della prescrizione del reato dipenda da un errore del giudice di primo grado o da una valutazione difforme del giudice dell’impugnazione (Sez. 5, n. 39446 del 08/05/2018; Sez. 3, n. 10229 del 24/01/2013; Sez. 5, n. 9092 del 19/11/2008; Sez. 4, n. 21569 del 16/01/2007; Sez. 1, n. 12315 del 18/01/2005), per la Corte di legittimità, si finirebbe per legittimare un diverso esito del giudizio, quanto meno con riferimento alle statuizioni civili, a seconda che la causa di estinzione del reato venga rilevata in primo grado oppure in appello; in altri termini, se si riconoscesse la legittimazione “ora per allora” a decidere sulla domanda civile alla Corte di merito che, sulla base di una diversa valutazione, dichiari prescritto il reato, sempre ad avviso delle Sezioni Unite, si attribuirebbe alla stessa un potere di decidere che sarebbe invece precluso, in applicazione della regola generale di cui all’art. 538 cod. proc. pen., al giudice di primo grado che dichiari estinto il reato in esito alla valutazione degli elementi incidenti sul corso del termine di prescrizione e ciò renderebbe evidente la dissimmetria di siffatta soluzione e degli effetti che ne scaturiscono.
Non appare quindi corretto, per la Corte, pervenire a diverse conclusioni facendo riferimento all’ipotesi considerata dall’art. 448, comma 3, cod. proc. pen., in base al quale, quando la sentenza é pronunciata nel giudizio di impugnazione, il giudice decide sull’azione civile a norma dell’articolo 578 cod. proc. pen., trattandosi di fattispecie di stretta interpretazione in quanto non riconducibile all’ordinarietà del rito del patteggiamento (nel quale vale la regola in base alla quale il giudice che applica la pena non decide sulla domanda della parte civile), ma al caso – affatto particolare – in cui il giudice dell’impugnazione accolga la richiesta dell’imputato rigettata in primo grado, ritenendo ingiustificato il dissenso del pubblico ministero: in tale ipotesi, collegata alla previsione contenuta nel comma 1 dell’art. 448 cod. proc. pen., vi é stata, comunque, in primo grado una sentenza di condanna (estesa anche alle connesse statuizioni civili), a fronte della quale é del tutto coerente con la disciplina generale il richiamo all’art. 578 cod. proc. pen., non potendosi comunque porre nel nulla il capo riguardante la condanna al risarcimento del danno posto che, anche nell’ipotesi considerata dal terzo comma dell’art. 448 cod. proc. pen., vi é stata già una decisione sull’azione civile, come nel caso di sopravvenuta amnistia o prescrizione.
La distinzione, prospettata dall’indirizzo qui disatteso, tra omessa rilevazione, da parte del giudice della condanna, dell’avvenuto decorso del termine di prescrizione al momento della decisione, e declaratoria di prescrizione maturata in epoca antecedente alla pronunzia di primo grado per effetto di un diverso apprezzamento, da parte del giudice d’appello, delle circostanze, dunque, per il Supremo Consesso, é priva di un riferimento normativo idoneo a giustificare una diversità di regime tra le due situazioni.
In effetti, essendo l’art. 578 cod. proc. pen. norma di stretta interpretazione, derogando al più volte richiamato principio di accessorietà delle statuizioni civili alla condanna penale, enunciato dall’art. 538 cod. proc. pen., non può esservi quindi distinzione, quanto agli effetti, tra una prescrizione dichiarata dal giudice dell’appello che rilevi un errore di calcolo del primo giudice e una prescrizione che venga dichiarata “ora per allora” per effetto di una diversa valutazione degli elementi che valgono il termine prescrizionale dato che anche il diverso giudizio comparativo fra circostanze o l’esclusione di un’aggravante speciale, quando operati dal giudice dell’appello in riforma della sentenza di primo grado, sono rilevazione di errori di diritto sostanziale o processuale poichè il giudice applica la legge (principio di legalità) e, quando si discosta dal giudizio del grado precedente sui predetti elementi, lo fa rilevando una violazione di legge sostanziale o processuale, ossia un errore di diritto, ma pur sempre un errore, esattamente come fa il giudice d’appello, quando rileva che il primo giudice ha errato nell’applicazione delle norme sul calcolo della prescrizione.
Chiarito ciò, le Sezioni Unite, pur notando che l’ordinamento processuale penale conosce ipotesi nelle quali viene in rilievo una netta distinzione fra errore percettivo ed errore valutativo: é quanto accade in particolare, come noto, nella disciplina del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen. (in proposito Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002) e che, quindi, si potrebbe obiettare che siffatta distinzione potrebbe trovare applicazione anche nella materia in esame con conseguente possibilità di distinguere fra le ipotesi in cui il primo giudice sia incorso in un errore “percettivo” (non avendo cioè percepito l’intervenuta estinzione del reato) e quelle in cui si possa parlare di errore “valutativo“, al quale verrebbe a sovrapporsi il diverso apprezzamento del giudice dell’impugnazione, tale obiezione, a loro avviso, non convince.
La distinzione in commento, invero, per gli Ermellini, non é conferente rispetto ai poli del contrasto segnalato dal momento che l’errore del giudice di primo grado nel computo della prescrizione difficilmente potrebbe ascriversi tra quelli percettivi posto che anche il detto computo é regolato da un coacervo di norme soggette a interpretazione e non a mera “percezione” o “constatazione“.
Di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, si giungeva a postulare che l’art. 578 cod. proc. pen. non é applicabile in tutti i casi in cui la pronuncia del giudice dell’impugnazione comporti il decorso dei termini di prescrizione del reato in epoca antecedente la sentenza di condanna pronunciata nel precedente grado di giudizio, sentenza non “validamente” emessa per effetto della successiva riforma ad opera del giudice del gravame.
Ebbene, siffatta inapplicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen., a tutte le ipotesi in cui l’estinzione del reato si collochi “a monte” della sentenza di condanna in primo grado, comporta, per la Suprema Corte, che, nel caso di specie, dev’essere disposta la revoca delle statuizioni civili precedentemente adottate, con conseguente esclusione di ogni valutazione del giudice (penale) dell’impugnazione in ordine alla responsabilità dell’imputato dato che, in tal modo, la parte civile viene onerata di promuovere l’azione civile nella sede naturale: una condizione che, in tal senso, potrebbe astrattamente apparire deteriore rispetto a quella che deriverebbe dalla scelta dell’opposta soluzione.
Tuttavia, ad avviso del Supremo Consesso, la soluzione qui prescelta non comporta, di per sé, un concreto pregiudizio per le ragioni della parte civile, avuto riguardo in particolare alle connotazioni di accessorietà e di separatezza dell’azione civile rispetto a quella penale e alle connesse facoltà di scelta consapevole del danneggiato tra il promovimento dell’azione civile e la costituzione di parte civile nel giudizio penale visto che, come ben evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, nel processo penale odierno non vi é più il rapporto di pregiudizialità dell’azione penale rispetto a quella civile (recepito nel sistema tracciato dal vecchio codice di rito penale e che trovava riscontro nel principio affermato dall’art. 295 cod. proc. civ.), di tal che oggi la parte civile, sulla base dei principi affermati dall’art. 75 cod. proc. pen., «assume carattere accessorio e subordinato rispetto all’azione penale, sicché é destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioé dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi» fermo restando che, al tempo stesso, superando decisamente il previgente principio della pregiudizialità dell’azione penale rispetto a quella civile, «l’assetto generale del nuovo processo penale é ispirato all’idea della separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l’esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto all’interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo».
Perciò l’esercizio, nel giudizio penale, del diritto della parte civile alla restituzione o al risarcimento del danno, avendo carattere accessorio, ha un orizzonte più limitato, di cui quest’ultima non può non essere consapevole nel momento in cui opta per far valere le sue pretese civilistiche nella sede penale piuttosto che in quella civile e, nel fare questa opzione, l’eventuale “impossibilità di ottenere una decisione sulla domanda risarcitoria laddove il processo penale si concluda con una sentenza di proscioglimento per qualunque causa (salvo che nei limitati casi previsti dall’art. 578 cod. proc. pen.) costituisce […] uno degli elementi dei quali il danneggiato deve tener conto nel quadro della valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi delle due alternative che gli sono offerte”.» (Corte cost., sent. n. 12 del 2016, richiamata da Corte cost., sent. n. 176 del 2019).
Tali principi, del resto, non sono contraddetti dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 173 del 12/07/2022 che, a titolo di parziale eccezione, ha ritenuto costituzionalmente illegittima la mancata previsione che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, decida sulla domanda per la restituzione o il risarcimento de danno, proposta a norma degli artt. 74 e ss. cod. proc. pen. poiché, in tale ultima ipotesi, interviene l’accertamento di commissione del reato, rilevandosi al contempo che, richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale (ed in specie le sentenze nn. 168 del 2006, 433 del 1997 e 192 del 1991, e l’ordinanza n. 124 del 1999), la sentenza delle Sezioni Unite n. 22065/2021 rileva che in essa «é reiterato il rilievo che l’assetto generale del nuovo processo penale é ispirato all’idea di separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l’esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale rispetto all’interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo (…) La ragionevolezza di siffatta scelta legislativa si lega ad un sistema processuale, qual é quello vigente, che ha fatto cadere la regola – stabilita dal codice di procedura penale abrogato – della sospensione obbligatoria del processo civile in pendenza del processo penale sul medesimo fatto, sicché non vi sono ostacoli processuali o condizionamenti alla attivazione della pretesa risarcitoria nella sede propria. Si é aggiunto, da parte della Corte Costituzionale, che l’eventuale impossibilità, per il danneggiato, di partecipare al processo penale non incide in modo apprezzabile sul suo diritto di difesa e, prima ancora, sul suo diritto di agire in giudizio, perché resta intatta la possibilità di esercitare l’azione risarcimento del danno nella sede civile: di modo che ogni separazione dell’azione civile dall’ambito del processo penale non può essere considerata una menomazione o una esclusione del diritto alla tutela giurisdizionale, giacché la configurazione di quest’ultima, in vista delle esigenze proprie del processo penale, é affidata al legislatore» (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, omissis, § 9, pag. 24).
Orbene, proprio il fatto che il danneggiato dispone della facoltà di valutare e di scegliere tra le dette alternative, avendo gli strumenti per esercitare detta facoltà in modo consapevole e responsabile, per la Corte di legittimità, esclude che possa parlarsi di un pregiudizio ai danni della parte civile anche al cospetto dei principi affermati dall’ordinamento sovranazionale atteso che la Corte EDU ritiene che le scelte operate al riguardo dal nostro ordinamento non siano in contrasto con le fonti sovranazionali (si veda, da ultimo, Corte EDU, Prima Sezione, Marinoni c. Italia, 18/11/2021, appl. 27801/12, § 34, in cui si dà atto che, nel sistema italiano, una persona che si ritiene lesa da un reato può scegliere, per ottenere una riparazione o una restituzione, tra l’azione di responsabilità civile davanti al giudice civile e l’azione civile nel processo penale, tenuto conto altresì del fatto che il rapporto tra le due procedure é regolato dall’articolo 75 del CPC, in termini di autonomia, quando si sceglie la via civile, e in termini di carattere accessorio – accessorietà -, quando si sceglie la via della parte civile).
Chiarito questo ulteriore aspetto, per le Sezioni Unite, a questo punto della disamina, occorreva, infine, considerare che, anche nel caso di revoca delle statuizioni civili da parte del giudice dell’impugnazione che rilevi l’estinzione del reato maturata già prima della sentenza di condanna deliberata in primo grado, la parte civile (titolare di un interesse concreto e attuale in tal senso) può «pretendere che il giudizio penale non si arresti alla contestata prescrizione del reato, ma prosegua al fine di valutare se la stessa sia stata erroneamente o meno dichiarata e di ottenere così il risultato che, con la propria costituzione, la parte civile stessa si prefiggeva» (così, sia pure in relazione ad ipotesi diversa, Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019).
Per tutte le ragioni sin qui esposte, le Sezioni Unite formulavano pertanto il seguente principio di diritto: “Il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pervenga alla conclusione – sia sulla base della semplice ‘constatazione’ di un errore nel quale il giudice di primo grado sia incorso sia per effetto di ‘valutazioni’ difformi – che la causa estintiva é maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute”.
4. Conclusioni
La decisione è assai interessante in quanto, con essa, componendosi un pregresso contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno dato risposta al seguente quesito: “se il giudice di appello, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, maturata prima della pronuncia della sentenza impugnata, per effetto di una valutazione difforme rispetto a quella operata dal giudice di primo grado (come, ad esempio, nei casi di esclusione della recidiva qualificata o di ritenuta insussistenza di una circostanza aggravante o di formulazione di un diverso giudizio di comparazione fra circostanze del reato), possa ugualmente decidere sull’impugnazione, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, ovvero debba revocare le statuizioni civili”.
Difatti, in tale pronuncia, siffatte Sezioni Unite sono giunte a formulare il principio di diritto secondo cui il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pervenga alla conclusione – sia sulla base della semplice ‘constatazione’ di un errore nel quale il giudice di primo grado sia incorso sia per effetto di ‘valutazioni’ difformi – che la causa estintiva é maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute.
Pertanto, per effetto di tale arresto giurisprudenziale, ove tale revoca non sia disposta in tale ipotesi, ben si potrà impugnare un provvedimento, che abbia difettato in tal senso, nei modi e nelle forme prevedute dal codice di rito penale.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché ha fatto chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.
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Giorgio SpangherProfessore emerito di procedura penale presso l’Università di Roma “La Sapienza”.Marco ZincaniAvvocato patrocinatore in Cassazione, presidente e fondatore di Formazione Giuridica, scuola d’eccellenza nella preparazione all’esame forense presente su tutto il territorio nazionale. Docente e formatore in venti città italiane, Ph.D., autore di oltre quattrocento contributi diretti alla preparazione dell’Esame di Stato. È l’ideatore del sito wikilaw.it e del gestionale Desiderio, il più evoluto sistema di formazione a distanza per esami e concorsi pubblici. È Autore della collana Esame Forense.

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