Disciplina e tutela del  whistleblower anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali

 Premessa
Trasparency International[1], coalizione di 50 organizzazioni che monitora su scala globale i fenomeni corruttivi, ha presentato una dichiarazione per chiedere che chi segnala corruzione sia tutelato durante la pandemia COVID-19. In sostanza le organizzazioni firmatarie della dichiarazione, tra cui l’European Public Service Union e l’European Trade Union Confederation, chiedono a tutte le istituzioni e autorità pubbliche di proteggere le persone che segnalano o rivelano rischi di abusi e illeciti che si verificano durante il periodo di emergenza sanitaria.
Infatti le crisi di qualsivoglia natura, anche pandemiche, costituiscono preziose occasioni per lo sviluppo di nuove forme di criminalità, accrescono il rischio di infiltrazioni da parte delle organizzazioni malavitose nel tessuto economico-sociale, espongono i  mercati ad abusi e manovre speculative. Il pericolo di una gestione impropria degli strumenti apprestati per far fronte alla pandemia è avvertito in vari settori: da quello sanitario a quello degli appalti pubblici a quello della sicurezza sui luoghi di lavoro. Ciò che preoccupa è l’ingente mobilitazione di risorse finanziarie, la semplificazione delle procedure atte all’aggiudicazione di tali risorse e di qui la necessità di rafforzare gli strumenti preventivi e repressivi auspicando ad esempio il potenziamento del c.d. whistleblowing.
Riduttivo ancorare la figura del whistleblower alla segnalazione di mere fattispecie corruttive, essa può far emergere molteplici tipologie di rischio rilevabili sui luoghi di lavoro, che durante una crisi sanitaria, economico e sociale appaiono suscettibili di consistenti dilatazioni. Inoltre deve precisarsi come le suddette tipologie di rischio non debbano essere necessariamente idonee ad integrare illeciti penali, né tantomeno civili, potendo esse tradursi in meri illeciti disciplinari o financo in pratiche scorrette solo da un punto di vista etico, purché comportino un apprezzabile pericolo per la vita dell’organizzazione. Si pensi alle numerose prescrizioni contenute nei decreti e protocolli emanati per far fronte all’emergenza, che impongono ai datori di lavoro di adottare tutte le cautele e le precauzioni sanitarie atte a tutelare la salute sui luoghi di lavoro. Le attività lavorative debbono, infatti, essere tali da assicurare adeguati livelli protezione e, in caso contrario, debbono essere sospese. L’inosservanza di tale disposizione integra illeciti di varia natura che potrebbero agevolmente essere denunciati da un insider, appunto il whistleblower, la cui segnalazione non può e non deve essere frenata dal timore di forme, più o meno velate, di censure, né tantomeno di vere e proprie ritorsioni.
In questa direzione la direttiva 26 novembre 2019 n.1937[2] con la quale il Parlamento europeo e il Consiglio disciplinano la protezione del whistleblower all’interno dell’Unione, introducendo norme minime comuni di tutela, al fine di dare uniformità a normative nazionali che sono allo stato estremamente frammentate ed eterogenee.
Il legislatore europeo mira a rafforzare i principi di trasparenza e responsabilità realizzando una funzione di prevenzione dei reati e considera la segnalazione di illeciti quale manifestazione della libertà  di espressione necessaria a garantire la circolazione delle informazioni, nonché ad assicurare la libertà ed il pluralismo dei media.
L’ambito di operatività della direttiva è limitato alle violazioni della normativa comunitaria in una gamma di settori espressamente indicati (appalti pubblici, servizi finanziari, sicurezza dei trasporti e prodotti, ambiente, alimenti, salute pubblica, privacy, sicurezza della rete e dei sistemi informatici, concorrenza ed altri). La tutela del whistleblower opera senza differenziazioni tra settore pubblico e privato e la definizione di tale figura è estremamente ampia, include infatti l’insieme dei soggetti collegati in senso ampio all’organizzazione nella quale si è verificata la violazione, che potrebbero temere ritorsioni in considerazione della situazione di vulnerabilità economica nella quale si trovano. Quindi dipendenti, lavoratori autonomi, collaboratori esterni, tirocinanti, volontari ed anche parenti del whistleblower.
Quanto all’oggetto della segnalazione si fa riferimento a violazioni del diritto dell’Unione senza richiedere espressamente la finalizzazione della segnalazione al perseguimento dell’interesse pubblico. Con riferimento a quest’ultimo aspetto deve sottolinearsi che nei considerando si legge che il whistleblower è colui che segnala violazioni del diritto unionale che ledono il pubblico interesse, ed ancora che vengono escluse le segnalazioni che riguardano vertenze interpersonali che interessano esclusivamente la persona segnalante e vertenze riguardanti conflitti interpersonali tra la persona segnalante e un altro lavoratore, ciò deve far intendere il perseguimento dell’interesse pubblico requisito implicito del whistleblowing.
I canali di segnalazione possono essere interni o esterni; a tal proposito nella direttiva si legge che gli Stati membri incoraggiano le segnalazioni mediante canali interni prima di effettuare segnalazioni mediante canali esterni, laddove la violazione possa essere affrontata efficacemente a livello interno e la persona segnalante ritenga che non sussista il rischio di ritorsioni. Al fine di garantire tempestività ed effettività della tutela è stabilito l’obbligo per l’ente di dare una risposta alla segnalazione entro il termine di tre mesi o sei in casi particolari. La possibilità di beneficiare delle tutele per chi effettua la segnalazione attraverso la divulgazione pubblica è subordinata a precise condizioni, ossia che si sia previamente utilizzato il canale interno o esterno, ma non vi sia stata una risposta appropriata, che non siano stati utilizzati i canali interni o esterni per rischio di ritorsione  o per inefficacia dei sistemi (rischio di distruzione delle prove ad esempio), che sussista un pericolo imminente e palese per il pubblico interesse.
Quanto al contenuto delle tutele, è prevista la riservatezza dell’identità del segnalante da conciliare con i contrapposti diritti di difesa della persona segnalata (non è riconosciuta la tutela delle segnalazioni anonime), ed il trattamento dei dati personali deve avvenire nel rispetto delle norme; inoltre è previsto  il divieto di atti ritorsivi adottati in conseguenza della segnalazione con inversione dell’onere della prova attribuendo a chi ha adottato la misura di dimostrarne il carattere non ritorsivo. Sono previste altresì misure di sostegno a favore del segnalante, tra cui ad esempio consulenze gratuite sui propri diritti e sulle procedure necessarie per attivare le tutele, patrocinio a carico dello Stato etc..
Infine si stabilisce che le segnalazioni effettuate nel rispetto delle previsioni della direttiva escludono la responsabilità del whistleblower per la violazione di eventuali restrizioni alla divulgazione di informazioni. E’ prevista l’esclusione della responsabilità per diffamazione, violazione del diritto d’autore, degli obblighi di segretezza, violazione delle norme in materia di protezione dei dati, divulgazione di segreti commerciali, con l’unica condizione che vi siano fondati motivi per ritenere necessaria la segnalazione. L’esonero da responsabilità non riguarda solo gli illeciti connessi alla segnalazione ma anche le condotte poste in essere al fine di acquisire le informazioni oggetto della segnalazione.
Premesso ciò si analizza in seguito l’introduzione e la disciplina normativa del whistleblower nel nostro Paese, nonché l’andamento delle segnalazioni come emerge dai rapporti presentati annualmente dall’ANAC e i recenti orientamenti giurisprudenziali aventi ad oggetto aspetti relativi alla ricaduta operativa dell’istituto.
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La disciplina italiana sul whistleblowing
Letteralmente il whistleblower, figura mutuata dall’esperienza degli Stati Uniti e Gran Bretagna[3], è colui che soffia nel fischietto e sta ad indicare l’azione dell’interrompere bruscamente qualcosa proprio come farebbe un arbitro con un colpo di fischietto. Nella nostra lingua non vi è un termine che traduca questo concetto, se non con accezioni negative come spia, delatore, traditore ed altri del medesimo significato. Se è vero che nessuna cosa esiste dove la parola manca si comprende quanto rilevante sia stata l’introduzione di tale figura nell’ambito della prevenzione della corruzione e quanta attenzione si debba porre alla normativa che disciplina e tutela comportamenti volti a minimizzare il rischio di corruzione sia in ambito pubblico che privato.
Dal punto di vista linguistico si segnala preliminarmente che il gruppo Incipit dell’Accademia della Crusca, che si occupa di esaminare e valutare neologismi e forestierismi incipienti scelti tra quelli impiegati nel campo della vita sociale e civile, nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana, al fine di proporre eventuali sostituenti italiani, ha invitato tutti i responsabili dell’informazione a sostituire il termine inglese whistleblower con “allertatore civico” e il corrispondente sostantivo astratto whistleblowing con “allerta civica”.
Con tali termini si fa riferimento alla persona che lavorando all’interno di una organizzazione, di una azienda pubblica o privata si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività e decide di segnalarlo all’interno dell’azienda stessa o all’autorità giudiziaria o all’attenzione dei media per porre fine a quel comportamento.
La prima disciplina sul whistleblowing è stata introdotta con la legge n.190/2012, c.d. legge Severino, che ha inserito l’art.54 bis nel corpo del Testo Unico del pubblico impiego (d.lgs. n.165/2001)[4], prevedendo un regime di speciale tutela del dipendente pubblico che segnala all’autorità giudiziaria o alla Corte dei Conti o ancora all’Autorità Nazionale Anticorruzione ovvero
riferisce al superiore gerarchico condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro ”al fine di incentivare i medesimi dipendenti a denunciare gli illeciti rilevanti partecipando all’emersione dei fenomeni di corruzione e mal gestio”. L’art.1 comma 51 della legge 190 introduce tre concetti fondamentali: la tutela dell’anonimato del denunciante; divieto di discriminazione nei confronti del whistleblower e sottrazione della segnalazione al diritto di accesso.
Nonostante l’indiscutibile passo in avanti rappresentato da questo intervento legislativo, riserve sono state espresse sulla disposizione considerata inadeguata e lacunosa non fornendo una definizione chiara degli illeciti né specificando le azioni che costituiscono violazione né spiegando che cosa si intende per misure discriminatorie. Nella relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione, pubblicata nel febbraio 2014[5], che fornisce un’analisi della corruzione negli Stati membri dell’UE e delle misure adottate per prevenirla e combatterla, si sottolinea che le politiche preventive possono essere svariate: norme etiche chiare, misure di sensibilizzazione, sviluppo di una cultura di integrità nelle varie organizzazioni, adozione dall’alto di una linea ferma sulle questioni di integrità, meccanismi efficaci di controllo interno, trasparenza, facilità di accesso alle informazioni di interresse pubblico, sistemi efficaci di valutazione delle prestazioni delle istituzioni pubbliche etc. Esiste un divario notevole tra gli Stati membri per quanto concerne la prevenzione della corruzione. In alcuni l’attuazione di politiche preventive è stata frammentaria e non ha conseguito risultati convincenti, in altri, invece, una prevenzione efficace ha contribuito a un reputazione consolidata di paesi puliti. Benché in questi ultimi la corruzione non sia considerata un problema rilevante, sono comunque in vigore programmi attivi e dinamici per l’integrità e la prevenzione considerati prioritari dalla maggior parte delle autorità centrali e locali. Altri Stati membri hanno per molto tempo minimizzato il problema della corruzione e pertanto non hanno adottato una posizione attiva riguardo alla promozione di azioni preventive generali. Con riferimento all’Italia la Commissione europea affermava che le disposizioni sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti hanno un carattere piuttosto generico e non esaustivo poiché non coprono tutti gli aspetti della segnalazione o tutti i tipi di tutela da concedere in queste circostanze. Di qui l’invito a rafforzare l’azione di prevenzione e contrasto al fenomeno della corruzione anche attraverso la piena funzionalità del dispositivo di tutela dei segnalanti previsto nel settore pubblico nonché mediante la sua trasposizione nel settore privato.
Pertanto si è sentita l’esigenza di razionalizzazione e sistematizzazione della materia con una nuova legge, la n.179 del 2017 recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”.
Viene ampliato l’ambito soggettivo di applicazione della nuova normativa: si parla di dipendente pubblico, dipendente di un ente pubblico economico, dipendente di un ente privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell’art.2359 c.c. ma anche di lavoratori, collaboratori delle imprese fornitrici di beni e servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica. In sostanza si può affermare che tutti i soggetti che a qualunque titolo si trovino anche solo temporaneamente in rapporti lavorativi con l’amministrazione, pur non avendo la qualità di dipendenti pubblici, vengano ricompresi nella tutela prevista dalla legge allo scopo di aumentare sempre più  la capacità di far emergere episodi di cattiva amministrazione.
Il dipendente non segnala più l’illecito al superiore gerarchico bensì al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza e l’eventuale adozione di misure ritorsive deve essere denunciata non più al Dipartimento della funzione pubblica ma all’ANAC che dispone di maggiori poteri sia di intervento sia sanzionatori.
L’ambito oggettivo di applicazione non riguarda tutte le possibili segnalazioni di condotte illecite di cui il lavoratore è venuto a conoscenza in ragione del proprio lavoro ma soltanto quelle effettuate nell’interesse dell’integrità dell’amministrazione
Obiettivo della nuova legge è una maggiore e più efficace tutela del whistleblower che non deve essere soggetto ad alcun tipo di ritorsione, comminando la nullità di eventuali misure discriminatorie e il reintegro del lavoratore eventualmente licenziato a causa della segnalazione. Inoltre sempre nell’ottica di maggior tutela del lavoratore, la legge specifica che è a carico dell’amministrazione pubblica dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa.
La nuova legge se da una parte aggiunge un obbligo specifico di non divulgazione dell’identità del segnalante qualora la contestazione disciplinare a carico del segnalato sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti ad essa, dall’altra dispone che, qualora la contestazione sia fondata sulla segnalazione e la conoscenza del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità. In ambito penale il legislatore stabilisce che l’identità del segnalante è coperta da segreto nei modi e limiti previsti dall’art.329 cpp, cioè sino a quando gli atti non diventano pubblici perché è stata emessa ad esempio una misura cautelare personale. Nell’ambito del procedimento innanzi alla Corte dei Coti l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria.
La segnalazione è sottratta all’accesso previsto dalla legge n.241/90 e non sono ammesse segnalazioni anonime, a meno che non riguardino fatti di particolare rilevanza e gravità ovvero presentino informazioni adeguatamente circostanziate, in tal caso possono essere tenute in considerazione al fine di integrare le informazioni in possesso dell’ufficio nell’ambito dell’esercizio della complessiva attività di vigilanza che l’Autorità stessa svolge.
Da un punto di vista applicativo la legge introduce un sistema sanzionatorio per cui l’ANAC ha predisposto dal febbraio 2018 sul proprio sito l’applicazione informatica “whistleblowing” come modalità unica di segnalazione degli illeciti da parte dei dipendenti pubblici ed assimilati che vogliano rivolgersi direttamente a tale autorità.
L’istituto così introdotto e disciplinato sancisce una stretta collaborazione e cooperazione tra amministrazione e pubblici dipendenti, i quali più di tutti sono in grado di rilevare se ci siano comportamenti nell’ente di appartenenza ascrivibili latu sensu al fenomeno corruttivo. Si tratta di un comportamento etico e virtuoso, di una manifestazione di senso civico attraverso cui il segnalante contribuisce all’emersione e alla prevenzione di rischi e situazioni pregiudizievoli per l’amministrazione di appartenenza e di riflesso per l’interesse pubblico collettivo. Il whistleblower non presenta, pertanto, alcuna connotazione negativa di segretezza e anonimato legati a slealtà o al tradimento di un patto di fiducia, generalmente motivato da un interesse personale. Al contrario è figura pienamente coerente con gli sforzi che si stanno facendo sul piano legislativo ma anche culturale perché venga sottratta clandestinità a fenomeni corruttivi intesi in senso ampio, operazione che, agendo anche sull’innalzamento della soglia etica della collettività, si pone quale efficace sistema di prevenzione del rischio di corruzione.
 
La Relazione Annuale 2019 dell’ANAC sull’andamento delle segnalazioni di illeciti
Complice anche la più dettagliata disciplina normativa le segnalazioni del whistleblower hanno avuto, anche nel corso del 2019, un vero e proprio andamento esponenziale se si considera che si è passati dalle 125 segnalazioni del 2015 alle 873 del 2019, per un totale complessivo di circa 2330 segnalazioni. Le irregolarità segnalate, come negli anni precedenti, hanno riguardato prevalentemente l’ambito degli appalti pubblici, quello dei concorsi, la gestione delle risorse pubbliche, la mancata attuazione della disciplina anticorruzione, nonché parecchi casi di maladmnistration, con ricadute penali ogniqualvolta detti casi si sono tradotti in fattispecie criminose, quali, ad esempio, l’abuso di potere. E’stato registrato un aumento delle comunicazioni di misure ritorsive subite a seguito di segnalazioni di illeciti, le quali insieme a queste ultime, vengono generalmente acquisite attraverso un sistema informatico che garantisce riservatezza, sicurezza e affidabilità. Delle 873 tra segnalazioni e comunicazioni pervenute nel corso del 2019, 643 sono state acquisite tramite piattaforma informatica; inoltre 70 hanno riguardato comunicazioni di misure ritorsive provenienti, maggiormente, dai whistleblowers, ma anche dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative all’interno delle amministrazione dove le misure ritenute ritorsive sono state adottate. Di tutte le segnalazioni/comunicazioni pervenute nell’anno cui ci si riferisce sono state disposte per mancanza dei requisiti di ammissibilità espressamente previsti 488 archiviazioni dirette. Le segnalazioni aventi ad oggetto illeciti rilevanti sotto il profilo penale o erariale sono state inoltrate alla competente autorità giudiziaria o contabile, nel rispetto della tutela della riservatezza dell’identità del segnalante; nel 2019 le segnalazioni di questo tipo hanno raggiunto il numero di 143. Per quanto attiene la gestione delle comunicazioni di misure ritorsive o discriminatorie compito dell’Autorità è accertare che la misura sia conseguente alla segnalazione di illeciti e, in caso positivo, applicare la sanzione normativamente prevista. Nel 2019 sono stati istruiti 24 procedimenti sanzionatori e di questi se ne sono conclusi 8. L’analisi storica dei dati statistici che inizia nell’anno 2014 fino all’anno 2019 evidenzia la crescita esponenziale delle comunicazioni e segnalazioni whisleblowing inviate all’ANAC; tale crescita è ancora più evidente a partire dal 2018, anno in cui è entrata in funzione la piattaforma informatica. Dal punto di vista territoriale nel 2019 la maggior parte delle segnalazioni provengono dal sud e dal nord Italia (47% dal sud e 34% dal nord). Relativamente all’organismo nel cui ambito è effettuata la comunicazione  o segnalazione si registra una prevalenza di denunce provenienti dagli enti territoriali, seguiti dalle amministrazioni ed enti pubblici in generale, nonché dalle istituzioni scolastiche, di formazione, ricerca e conservazione e dalle aziende sanitarie o ospedaliere[6].
 
Gli orientamenti giurisprudenziali
Con l’approvazione della legge 179/2017 sono conseguentemente state pronunciate importanti decisioni da parte della magistratura nelle varie sedi giudiziarie.
La Corte di Cassazione in due sentenze gemelle[7] definisce l’ambito di applicabilità in concreto nonché le più significative ricadute processuali, ad esempio, in materia di intercettazioni.
La Suprema Corte è intervenuta per valutare la legittimità delle operazioni di intercettazione dapprima disposte, e successivamente convalidate dal g.i.p., sulla base della segnalazione di illeciti perpetrati da parte di dipendenti infedeli, addetti al servizio di ispezioni e certificazioni ipotecarie dell’Agenzia del Territorio.
Nel caso di specie, le difese eccepivano – tra l’altro – che ai fini della legittimità e utilizzabilità delle intercettazioni, la segnalazione di condotte illecite di cui il pubblico dipendente sia venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, non fosse idonea ad integrare il requisito della gravità indiziaria di cui all’art. 267 c.p.p. (necessaria per l’autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione, ovvero di comunicazioni tra presenti) in quanto da qualificarsi come documento da fonte anonima. Al contrario, l’organo giudicante  riteneva che l’esposto interno del whistleblower era stato correttamente ritenuto utilizzabile dal Tribunale del riesame ai fini dell’integrazione del requisito della gravità indiziaria ex art. 267 c.p.p., “poiché estraneo alla sfera di operatività dell’art. 203, così come dell’invocato art. 333 dello stesso codice”. Tali argomentazioni sono testualmente riprese in più passaggi dei provvedimenti per sostenere che la segnalazione, interna all’ufficio, di possibili violazioni commesse sul luogo di lavoro da dipendenti pubblici, inoltrata mediante il c.d. ‟canale whistleblowingˮ al responsabile per la prevenzione della corruzione, è pienamente utilizzabile per ritenere esistenti i “gravi indizi di reato” di cui art. 267 c.p.p.. In altre parole, è stato affermato che la segnalazione fatta all’autorità anticorruzione dal dipendente non è qualificabile come denuncia anonima e, pertanto, non è soggetta al divieto di utilizzazione di cui all’art. 333, ultimo comma, c.p.p. ai sensi del quale, di regola, “delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso”.  Tale informazione, infatti, se comunicata ai sensi dell’art. 54-bis d.lgs. n. 165/2001, garantisce al whistleblower soltanto il riserbo sull’identità nell’eventuale procedimento disciplinare a carico dell’incolpato, dovendosi ritenere che l’anonimato del segnalante è certamente escluso nell’ambito del procedimento penale, in cui, come specificato nella nuova formulazione del citato art. 54-bis, il segreto sull’identità del segnalante opera soltanto “nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 del c.p.p.”. La Cassazione, peraltro, precisa come il c.d. “canale whistleblowing” sia un sistema che da un lato garantisce la riservatezza del segnalante ma che, dall’altro lato, ne consente in ogni caso l’individuabilità attraverso l’identificazione delle credenziali d’accesso al sistema di segnalazione. Peraltro, anche il secondo comma dell’articolo 54-bis del d.lgs. 165/2001 nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore della legge n. 179/2017 era inequivoco nel limitare l’anonimato del denunciante (che, in realtà, è solo riserbo sulle generalità) unicamente all’ambito disciplinare. In altri termini, la Cassazione ha chiarito che «il canale del whistleblowing garantisce l’anonimato del segnalante sul piano disciplinare, ferma restando la necessità di rivelare le sue generalità laddove la segnalazione assurga a vera e propria dichiarazione accusatoria in ambito penale e l’individuazione del whistleblower sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato». In sintesi, quindi, tale segnalazione rappresenta un documento certamente utilizzabile ai fini della configurabilità del requisito della gravità indiziaria necessaria per disporre le intercettazioni e, al contempo, viene qualificata dalla Suprema Corte in termini di vera e propria dichiarazione accusatoria proveniente da fonte individuabile.
A distanza di pochi mesi ancora  la Cassazione[8] ha avuto modo di tornare sul tema occupandosi di un ulteriore e diverso aspetto legato alle modalità con le quali il segnalante può venire a conoscenza dell’illecito. L’attività di acquisizione di informazioni da parte del dipendente in violazione della legge non rientra nella tutela del whistleblowing.
La Cassazione si sofferma sulla protezione posta dalla legge 179/2017, escludendo che essa si applichi al lavoratore che si improvvisi investigatore e violi la legge per raccogliere prove di illeciti nell’ambiente di lavoro. La tutela scatta infatti solo nei confronti di chi segnala notizie di un’attività illecita, acquisite nell’ambiente e in occasione del lavoro, non essendo ipotizzabile una tacita autorizzazione a improprie e illecite azioni di indagine.
Nel caso di specie si tratta di un dipendente che per dimostrare la vulnerabilità del sistema informatico adottato dal datore di lavoro, ha usato l’account e la password di altro dipendente e creato un falso documento di fine rapporto a nome di una persona che non aveva mai lavorato nell’istituto. Il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in riferimento alla valutazione dell’antigiuridicità della condotta per aver la Corte di Appello omesso di motivare in ordine all’esclusione della rilevanza penale del fatto in conseguenza della finalità di denuncia che ha ispirato l’accesso. Sul ricorrente, persona incaricata di pubblico servizio, gravava l’obbligo di segnalazione di condotte illecite di cui fosse venuto a conoscenza nell’esercizio del servizio, con conseguente sussistenza della causa di giustificazione di cui all’art.51 c.p. anche in forma putativa, adempimento del dovere fondato sul vincolo di fedeltà che lega il pubblico dipendente all’amministrazione derivante dagli artt. 54 e 54 bis del d.lgs. 165/2001. La Suprema Corte rileva l’infondatezza di tale motivo. L’art.54 bis citato recante disciplina della segnalazione di illeciti da parte di dipendente pubblico intende tutelare il soggetto, legato da un rapporto pubblicistico con l’amministrazione che rappresenti fatti antigiuridici appresi nell’esercizio del pubblico ufficio o servizio. L’istituto, che presenta analogie con altre figure di ambito internazionale, si conforma strutturalmente all’art.361 c.p. ma se ne distingue in riferimento ai presupposti ed all’ambito di operatività, nella doppia declinazione della tutela del rapporto di lavoro e del potenziamento delle misure di prevenzione e contrasto alla corruzione. La segnalazione risponde ad una duplice ratio, consistente da un lato nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall’altro, nel favorire l’emersione dall’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione. In riferimento al primo profilo l’ultima parte del comma 1 dell’art.54 bis prevede che il dipendente virtuoso non possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante. Quanto ai destinatari della comunicazione la stessa può essere rivolta all’autorità giudiziaria ordinaria, alla magistratura contabile ed al superiore gerarchico del segnalatori. In riferimento all’oggetto, la formula riferita al contesto di acquisizione della notizia esprime che il fatto oggetto di segnalazione possa riguardare solo informazioni acquisite nell’ambiente lavorativo. Alle condizioni date, i commi 2 e 4 dell’articolo 54 bis prevedono una articolato sistema di protezione dell’anonimato del segnalante in una prospettiva palesemente incentivante, escludendo la materia dalla normativa in tema di accesso civico e dall’applicazione della legge 241/90 e limitando la rivelazione dell’identità ai soli casi di indispensabilità per la difesa dell’incolpato. Orbene non vi è alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni che autorizzi nei fatti improprie attività investigative in violazione dei limiti posti dalla legge. Tale limitazione dell’articolato normativo alla tutela del segnalatore e la mancata previsione di un obbligo informativo non consente di ritenerne la configurazione neanche in forma putativa, non profilandosi come scusabile alcun errore riguardo l’esistenza di un dovere che possa giustificare l’indebito utilizzo di credenziali d’accesso a sistema informatico protetto da parte di soggetto non legittimato. In tal senso l’insussistenza dell’invocata scriminante dell’adempimento del dovere è fondata sui medesimi principi che, in tema di agente provocatore, giustificano esclusivamente la condotta che non si inserisca, con rilevanza causale, nell’iter criminis, ma intervenga in modo indiretto e marginale, concretizzandosi prevalentemente in un’attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui.
Ancora meritevole di attenzione è la pronuncia della Cassazione Civile[9] con la quale viene sancita la legittimità del licenziamento disciplinare del lavoratore che invia la segnalazione contenente la presunta condotta illecita dell’Amministrazione di appartenenza, poi rivelatasi palesemente infondata, ma posta in essere con il solo fine di gettare discredito all’Amministrazione medesima. Da tale decisione discende il principio relativo alla fondatezza quale requisito essenziale della segnalazione, che è da ritenersi parte integrante e soprattutto sostanziale di essa. Pertanto come avviene nel diritto penale in ordine alla fondatezza o meno della notitia criminis, anche nella procedura aziendale e nel relativo giudizio promosso innanzi al Giudice del Lavoro occorre verificare una doverosa e rigorosa fondatezza della segnalazione. Nel caso di manifesta infondatezza della segnalazione il soggetto che la riceve nel rilevarla appunto infondata, avrà il diritto di proporre un’azione giudiziaria nei confronti del segnalante individuato autore dell’accusa ingiusta. Inoltre al segnalatore in mala fede potrà applicarsi il licenziamento per giusta causa, laddove la denuncia sia stata dolosamente posta in essere con il precipuo scopo di procurare un danno all’Azienda. Pertanto la segnalazione palesemente infondata e quella soprattutto lanciata per discreditare e delegittimare l’Ente comporta responsabilità penali, disciplinari e di natura civile verso il whistleblower, ai sensi delle norme al riguardo previste dal codice penale e dall’art.2043 c.c..
Così come deve sottolinearsi che la funzione dell’istituto del whistleblower è “estranea a scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti il rapporto di lavoro nei confronti di superiori”[10].
La fattispecie oggetto della decisione del TAR campano riguardava una Dirigente scolastica accusata di mobbing ed atti persecutori nei confronti di un’assistente amministrativa; quest’ultima presentava un esposto nei confronti della Dirigente. A seguito di ciò l’Ufficio scolastico regionale avviava indagine ispettiva. La ricorrente Dirigente faceva richiesta di accesso agli atti. La richiesta di accesso, inizialmente differita, quanto l’ispezione era ancora in corso, veniva consentita, solo in parte, in data 6 novembre 2017. Da qui il motivo del ricorso della dirigente scolastica innanzi al Tar Campania. La reclamante richiedeva l’annullamento del verbale di accesso agli atti ove si respingeva parzialmente lo stesso. Il ricorso veniva dichiarato fondato dal TAR Campania e dunque accolto. È necessario premettere che la richiesta di accesso mirava alla difesa degli interessi della Dirigente attraverso la visione di una serie di documenti e che il rilascio parziale degli atti richiesti veniva motivato sulla base di ragioni di tutela della riservatezza della identità e del contenuto delle relative dichiarazioni dei soggetti auditi in sede ispettiva (motivo poi puntualmente scardinato dal TAR). I resistenti nelle memorie difensive giustificavano l’esclusione dell’accesso invocando l’art. 54 bis del D.Lgs. 165/2001 il quale, così come modificato dall’art.1, comma 1, L. 179/2017, garantisce l’anonimato al denunciante e non già degli artt. 22 e ss. L. 241/1990. Il TAR Campania ritiene tuttavia che la fattispecie in esame non rientri nell’alveo della suddetta norma in quanto l’istituto del whistleblowing è volto alla tutela dei fenomeni corruttivi ed a garantire altresì tutela ai dipendenti che segnalino alle autorità competenti illeciti di cui siano venuti a conoscenza in ragione del loro rapporto di lavoro, garantendo l’integrità della P.A. Gli elementi che escludono l’applicabilità dell’art. 54 bis al caso in esame sono: da un lato la circostanza per cui l’esposto non era stato presentato alle autorities di cui all’art. 54 bis comma 1 ANAC o Autorità giudiziaria ordinaria o contabile; dall’altro che la segnalante non aveva agito a tutela dell’integrità dell’amministrazione bensì di interessi di natura propriamente personali. Il TAR Campania, dunque ritiene che la controversia rientri in una “ordinaria controversia di lavoro”. Si sottolinea che la fattispecie non rientra nell’art. 54 bis del D. Lgs. 165/2001 in quanto colei che richiedeva l’accesso agiva a tutela di diritti nascenti dal proprio rapporto di lavoro lesi dalla ricorrente nel contesto di una annosa situazione di contrasto. Se tutte le denunce di violazione dei diritti dei lavoratori che scaturiscono da situazioni di conflitto con i superiori fossero ascritte alla fattispecie di cui all’art. 54 bis (whistleblowing) e, in virtù di ciò, gli atti fossero sottratti ad accesso volto alla tutela della identità del segnalante, ne deriverebbe una irragionevole compressione del diritto di accesso agli atti, principio generale dell’attività amministrativa. Inoltre, nel caso in esame, è evidente che non sussistono esigenze atte a garantire l’anonimato della denunciante la cui identità è nota alle parti. Infatti, la lesione dei diritti del lavoratore è fattispecie ben diversa di quanto rientra nell’art. 54 bis in quanto “le segnalazioni non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinati da altre procedure”. Dunque, la sentenza del TAR Campania ha statuito il principio di diritto, attinente al nuovissimo istituto del whistleblowing secondo cui esso “non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti dei superiori”, bensì è volto a tutelare l’identità del segnalante che, per ragioni di servizio, sia venuto a conoscenza di condotte illecite e le abbia segnalate nell’ottica della prevenzione e repressione della corruzione e dell’integrità all’interno della Pubblica Amministrazione. È evidente che nella fattispecie in concreto segnalata si negava in parte l’accesso ex art. 22 L. 241/1990, ma la disciplina rientrava nell’ambito delle rimostranze di carattere personale del segnalante o di richieste che comunque attenevano alla disciplina del rapporto di lavoro con il superiore gerarchico.
Importante, in conclusione, citare una sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo [11], in forza della quale viene stabilito che gli Stati membri devono assicurare una protezione ai whistleblower ovvero a coloro che rivelano fatti di interesse per la collettività. Questi soggetti, infatti, devono poter lavorare dopo le denunce. Non basta poi prevedere un formale rientro di chi ha divulgato informazioni su fatti interni al luogo di lavoro, ma è necessario che a livello nazionale, anche attraverso l’autorità giurisdizionale, sia garantito al lavoratore lo svolgimento effettivo della propria attività. Con la suddetta decisione la Corte Europea si è pronunciata in relazione alla vicenda di un cittadino moldavo, capo dell’Ufficio stampa del Dipartimento della procura il quale aveva fatto rivelazioni ad un quotidiano sulle pressioni di un politico al Procuratore Generale. Il dipendente venne licenziato per poi essere reintegrato al lavoro in forza di una sentenza emessa dalla stessa Corte Europea che aveva riconosciuto, nel provvedimento di licenziamento emesso in prima istanza, la violazione dell’art.10 della CEDU. Nuovamente licenziato dopo aver subito angherie e rappresaglie, i giudici gli hanno dato nuovamente ragione, affermando che deve essere garantito al lavoratore lo svolgimento effettivo della propria attività.
 
Conclusione
La disciplina del whistleblower, se correttamente applicata, può rappresentare un valido strumento per la lotta ed il contrasto dei fenomeni corruttivi purtroppo presenti nelle amministrazioni pubbliche e private. Nei contesti in cui si annidano sacche di illegalità decisamente importante è la collaborazione che offre il dipendente o il collaboratore delle amministrazioni nel denunciare le irregolarità o gli illeciti riscontrati in ambito lavorativo e, conseguentemente, rilevante il contributo offerto al riguardo per scardinare il muro di omertà che ancora, purtroppo, esiste in alcune realtà produttive. I whistleblowers si sono rivelati fondamentali in ambito internazionale facendo emergere scandali quali i Panama papers (fascicoli contenenti documenti confidenziali creati dalla Studio Mossack-Fonseca su società off – shore, manager, azionisti etc.), i Datagate (inchieste giornalistiche che hanno rivelato una specie di spionaggio domestico, di sorveglianza e di diffusione di dati, portati alla luce da Edward Snowden) e soprattutto da Cambridge Analytica (società di consulenza britannica coinvolta in campagna elettorale ed anche in vicende legate alla Brexit, che si occupava di comunicazione strategica, poi dismessa a causa di vari reati contestati tra i quali la bancarotta fraudolenta).
In Italia Trasparency International Italia, grazie alla attività di studio, analisi e consulenza offerta agli Enti in materia di fenomeni legati alla corruzione ha individuato alcune priorità rispetto alle quali il Presidente di tale organismo auspica il relativo recepimento da parte del Governo Italiano.
Il report 2019 presenta le attività svolte -l’associazione è stata infatti impegnata su più fronti: con Alac-Allerta Anticorruzione con il quale viene fornito supporto ai whistleblower nel loro processo di segnalazione, con Whistleblowing PA attraverso cui viene offerto gratuitamente a tutte le pubbliche amministrazioni una piattaforma per le segnalazioni- e contiene proposte che, se accolte, rafforzerebbero il sistema nella prevenzione alla corruzione e che attengono al rafforzamento dei presidi di legalità negli Enti pubblici, alla semplificazione delle leggi in materia, agli incentivi per i responsabili per la prevenzione della corruzione e trasparenza, ad investimenti finalizzati ad organizzare attività di formazione per la sensibilizzazione alla cultura della legalità correlata al contrasto del malaffare.
L’Italia deve mettersi al passo con i paesi Europei che hanno normative più avanzate anche accogliendo i suggerimenti di Trasparency Italia. Chi segnala irregolarità è nella pratica ancora troppo poco tutelato, sia per le carenze nell’attuazione delle normative sia per la cultura del nostro Paese che ancora identifica il whistleblowing con la delazione, piuttosto che con un atto di coraggio a difesa della collettività. Il Team Alac nel 2019 ha ricevuto 88 segnalazioni ed il Lazio risulta la regione con il numero più alto di segnalazioni che si riferiscono principalmente ad episodi di frodi e favoritismi e clientelismi. La sanità rimane il settore più critico con ben 34 segnalazioni. Alcune di esse si sono registrate anche in riferimento all’emergenza COVID 19, una in particolare, da parte di un dipendente di una struttura ospedaliera, è servita a far ritirare una fornitura di dispositivi di protezione individuale non certificati e quindi non adeguati alla tutela del personale sanitario. In aumento le pubbliche amministrazioni che hanno aderito al progetto WhistleblowingPA e che hanno scaricato la piattaforma informatica messa a disposizione, 700 gli enti pubblici che hanno fornito ai propri dipendenti questo canale sicuro per le segnalazioni.
Le norme in Italia ci sono ma la disciplina non è ancora completa ed in linea con le migliori pratiche internazionali. La direttiva europea approvata nel 2019 è al contrario esaustiva e prevede un adeguamento di tutti gli Stati membri entro due anni e questo dovrà comportare modifiche anche nel nostro apparato normativo. Importante la tutela del segnalante, la previsione di canali sicuri, la protezione in caso di ritorsioni ma al tempo stesso occorre agire per accrescere la consapevolezza degli enti pubblici e privati sull’importanza di avere delle buone procedure: la conoscenza tempestiva di anomalie e illeciti permette all’ente di conoscere e agire, spesso contenendo condotte che altrimenti produrrebbero danni maggiori.
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Note
[1] Fondata nel 1993 con sede a Berlino, è diffusa in oltre 100 Paesi del mondo; in Italia è stata fondata nel 1996 da persone di diversa estrazione sociale e professionale (imprenditori, accademici, funzionari e privati) e si rivolge a tutti gli individui, gli enti, le istituzioni, le associazioni private e pubbliche che condividano le finalità e intendano perseguire gli obiettivi propri del movimento internazionale e dell’organizzazione italiana. Obiettivo eliminare la corruzione nel mondo, mission contrastare e prevenire la corruzione in ogni settore e ambito.
[2] “La direttiva europea sul whistleblowing: come cambia la tutela per chi segnala illeciti nel contesto lavorativo” Angela DELLA BELLA in Sistema penale –www.sistemapenale.it
[3] La disciplina del whistleblower affonda le sue radici nel lontano 1863 quando fu emanato il False Claims Act o Lincoln Law per ridurre i comportamenti fraudolenti posti in essere ai danni del governo dai fornitori di materiale bellico durante la guerra di secessione, prevedendo una ricompensa per il denunciante. A partire dagli anni ottanta del secolo scorso la disciplina è stata integrata da altri interventi tra cui il Whistleblower Protection Act del 1989 volto alla tutela dei dipendenti pubblici che segnalano illeciti di cui abbiano conoscenza nei relativi settori di attività. In Gran Bretagna tale figura è stata disciplinata dal Public Interest Disclosuire Act del 1998 che ha introdotto norme all’interno dell’Employment Rights Act del 1996, garantendo un’ampia protezione dalle ritorsioni per i dipendenti pubblici e privati che denunciano irregolarità rilevanti, anche presunte, riferibili a reati, violazioni di legge civile, errori giudiziari, pericoli per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.
[4] Prima della promulgazione della legge n.190 gli unici riferimenti normativi applicabili in materia erano gli artt.361 e 362 c.p. riguardanti l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio (dove l’ambito soggettivo e oggettivo è molto più ristretto rispetto alla disciplina del whistleblowing e quindi non concretamente riconducibile ad una ipotesi concreta di tutela del dipendente pubblico); la normativa in materia di protezione dei testimoni di giustizia (ma solo in caso di gravi rischi per l’incolumità del testimone); e nel settore privato la legge n.231/2001 (che impone a tutti i destinatari del modello organizzativo specifici obblighi di segnalazione).
[5] www.eur-lex.europa.eu
[6] Autorità Nazionale Anticorruzione Relazione annuale 2019 Camera dei deputati Roma 2 luglio 2020 www.anticorruzione.it
[7] Corte di Cassazione, sesta sezione penale 31 gennaio 2018  n.9041 e n.9047 www.neldiritto.it
[8] Corte di Cassazione, quinta  sezione penale, 21.05.2018 n.35792 www.giurisprudenzapenale.com
[9] Cassazione civile, sezione lavoro, 24 gennaio 2017 n.1752 www.eius.it
[10] TAR Napoli, sesta sezione, 8 giugno 2018 n.3880 www.iusinitinere.it
[11] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sezione II, 27 febbraio 2018, n.1085 www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com

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