Diritto europeo, CEDU e norme interne: la recente giurisprudenza della Cassazione civile con particolare riferimento al diritto dello straniero
Premessa
Con questo articolo trattiamo la questione dell’inquadramento delle fonti del diritto dell’Unione europea e della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) nell’ambito delle fonti interne del diritto italiano alla luce di quanto stabilito dalla giurisprudenza costituzionale. Un passaggio necessario anche a comprendere gli interventi della giurisprudenza di legittimità che spesso devono armonizzare il nostro diritto interno con quello europeo.
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Le Fonti del diritto dell’Unione europea.
Il problema della collocazione nel sistema delle fonti del diritto dell’Unione europea è una questione complessa che ha impegnato non poco i cultori del diritto.
Se pure le problematiche sollevate sono state da tempo risolte dalla Corte costituzionale, la questione in generale è sicuramente particolare e desta numerosi spunti di riflessione in punto di diritto.
L’Unione europea dispone di personalità giuridica e, in quanto tale, ha un proprio ordinamento giuridico, distinto dall’ordinamento internazionale. Inoltre, il diritto UE ha un effetto diretto o indiretto sulle disposizioni legislative dei suoi Stati membri ed entra a far parte del sistema giuridico di ciascuno Stato membro. Si è soliti distinguere tra diritto primario (trattati e principi generali del diritto), diritto derivato (sulla base dei trattati) e diritto complementare.
Uno dei problemi che ha dovuto affrontare la nostre Corte costituzionale ha riguardato appunto il rapporto tra le norme interne e quelle “esterne” soprattutto in caso di contrasto tra i diversi enunciati. La soluzione è stata rinvenuta a partire dall’art. 11 della Costituzione che prevede la diretta applicazione del diritto dell’Unione nel nostro ordinamento giuridico. La seconda parte dell’art. 11 infatti stabilisce che l’Italia “consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Ora, con l’adesione ai Trattati comunitari, il nostro Stato ha volontariamente ceduto porzioni di sovranità per entrare a far parti di un ordinamento più ampio. Una cessione di sovranità che ha riguardato anche il potere di legiferare nelle materie specificamente oggetto dei Trattati e, comunque, sempre nel rispetto dei principi fondamentali previsti dalla nostra Carta costituzionale.
Nella pratica, sino al 1984, secondo l’orientamento prevalente le norme comunitarie abrogavano addirittura le norme statali preesistenti e, in caso di norme statali incompatibili ma sopravvenute, era prevista la remissione alla Corte costituzionale appunto per violazione dell’art. 11 della Costituzione[1].
Con la sentenza n. 170 del 1984 la Corte costituzionale enuncia un nuovo e diverso principio superando così l’indirizzo originario. Con tale orientamento si stabilisce che il contrasto tra norme statali e norme comunitarie non dà luogo all’invalidità o all’illegittimità delle norme del diritto interno, ma comporta la semplice disapplicazione di queste ultime rispetto al caso concreto. Ancora una volta, la disapplicazione trova un limite nel rispetto dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione e nei diritti inalienabili della persona.
Successivamente, sempre la Corte costituzionale, con altrettante pronunce, ha stabilito l’applicabilità del principio sopra esposto anche alle sentenze interpretative della Corte di giustizia[2] e alle direttive munite di efficacia diretta[3].
La CEDU nel sistema delle fonti.
Diverso discorso deve essere fatto invece per il sistema di norme derivante dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). In questo caso, infatti, siamo di fronte ad un trattato internazionale multilaterale che trova la sua forza nel diritto interno ad opera dell’art. 117 della Costituzione. A partire dalle Sentenze del 24 ottobre 2007 n. 348 e 34, la Corte costituzionale ha sancito che le norme CEDU non ricevono copertura costituzionale dall’art. 11 (articolo che si riguarda invece il diritto sovranazionale dell’Unione europea) ma dall’art. 117 che enuncia una serie di obblighi per lo Stato e le Regioni derivanti dal diritto internazionale pattizio. In base all’art. 117 non può attribuirsi rango costituzionale alle norme contenute in accordi internazionali e queste infatti necessitano della ratifica attraverso norma ordinaria per essere applicate all’interno del nostro ordinamento.
Così, diversamente da quanto accade per i diritto dell’Unione europea, il giudice nazionale non può disapplicare direttamente la norma interna che contrasti con le disposizioni della CEDU[4]. Piuttosto, il giudice nazionale, in caso di contrasto, è chiamato a risolvere questo attraverso un’interpretazione conforme della norma interna alla CEDU e, per fare questo, deve fare ricorso a tutti gli strumenti di ermeneutica giuridica consentiti. Ove tale risultato non fosse perseguibile, allora non resterebbe al giudice nazionale che sollevare la questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale. Spetterà dunque alla Corte costituzionale stabilire se vi è contrasto effettivo tra la norma interna e la CEDU e dichiarare eventualmente l’illegittimità costituzionale delle disposizioni interne per violazione dell’art. 117 Costituzione
Giurisprudenza nazionale e giurisprudenza europea.
Un problema che si è posto proprio rispetto a questo sistema, ha riguardato la possibilità di riconoscere un potere vincolante, anche per il giudice nazionale, da parte delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, organo competente a pronunciarsi sulle questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della CEDU e dei suoi protocolli. Sul punto, la Corte costituzionale è intervenuta per precisare a quali condizioni la giurisprudenza della Corte di Strasburgo possa vincolare il giudice nazionale e lo ha fatto proprio per evitare fraintendimenti. Infatti, con la pronuncia del 26 marzo 2015 n. 49, la Corte costituzionale ha chiarito che l’interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo vincola il giudice nazionale solamente se è espressione di un “diritto consolidato” e giammai se si tratta di una pronuncia non rappresentativa di un orientamento consolidato e divenuto definitivo.
La Corte di Cassazione interviene sul permesso di soggiorno per assistenza al minore.
Nel corso del 2019, i Giudici italiani hanno dovuto più volte confrontarsi con le norme della CEDU e per questioni che attengono ad ambiti differenti. Una delle pronunce della Corte di cassazione civile che ha riguardato le tutele del cittadino straniero con riferimento alla possibilità di permanenza sul territorio italiano per motivi familiari.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 10785/2019 emessa dalla Sezione I, ha infatti ritenuto che il permesso di soggiorno per assistenza al minore, previsto dall’art. 29 comma 6 del Testo Unico Immigrazione, rilasciato ad un familiare ai sensi dell’art. 31 comma 3 dello stesso decreto, può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari, ai sensi dell’art. 30 comma 1 lett. c) sempre del Testo Unico Immigrazione.
E’ appena il caso di ricordare che l’art. 29 comma 6 del Testo Unico Immigrazione prevede che “Al familiare autorizzato all’ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale ai sensi dell’articolo 31, comma 3, è rilasciato, in deroga a quanto previsto dall’articolo 5, comma 3-bis, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro. Perché ciò sia possibile, è però necessario che il richiedente sia in possesso dei requisiti per il ricongiungimento familiare”.
Con la pronuncia richiamata, la Corte di Cassazione ha effettuato una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme richiamate allineandosi ai principi delineati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Sulla scorta di quanto previsto dall’art. 8 della CEDU e della giurisprudenza che ne è derivata, la Corte di Cassazione ha escluso che il soggetto titolare di autorizzazione ex art. 29 comma 6 T.U. Immigrazione, sia costretto a recidere i rapporti familiari in ragione di un provvedimento di espulsione sopravvenuto per scadenza del permesso.
La massima che ne è derivata è la seguente: “In conformità ad una interpretazione costituzionalmente orientata ed in linea con i principi delineati dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all’art.8 CEDU, il permesso di soggiorno per assistenza minore, previsto dall’art. 29, comma 6, del d.lgs. n.286 del 1998, rilasciato al familiare autorizzato all’ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale, ai sensi dell’art.31, comma 3, dello stesso decreto, può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari, ai sensi dell’art.30, comma 1, lett. c), del decreto succitato, quando il richiedente sia in possesso dei requisiti per il ricongiungimento familiare previsti dal citato art. 29 del d.lgs. n.286 del 1998, che il giudice di merito è tenuto ad accertare specificamente caso per caso e della cui sussistenza deve dare conto nella motivazione della decisione emessa”.
Conclusioni
Concludendo, va evidenziato come la giurisprudenza di legittimità italiana ha avuto modo nel corso del 2019 di affrontare diverse questioni attinenti alla applicazione nel nostro ordinamento dei principi sanciti dalla CEDU in diversi campi del diritto civile. Anche con specifico riferimento ai diritti degli stranieri si è dovuto intervenire per adattare la normativa nazionale e i principi giurisprudenziali del nostro Paese con la giurisprudenza e i principi derivanti appunto dalla CEDU. Una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che vengono in rilievo allineandosi così ai principi delineati dalla Corte di Strasburgo è appunto contenuta nella sentenza della Corte di Cassazione che si è brevemente richiamata e di cui si è dato un rapido commento.
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Note
[1] cfr. Corte costituzionale 30 ottobre 1975 n. 232 e successive pronunce.
[2] Cfr. Corte costituzionale, 19 aprile 1985, n. 113
[3] Cfr. Corte costituzionale, 18 aprile 1991 n. 168
[4] Cfr. corte costituzionale 24 ottobre 2007 n. 348 e 349
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