Differenze tra cessazione della materia del contendere e sopravvenuta carenza di interesse

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4191 del 9 luglio 2018 ha ripercorso nuovamente le differenze ed i presupposti che regolano la cessazione della materia del contendere e la sopravvenuta carenza di interesse, facendo emergere come la sottile linea di demarcazione tra i due istituti sia rappresentata dalla soddisfazione del bene della vita.
Nella sentenza in commento, i Giudici di Palazzo Spada hanno ribadito i consolidati principi giurisprudenziali che disciplinano l’istituto della cessazione della materia del contendere, oggi disciplinata nell’art. 34, comma 5, del codice del processo amministrativo, classificandoli nei seguenti punti:

a) può essere pronunciata nel caso in cui il ricorrente abbia ottenuto in via amministrativa il bene della vita atteso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2018, n. 2687), sì da rendere inutile la prosecuzione del processo stante l’oggettivo venir meno della lite (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1135; sez. IV, 22 gennaio 2018, n. 383; sez. IV, 7 maggio 2015, n. 2317);
b) si differenzia dalla sopravvenuta carenza di interesse ex art. 35, comma 1, lett. c) Cod. proc. amm. che, invece, si verifica quando l’eventuale accoglimento del ricorso non produrrebbe più alcuna utilità al ricorrente, facendo venir meno la condizione dell’azione dell’interesse a ricorrere (Cons. Stato, sez. IV, 24 luglio 2017, n. 3638);
c) è caratterizzata dal contenuto di accertamento nel merito della pretesa avanzata e dalla piena soddisfazione eventualmente offerta dalle successive determinazioni assunte dall’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5343; sez. IV 28 marzo 2017, n. 1426);
d) qualora sia dichiarata in sede di impugnazione comporta la rimozione della sentenza impugnata in quanto priva di attualità con conseguente perdita di ogni effetto della stessa anche per ciò che attiene all’eventuale condanna al pagamento delle spese (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 dicembre 2014, n. 6338; sez. V, 5 marzo 2012, n. 1258, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6541);
e) in mancanza di accordo delle parti, il giudice deve procedere all’accertamento virtuale sulla fondatezza dell’originaria pretesa ai fini del regolamento delle spese di lite (Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2909).

L’estinzione del ricorso
Dalla lettura combinata dei richiamati principi emerge che, la cessata materia del contendere, direttamente regolamentata dal legislatore prima con l’art. 23 comma 7 della legge 1034 del 1971 ed ora con l’art. 35 del codice del processo amministrativo, è accomunata a quella limitrofa della sopravvenuta carenza di interesse, di stretta elaborazione giurisprudenziale, per la disciplina, che determina in entrambi i casi l’estinzione del ricorso, e per la tipologia di fatto di origine, che è sempre un ulteriore provvedimento della pubblica amministrazione che interviene nel rapporto in contestazione.
Tuttavia, i due istituti, seppur determinando entrambe l’estinzione del giudizio, si differenziano nettamente tra loro per la diversa soddisfazione dell’interesse leso e per il tipo di pronuncia emessa dal Giudice amministrativo.
 Cosa si intende per carenza d’interesse?
Con riferimento alla sopravvenuta carenza di interesse, questa, opera solo quando nel corso del giudizio sopraggiunge una situazioni di fatto o di diritto che determina una nuova valutazione dell’assetto del rapporto tra Pubblica Amministrazione e l’amministrato, e che rende inutile la prosecuzione del giudizio ed una pronuncia di merito.
Dunque, nel caso in cui vi sia stata un’espressa dichiarazione dell’interessato di sopravvenuta carenza di interesse, il Giudice non ha la possibilità di decidere nel merito la controversia, né di procedere d’ufficio né di sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell’interesse ad agire, dovendo il Giudice procedere con una declaratoria di improcedibilità del ricorso.
La dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse è un ipotesi di pronuncia in rito, trattandosi di figura di elaborazione giurisprudenziale espressamente prevista dall’art. 35 comma 1, lett. c), c.p.a., e può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza per essere venuta meno, per il ricorrente, qualsiasi utilità, anche solo strumentale o morale comunque residua, della pronuncia del giudice.
Appare evidente, quindi, come nel caso di una pronuncia del Giudice che dichiari la sopravvenuta carenza di interesse, il ricorrente non ottiene la soddisfazione del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo di cui ha chiesto tutela, ma l’unico interesse che eventualmente permane è rappresentato dalla facoltà della parte di pretendere il risarcimento del pregiudizio patrimoniale sofferto in conseguenza della determinazione che verrà incidentalmente giudicata illegittima.
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Quali sono le differenze con la cessazione della materia del contendere?
Di contro, nel processo amministrativo presupposto per dichiarare la cessazione della materia del contendere è che la pretesa del ricorrente, ovvero il bene della vita al quale egli aspira, abbia trovato piena e comprovata soddisfazione in via extragiudiziale, e comunque successivamente alla proposizione del ricorso, sì da rendere del tutto inutile la prosecuzione del processo, stante l’oggettivo soddisfacimento dell’interesse legittimo originariamente leso, nonché il venir meno dell’interesse a ricorrere.
Più segnatamente, l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere viene pronunciata ai sensi dell’art. 34 comma 5, c.p.a., mediante una decisione che non si limita ad avere una valenza meramente processuale (pronuncia di rito) come per il caso di declaratoria della sopravvenuta carenza di interesse, ma è caratterizzata dall’accertamento nel merito della pretesa avanzata; il Giudice, infatti, è chiamato ad effettuare una valutazione nel merito che comporti la piena eventuale soddisfazione ad opera delle successive determinazioni assunte dalla Pubblica Amministrazione.
Come vengono ripartite le spese di giudizio?
Per quanto riguarda la regolamentazione delle spese di giudizio, in fine, nella sentenza in commento emerge inequivocabilmente come una pronuncia che dichiari l’intervenuta cessazione della materia del contendere, ma lo stesso può dirsi per la declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse, non può esimere il giudice dal verificare, alla stregua del criterio della soccombenza virtuale, le ragioni della parte che abbia visto soddisfatta la sua pretesa solo dopo l’introduzione del giudizio, non potendo ammettersi che la necessità di servirsi del processo per ottenere ragione torni in danno del ricorrente; di conseguenza, in mancanza di un espresso accordo delle parti sulla compensazione delle spese, il giudice deve prendere in esame i vizi/moti posti a sostegno delle domande sollevate dalla parte ricorrente, per valutarne la fondatezza al solo fine di regolare, in base al principio della soccombenza virtuale, le spese del giudizio.
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