Dalla Legge Spazzacorrotti al decreto Semplificazioni: in medio stat virtus
La legge Spazzacorrotti, legge 9 gennaio 2019 n.3, entrata in vigore il 31 gennaio 2019, fortemente voluta dal guardasigilli Alfonso Bonafede, è stata adottata al fine di contrastare il fenomeno della corruzione.
Il volto aspro della legge risulta ben chiaro se si evidenzia come la suddetta legge abbia determinato l’ingresso dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., nel novero dei reati ostativi di cui all’art.4bis, ord. Pen.; così facendo, gli autori dei delitti ivi contemplati restano esclusi dall’accesso alla quasi totalità dei benefici penitenziari e dalla possibilità di poter beneficiare di un decreto di sospensione contestualmente all’ordine di esecuzione; la norma ha, infatti, finito con l’equiparare il trattamento normativo riservato agli autori di reati di criminalità politico-economica, c.d. white collar crimes, a quello riservato agli autori dei delitti di criminalità organizzata.
La norma transitoria
Punto critico di tale riforma è stata, tuttavia, la mancata previsione di una norma transitoria che disponesse l’operatività delle nuove disposizioni esclusivamente per il futuro; infatti, fin da subito la norma ha assunto una portata retroattiva tale da consentirne l’applicazione anche nei confronti di quanti avessero commesso il reato prima del 31 gennaio 2019, non trovando luogo in siffatti casi il principio di irretroattività della norma sfavorevole di cui agli artt.25, comma secondo, Cost., art.2 c.p., e altresì, art.7 CEDU[1].
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La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha dichiarato con la sentenza n.32/2020[2] l’illegittimità costituzionale della Legge Spazzacorrotti, in quanto interpretata nel senso che le modificazioni introdotte all’art. 4-bias, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge.
Dalla ferocia della Legge Spazzacorrotti si è passati al volto mite del d. l. 16 luglio 2020 .76, c.d. Decreto Semplificazioni, convertito nella legge n. 120/2020; il suddetto decreto muove da esigenze diverse ovvero dalla necessità quanto di una accelerazione delle procedure burocratiche quanto di uno snellimento del carico giudiziario.
Tra gli interventi più significativi del suddetto decreto si segnala l’art.23, che introduce modifiche sostanziali all’art.323 del codice penale, rubricato “Abuso di ufficio”.
L’area del penalmente rilevante viene notevolmente ridotta grazie alla sostituzione all’interno dell’art.323 c.p. della parte in cui prevedeva la punibilità per «violazione di norme di legge o regolamento» con «violazione di specifiche condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuano spazi di discrezionalità»; la modifica comporta, di fatto, una quasi depenalizzazione del reato in questione; si supera, così facendo, il c.d. fenomeno della “paura della firma” da parte dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio.
La portata del decreto in esame, ormai convertito in legge, diventa ancora più incisiva se ci soffermiamo sull’art.21, “Responsabilità erariale”: la responsabilità per danno erariale dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, disciplinata dall’art. 1 l. n. 20/1994, secondo il quale tale responsabilità «è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali», risulta ora integrato di un successivo periodo a norma del quale «la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso»; tale esenzione di responsabilità non si applica, tuttavia, per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.
Se da un lato non può non considerarsi che delle quasi 7000 contestazioni per abuso d’ufficio relative al biennio 2016/2017 solo 100 sono giunte ad un provvedimento definitivo di condanna, dall’altro non bisogna sottovalutare come le siffatte modifiche facciano in modo da limitare notevolmente la punibilità per i fatti di cui all’art.323c.p., soprattutto laddove si considera che la maggior parte delle operazioni burocratiche sono soggette ad ampi margini di discrezionalità.
Le implicazioni di tale riforma sono ben chiare e comprendono l’archiviazione per tutti i processi in fase di indagine, il proscioglimento per i processi ancora pendenti e la revoca delle sentenze passate in giudicato.
Appare opportuno, infine, sottolineare come il decreto risulti ancora più irrazionale se si considera che nelle eventuali, nonché rare, ipotesi in cui si possa giungere ad una condanna definitiva per abuso d’ufficio, il soggetto condannato venga poi equiparato dall’ordinamento penitenziario agli autori dei reati di criminalità organizzata.
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Note
[1] A conferma di tale orientamento si invocava il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive nonchè delle misure alternative alla detenzione non riguardano l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, indi per cui le suddette disposizioni non sono norme penali sostanziali e dunque, soggiacciono al principio del tempus regit actum e non a quelle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo di cui all’art. 2 c.p. e all’art. 25 Cost.
[2] Corte Costituzionale, sent. n.32/2020, Presidente CARTABIA, Redattore VIGARO’, pubblicazione in G.U 04/03/2020 n.10, in www.cortecostituzionale.it: la Corte si è pronunciata in seguito ai giudizi di legittimità costituzionale promossi dal Tribunale di sorveglianza di Venezia con ordinanza dell’8 aprile 2019, dalla Corte d’appello di Lecce con ordinanza del 4 aprile 2019, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Cagliari con ordinanza del 10 giugno 2019, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Napoli con ordinanza del 2 aprile 2019, dal Tribunale di sorveglianza di Taranto con ordinanza del 7 giugno 2019, dal Tribunale ordinario di Brindisi con due ordinanze del 30 aprile 2019, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Caltanissetta con due ordinanze del 16 luglio 2019, dal Tribunale di sorveglianza di Potenza con ordinanza del 31 luglio 2019 e dal Tribunale di sorveglianza di Salerno con ordinanza del 12 giugno 2019, rispettivamente iscritte ai numeri 114, 115, 118, 119, 157, 160, 161, 193, 194, 210 e 220 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 34, 35, 36, 41, 42, 46, 48 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2019.
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