Crediti dell’avvocato: le Sezioni Unite sulle modalità di recupero
Crediti Avvocato: come si recuperano le spese processuali?
Le Sezioni Unite civili, con la sentenza n. 4485 del 23 febbraio scorso, sono intervenute in materia di crediti dell’avvocato in relazione all’attività professionale prestata, specificando come il professionista possa procedere al recupero delle proprie spettanze. In particolare, i Supremi giudici hanno affermato che “è esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702 bis e segg. c.p.c.; la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, sia se introdotta ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull’an debeatur quanto se non vi sia; una volta introdotta, essa resta soggetta al rito di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, anche quando il cliente sollevi contestazioni riguardo all’an; soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli in via riconvenzionale o di compensazione o di accertamento pregiudiziale, l’introduzione di una domanda ulteriore e la sua esorbitanza dal rito di cui all’art. 14 comporta − sempre che non si ponga anche un problema di connessione ai sensi degli artt. 34, 35 e 36 c.p.c., e, se è stata adita la corte di appello, il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso − che si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario.”
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Il giudizio verte sull’an e sul quantum della domanda
In altre parole, il dato normativo letterale permette l’instaurazione del procedimento non solo se la difesa professionale non sia contestata e, dunque, il professionista richieda solamente la liquidazione del quantum, restando indiscussi il conferimento e l’espletamento dell’incarico. Diversamente, l’azione è proponibile anche qualora sia in discussione l’an della prestazione professionale. Da ciò discende che, potendosi la domanda articolare in entrambi i modi, la sua formulazione in termini di solo quantum non può determinare una pronuncia di irritualità del procedimento instaurato con conseguente mutazione nelle forme ordinarie del processo. Questa interpretazione è peraltro in linea con la riforma dei riti (L. 150/2011), la cui ratio era quella di semplificare le procedure e le tipologie di procedimenti azionabili.
Ulteriore conseguenza è quella per cui, sia che la difesa del cliente si limiti alla contestazione del quantum, sia che essa si estenda alla contestazione dell’an – ma sempre che non vi sia un ampliamento dell’oggetto del processo con nuove e ulteriori domande del convenuto – il procedimento non ha ragione di essere modificato, in quanto non c’è alcun impedimento a che venga perseguito il rito sommario. Non si configura alcuna sopravvenuta inammissibilità o improcedibilità del rito ex art. 702 bis c.p.c.; spetterà comunque al giudice valutare se sia possibile proseguire in tale contesto, ovvero se sia necessario instaurare una fase istruttoria, per così dire, allargata.
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