Covid ed obbligo vaccinale: la consulta si è pronunciata

A seguito delle ordinanze di rimessione di legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale in ambito lavorativo, la Consulta si è finalmente pronunciata, al termine delle udienze programmate per il 30 novembre 2022.
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    Indice

La questione 
La decisione
Conclusioni

1. La questione
Sono state fissate al 30 novembre le discussioni sulle dodici ordinanze di legittimità costituzionale sollevate da cinque organi giurisdizionali per decidere sulla compatibilità con i principi costituzionali – e non solo – dell’obbligo sanitario introdotto dal Decreto Legge 01/04/2021 n. 44 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76) e Decreto Legge 24/03/2022 n. 24.
Fissate per la mattinata le udienze pubbliche relative alle seguenti ordinanze: 1) CGA Sicilia del 22.03.2022, n. 351, pubblicata in G.U. del 27.4.2022 n. 17 al numero di registro 38; 2) TAR Lombardia del 30.3.2022, pubblicata in G.U. del 4.5.2022 n. 18 con il numero di registro 42; 3) Trib. Brescia del 22.3.2022, in G.U. del 11.5.2022, n. 19, al n. 47; 4) Trib. Brescia del 09.5.2022, in G.U. del 22.6.2022, n. 25, al n. 71; 5) Trib. Padova del 28.4.2022 e Tribunale di Brescia del 31.5.2022, in G.U. del 06.7.2022, n. 27, al n. 76 e 77; 6) Tribunale di Brescia del 22.8.2022 e del 16.08.2022, in G.U. del 5.10.2022, n. 40, ai nn. 107 e 108. Nel pomeriggio, la volta delle udienze in camera di consiglio vertenti sulle ordinanze del: 7) Tribunale di Catania del 14.3.2022, in G.U. 22.6.2022, n. 25, al numero 70; 8) TAR Lombardia del 16.6.2022, in G.U. del 24.08.2022, n. 34, al numero 86; 9) Tribunale di Brescia del 22 e 23 luglio, in G.U. del 28.09.2022, n. 39, ai numeri 101 e 102.
Oggetto dell’impugnazione è l’art. 4 del citato Decreto Legge in tema di previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, sotto l’aspetto della mancata adibizione del soggetto a mansioni anche diverse che non implichino il contatto con i pazienti, e alla previsione che l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale de quo determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa e che per il periodo di sospensione non sono dovuti né la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati.
Le disposizioni che vengono in rilievo ai fini della riscontrata violazione con le norme di rango superiore sono essenzialmente gli artt. 2, 3 e 4 Cost., nonché i principi in tema di retribuzione e diritto al lavoro, ex art. 35, 36 e 41 Cost., unitamente all’art. 32, in punto di libera scelta e autodeterminazione dell’individuo in materia sanitaria e trattamenti sanitari.

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2. La decisione
Dopo la “maxi-udienza”, l’attesa è finita.
In data 01 dicembre, in corrispondenza della giornata mondiale per la lotta contro l’AIDS – la cui Legge 135 del 1990 recante “Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS” sancisce il divieto di divulgare la diagnosi di AIDS riscontrata in sede di accertamento sanitario (confermato dai successivi interventi del Garante della privacy del 31 luglio 1998; del 07 gennaio 1999; 15 luglio 1999; 16 febbraio 2000) – ma anche dello scadere dei 180 giorni per giustificare il mancato adempimento all’obbligo vaccinale che dà il via alle sanzioni contro coloro che non si sono sottoposti all’intero ciclo vaccinale, per complessivi 1,9 milioni di persone over 50 o appartenenti alle categorie professionali tra cui forze dell’ordine, docenti e personale sanitario che si sono sottratte alle dosi, è giunto il responso.
Una data destinata ad entrare nella storia, che conferma come in nome della salute, tutto è permesso.
Il Comunicato dell’Ufficio Stampa, recante il titolo “Obbligo Vaccinale a tutela della salute”, rende noto che “La Corte ha ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all’obbligo vaccinale, di svolgere l’attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali.
Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario.
Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico.”
Tuttavia, per conoscerne le ragioni, si dovrà attendere il deposito delle motivazioni.
3. Conclusioni
Gli auspici non presagivano un finale diverso; ad ogni modo, la macroscopica disparità di trattamento fondata, da un lato, sul dato soggettivo del destinatario della legge, individuato sulla base dell’età (obbligo imposto per gli over 50) e sulla professione esercitata rispetto alla platea dei cittadini; e, dall’altro, sul dato oggettivo di applicazione ai soli casi di SARS-CoV-2 e non (anche) ad altre malattie o infezioni virali; nonché l’elevato e inconsueto numero di provvedimenti che ne ravvisavano la violazione costituzionale – oltre alle decisioni cautelari e di merito di reintegra del lavoratore – lasciava ragionevolmente aperta la possibilità di assistere ad “un colpo di coda” alle scelte legislative adottate.
Il punto di vista emanato, se pur non porta alcun cambiamento nei fatti – avendo confermato l’attuale disciplina, e, pertanto, le sanzioni comminate – è un radicale punto di svolta nell’ordinamento interno che suscita forti interrogativi sui temi giuridici affrontati. Primo fra tutti: si  può ancora parlare di salute se non vi è più un lavoro, e, dunque, una retribuzione? In altre parole, se il soggetto viene privato dello stipendio e dell’esercizio della professione, e fermo restando che la retribuzione non è sufficiente ma comunque necessaria al sostentamento proprio e di chi, da esso, ne dipende, conserva ancora il diritto alla salute oppure questo viene corroso?
E, quindi, cosa si intende per “diritto alla salute”? Consiste solo nel diritto “alla cura”, garantito in Italia attraverso il SSN anche ai meno abbienti, oppure la scelta da chi, come e per cosa farsi curare? Tornando alla legge sull’AIDS, è garantito l’anonimato e la non discriminazione per i sieropositivi e la volontarietà di sottoporsi al test HIV (art. 5 L. 135/1990); parimenti, nessun obbligo di profilassi è imposto quale requisito per esercitare un’attività lavorativa sul territorio nazionale, né il mancato adempimento per avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale comporta sanzioni pecuniarie e professionali.
La soluzione adottata fa, dunque, sorgere il dubbio sul perché all’infezione da COVID-19 sia stato riservato un trattamento speciale, senza precedenti, e tale da calpestare i diritti tutelati per altre malattie, quali la privacy in tema di dati personali, l’autodeterminazione alle cure e il diritto al lavoro.
Sulla scorta dei precedenti giurisprudenziali che hanno riconosciuto la legittimità dell’obbligo de quo, si possono individuare i probabili argomenti a sostegno, fra i quali la tutela della salute pubblica sia ai fini della prevenzione del contagio e riduzione della diffusione della malattia, sia ai fini del decongestionamento del sistema sanitario nazionale; e i dati scientifici a supporto della dedotta sicurezza del vaccino, che rende tollerabile nei limiti della normalità l’accettazione dei rischi e degli eventi avversi che generalmente conseguono alla somministrazione di tutti i trattamenti sanitari (cfr. Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 5; 14 dicembre 2017, n. 268), superando lo scoglio dell’autorizzazione in via d’urgenza dei vaccini in esame e dell’immissione in commercio c.d. condizionata, facendo leva sulle certificazioni eseguite da un Organo tecnico e indipendente – quale l’AIFA – preposto all’attività di controllo e farmacovigilanza.
E’, però, al contempo innegabile che altrettanti dati scientifici consegnano un quadro preoccupante, portando alla luce una realtà diversa da quella che si è prefissata la norma: i) sia i vaccinati che i non vaccinati sono “portatori sani” del virus, ed hanno le stesse probabilità di ammalarsi e contagiare gli altri; ii) nonostante oltre il 90% della popolazione abbia concluso il ciclo vaccinale (dati diffusi dal Ministero della Salute e Presidenza del consiglio), il virus non è stato ancora debellato e ogni giorno si registrano nuovi contagiati che superano i 100.000 e i 500 decessi, e i reparti Covid di terapia intensiva non si sono mai svuotati; iii) solo di recente vengono avviati studi approfonditi sugli effetti dei vaccini commercializzati dalle maggiori case farmaceutiche, ed in particolare i rischi cardiaci a seguito del costante aumento di casi sospetti anche fra giovanissimi.
In attesa di conoscere le motivazioni, la decisione appena emessa lascia irrisolto il dubbio di come possa superare il vaglio di proporzionalità e ragionevolezza una previsione così apertamente discriminatoria e manifestamente contraddittoria con i dati reali, e segna, dunque, “l’alba di una nuova era” in cui – forse – sarà stravolto l’art. 1 della Costituzione per cui la Repubblica italiana non sarà (più) fondata sul lavoro, bensì sulla salute, e il “tramonto” della libera autodeterminazione e della tutela dei dati sensibili.
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Gli aspetti giuridici dei vaccini

La necessità di dare una risposta a una infezione sconosciuta ha portato a una contrazione dei tempi di sperimentazione precedenti alla messa in commercio che ha suscitato qualche interrogativo, per non parlare della logica impossibilità di conoscere possibili effetti negativi a lungo termine.
Il presente lavoro intende fare chiarezza, per quanto possibile, sulle questioni più discusse in merito alla somministrazione dei vaccini, analizzando aspetti sanitari, medico – legali e professionali, anche in termini di responsabilità.
 
Fabio M. DonelliSpecialista in Ortopedia e Traumatologia, Medicina Legale e delle Assicurazioni e in Medicina dello Sport. Profes­sore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano nel Dipartimento di Scienze Biomediche e docente presso l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino. Già docente nella scuola di Medicina dello Sport dell’Uni­versità di Brescia, già professore a contratto in Traumatologia Forense presso l’Università degli Studi di Bologna e tutor in Ortopedia e Traumatologia nel corso di laurea in Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Siena. Responsabile della formazione per l’Associazione Italiana Traumatologia e Ortopedia Geriatrica. Promotore e coordinatore scientifico di corsi in ambito ortogeriatrico, ortopedico-traumatologico e medico-legale.Mario GabbrielliSpecialista in Medicina Legale. Già Professore Associato in Medicina Legale presso la Università di Roma La Sapienza. Professore ordinario di Medicina Legale presso la Università di Siena. Già direttore della UOC Me­dicina Legale nella Azienda Ospedaliera Universitaria Senese. Direttore della Scuola di Specializzazione in Me­dicina Legale dell’Università di Siena, membro del Comitato Etico della Area Vasta Toscana Sud, Membro del Comitato Regionale Valutazione Sinistri della Regione Toscana, autore di 190 pubblicazioni.Con i contributi di: Maria Grazia Cusi, Matteo Benvenuti, Tommaso Candelori, Giulia Nucci, Anna Coluccia, Giacomo Gualtieri, Daniele Capano, Isabella Mercurio, Gianni Gori Savellini, Claudia Gandolfo.

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