Come volevasi dimostrare: sulla (pacifica) ammissibilità dei costi di gara a carico dell’aggiudicatario

La decisione del TAR Campania
L’Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha adito il TAR per l’annullamento del bando di gara di un piccolo Comune del napoletano avente ad oggetto procedura aperta per l’affidamento in concessione attraverso project financing degli interventi di messa in sicurezza, adeguamento, eliminazione inquinamento luminoso e efficientamento energetico degli impianti di pubblica illuminazione nonché di tutti gli altri documenti di gara.
L’impugnazione promossa dall’Autorità è stata presentata perché nel disciplinare è presente la clausola: “Atto unilaterale d’obbligo debitamente compilato e sottoscritto’ per cui: ‘L’ Operatore Economico – in caso di aggiudicazione – si obbliga a pagare alla Centrale di Committenza “Asmel Consortile S. c. a r.l.”, prima della stipula del contratto, il corrispettivo dei servizi di committenza e di tutte le attività di gara non escluse dal comma 2-bis dell’art.41 del D.lgs. n. 50/2016 dalla stessa fornite, una somma pari all’ 1% oltre iva dell’importo complessivo posto a base di gara, pari ad € 11.630,64 oltre IVA. Inoltre, l’operatore economico, in caso di aggiudicazione, si impegna a rimborsare alla centrale di committenza le spese di pubblicità obbligatoria in G.U.R.I. e su 2 quotidiani ai sensi del citato comma 2 dell’art. 5 del Decreto ministeriale infrastrutture e trasporti 2 dicembre 2016. La presente obbligazione costituisce elemento essenziale dell’offerta.”.
Secondo l’ANAC l’imposizione di un tale onere si porrebbe in contrasto con l’art. 23 della Costituzione secondo cui “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Inoltre, la clausola del bando e del disciplinare sarebbe anche in contrasto con l’art. 41, co. 2 bis del d.lgs. 50/2016, secondo cui “È fatto divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell’aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione delle piattaforme di cui all’articolo 58”.
La clausola sarebbe poi in violazione dell’art. 83, co. 8 del d.lgs. 50/2016, per cui “I bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
Il TAR (recependo i principi del precedente costituito da Cons. St., 19 maggio 2020, n. 3173, su cui: E. Guerri, RUP, legal advisor e costi a carico dell’aggiudicatario della gara, 8 maggio 2020, al link: https://www.diritto.it/rup-legal-advisor-e-costi-a-carico-dellaggiudicatario-della-gara ) ha concluso per la palese infondatezza del ricorso, sottolineando come – a tutto voler concedere – la clausola in argomento possa al più produrre un pregiudizio esclusivamente nei confronti dell’aggiudicatario, ciò in considerazione della circostanza che il corrispettivo, tra l’altro di esiguo importo (circa il 2% della base d’asta), è richiesto solo in caso di aggiudicazione e non in relazione alla mera partecipazione alla gara.
 
Brevi considerazioni
Le più recenti pronunce confermano il consolidarsi in via definitiva della posizione giurisprudenziale autorevolmente inaugurata dal Consiglio di Stato, con la nota sent. 17 giugno 2014, n. 3042.
La c.d. transaction fee, ovvero il ribaltamento dei costi “vivi” della procedura (incluso il supporto al RUP ex art. 31, c. 7, Codice), è pacificamente legittima perché – lungi dal creare effetti distorsivi della concorrenza – grava esclusivamente sull’impresa divenuta aggiudicataria, non comportando dunque una unilaterale decurtazione patrimoniale del privato.
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