Come si determina la competenza per territorio ove si proceda per il delitto di stalking

Cassazione penale, sez. V, 12 febbraio 2020 (ud. 12 febbraio 2020, dep. 4 giugno 2020), n. 16977 (Presidente Vessichelli, Relatore Brancaccio)
(Ricorso dichiarato inammissibile)
(Riferimenti normativi: Cod. pen., art. 612-bis; Cod. proc. pen., art. 8, c. 1)
Il fatto
La Corte d’Appello di L’Aquila confermava la sentenza del Tribunale di Chieti con cui l’imputato era stato condannato alla pena di anni uno e mesi due di reclusione, con sospensione condizionale e non menzione, in relazione al delitto di atti persecutori aggravato e diffamazione.
In particolare, le condotte di reato, ritenute tra loro in continuazione, erano state realizzata mediante telefonate moleste ripetute e messaggi ingiuriosi alla persona offesa.
 
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento indicato proponeva ricorso l’imputato, tramite il difensore, deducendo una serie di motivi così formulati.
Si ribadiva anzitutto, in particolare, l’incompetenza territoriale del Tribunale di Chieti in favore di quello di Foggia luogo dove risiedeva l’imputato e da cui, quindi, si erano realizzate le condotte moleste.
Si deducevano, altresì: a) l’omessa valutazione sulla credibilità della vittima; b) numerose omissioni nella valutazione degli elementi di prova; c) alcune discrasie tra la testimonianza della persona offesa e le dichiarazioni dell’imputato; d) omessa valutazione del fatto che la persona offesa aveva incontrato l’imputato nonostante fosse in corso il processo; e) omessa considerazione dei contenuti dell’esame dell’imputato e delle testimonianze difensive; f)
l’acquisizione di alcuni scritti e un cd provenienti dalla persona offesa, senza verifica di autenticità e senza consenso dell’imputato che si era opposto all’acquisizione;
Oltre a ciò, si eccepiva, altresì, la violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2, per mancanza della gravità indiziaria a carico del ricorrente.
Infine, un ultimo motivo deduceva omessa motivazione del provvedimento impugnato: 1) sulla richiesta di condanna della vittima al risarcimento dei danni in favore dell’imputato; 2) sulla trasmissione degli atti alla Procura di Chieti per il reato di calunnia a carico della vittima; 3) sulla mancata valutazione in prevalenza delle circostanze attenuanti generiche; sulla dosimetria della pena non corrispondente al minimo edittale; 4) sulla mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Per quello che rileva in questo commento, ossia in ordine a quanto enunciato nel primo motivo, quello cioè sulla competenza territoriale, gli Ermellini osservavano come la città abruzzese fosse pacificamente il luogo in cui si era consumato il reato e se ne erano realizzati gli eventi vale a dire: lo stato d’ansia ed il mutamento delle abitudini della vittima.
Si notava a tal proposito che il reato di stalking ha struttura causale e non di mera condotta che si caratterizza per la produzione di un evento di “danno” consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero, alternativamente, di un evento di “pericolo” configurato dal fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Sez. 3, n. 23485 del 7/3/2014).
Dal punto di vista della consumazione, veniva inoltre chiarito che la natura di reato abituale di danno del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. implica che esso debba ritenersi integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio sicché ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti quanto piuttosto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento (Sez. 5, n. 7899 del 14/1/2019).
Per tale ragione si è ritenuto che la consumazione del reato in esame prescinda dal momento iniziale di realizzazione delle condotte assumendo, invece, a tal fine significato il comportamento complessivamente tenuto dal responsabile sicché la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il comportamento stesso diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio ed in cui, quindi, il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall’art. 612-bis c.p. (Sez. 5, n. 3042 del 9/10/2019); in altre parole, nel delitto previsto dall’art. 612-bis c.p. che è reato abituale, la consumazione coincide con il compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato (Sez. 5, n. 22210 del 3/4/2017).
Oltre ciò, veniva però fatto presente che, sempre per quel che riguarda la competenza territoriale, oltre a doversi ragionare in termini di consumazione del reato abituale, per la Suprema Corte, deve essere anche operata una verifica sulle regole che dispongono l’individuazione del locus commissi delicti per i reati di danno sia pur abituali.
Ebbene, si evidenziava a tal riguardo che a nulla rileva, ai fini della competenza territoriale, il luogo da dove la condotta di reato fu realizzata poiché il criterio da utilizzare, per i reati abituali di danno come quello di atti persecutori, è quello di cui all’art. 8 c.p.p., comma 1, e non quello, tipico dei reati permanenti, previsto dal comma 3 del medesimo articolo il quale richiama il luogo di realizzazione dei singoli passaggi che hanno composto la condotta di reato (le telefonate, i messaggi telefonici e via internet molesti).
Del resto, ad avviso della Suprema Corte, la differenza tra il reato di atti persecutori e quelli di molestie e minacce, nei quali si vorrebbe quasi parcellizzare la condotta da parte del ricorrente, sta proprio nella caratterizzazione del primo secondo l’evento in quanto, laddove l’ordinamento ha voluto disporre diversamente sulla valenza di particolari tipi di evento ai fini della determinazione della competenza territoriale, lo ha previsto espressamente come per l’art. 8 c.p.p., comma 2, e, di conseguenza, è stato messo in risalto come il delitto di atti persecutori sia un reato abituale che differisce dai reati di molestie e di minacce i quali pure ne possono rappresentare un elemento costitutivo proprio per la produzione di un evento di “danno” consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di “pericolo“, configurato dal fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Sez. 3, n. 9222 del 16/1/2015; Sez. 5, n. 17968 del 5/2/2010) così come
non diversamente dagli altri reati di danno (cfr. Sez. 1, n. 36359 del 20/5/2016; Sez. 2, n. 42958 del 18/11/2010).
Tal che se ne faceva discendere che il reato di atti persecutori si consuma nel momento e nel luogo in cui l’evento dannoso può dirsi “compiuto” e cioè alla fine della sequenza degli atti complessivamente capaci di determinare uno degli eventi previsti dalla disposizione incriminatrice quale effetto della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate fermo restando che tale conclusione corrisponde alla configurazione dell’evento del reato abituale di stalking come risultato finale della reiterazione degli atti considerati tipici la quale costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un’autonoma ed unitaria offensività in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (cfr. Sez. 5, n. 54920 del 8/6/2016; Sez. 5, n. 51718 del 5/11/2014, nonché Sez. 5, n. 7899 del 14/1/2019).
La Suprema Corte, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulava il seguente principio di diritto: “il delitto di stalking configura un reato abituale di danno a struttura causalmente orientata che si consuma nel momento e nel luogo in cui l’evento dannoso può dirsi “compiuto”, e cioè alla fine della sequenza degli atti complessivamente capaci di determinare uno degli eventi previsti dalla disposizione incriminatrice quale effetto della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, sicché la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall’art. 612-bis c.p.”.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa viene spiegato come si deve determinare la competenza territoriale quando si procede per delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.).
In siffatta pronuncia, infatti, è affermato che, in riferimento a tale illecito penale, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall’art. 612-bis c.p..
Questo provvedimento, pertanto, deve essere preso nella dovuta considerazione per verificare se la competenza territoriale, in tali casi, venga correttamente individuata o meno.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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