Ammissibilità dei “punitive damages”

Commento a sentenza n. 16601 del 7 febbraio-5 luglio 2017, Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili.
La sentenza in commento ha, almeno in apparenza, aperto all’ammissibilità, nell’ordinamento giuridico italiano, dei punitive damages, cioè di inserire nella normativa nostrana risarcimenti ulteriori, a scopo sanzionatorio, che si sommano (e non sostituiscono) quelli tipicamente risarcitori.
 
Leggi la sentenza n. 16601 del 7 febbraio-5 luglio 2017, Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili.
 
La vicenda per cui è causa trae origine da una manifestazione sportiva nel corso della quale un motociclista riportava danni causati da asseriti difetti del casco. Pertanto, il danneggiato citava in giudizio, innanzi ad un Tribunale dello Stato della Florida negli U.S.A., la società venditrice e quella distributrice-produttrice, italiana. Con la prima, conseguiva un accordo pari a circa un milione di dollari, sicché quest’ultima chiedeva di essere rilevata indenne dalla produttrice per quanto corrisposto in via transattiva, oltre accessori. Il giudice della Florida accoglie la domanda con sentenze, successivamente, passate in giudicato negli Stati Uniti d’America. Di queste ultime, veniva chiesta la deliberazione innanzi la Corte d’Appello di Venezia, che accoglieva il ricorso. Nondimeno, la decisione del tribunale lagunare veniva gravata per Cassazione.
 
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Ciò posto, la prima e fondamentale questione che si pone all’attenzione è quella afferenti l’assoggettabilità del produttore agli obblighi derivanti da una transazione intercorsa tra danneggiante e venditore. Invero, trattasi di una res inter alios acta, per la quale, a’ sensi dell’art. 1304 c.c., la transazione posta in essere tra creditore ed uno dei debitori non produce effetti nei confronti dei condebitori, se questi non dichiarano di volerne profittare. Nel diritto anglosassone, la controversia de qua è qualificata come potential liability, basata su un giudizio probabilistico sull’esito della causa intentata. Essendo stata già definita in punto di diritto la questione dalle Corti statunitensi, ciò su cui si controverte è quali pronunce siano delibabili, ossia quali rispettino i dettami di cui alla l. n. 218 del 1995. Il punto cruciale di cui si occupa la sentenza in commento è quello della non contrarietà all’ordine pubblico, previsto dalla suddetta legge. Invero, ciò su cui è chiamato a pronunciarsi il giudice italiano è se l’atto introduttivo del giudizio sia stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo ove si è svolto il processo, senza che siano stati dunque violati i canoni del diritto di difesa. Nel caso di specie, il sistema americano aveva consentito al produttore di far valere le proprie ragioni in giudizio, anche se in modo difforme rispetto a quanto preveda l’ordinamento giuridico italiano con la chiamata in manleva. Pertanto, i Supremi Giudici escludono che vi sia stata la lesione del diritto di difesa. Infatti, l’ordine pubblico processuale è riferibile ai principi cardine della possibilità di agire e resistere in giudizio, non anche alle modalità con le quali gli stessi sono regolati o si esplicano (cfr. sent. n. 11021 del 6 marzo 2013, Cass. Civ., I Sez.). Le Sezioni Unite, nella sentenza in commento, fruiscono di un fondamentale parametro di riferimento nell’assumere la decisione, ossia le statuizioni della Corte di Giustizia CE, le cui pronunce costituiscono l’interpretazione autentica dell’UE e sono vincolanti per il giudice a quo.  Prima facie, tale asserzione potrebbe lasciare perplessi, ma è da tempo, ormai, che le Sezioni Unite cercano, quasi surrettiziamente, di enucleare il principio dello stare decisis nella loro giurisprudenza (cfr. sentt. nn. 1339-1340 del 26 gennaio 2004). Nondimeno, le perplessità permangono. Invero, è peculiare leggere “d’interpretazione autentica” quando gli stessi trattati istitutivi dell’UE riservano la competenza esclusiva delle rispettive Corti nazionali nell’interpretazione dei trattati medesimi. Pertanto, sia per tradizione che per scelta di politica legislativa, appare più logico contenere il principio dello stare decisis al ruolo che ha da sempre rivestito, ossia di tenere in considerazione le decisioni prese dalle Corti sovranazionali, senza che alle stesse venga fornita efficacia vincolante alcuna. Da quanto esteso, si evince come sia ancor più di vitale importanza qualificare correttamente il concetto di ordine pubblico internazionale. Quest’ultimo è costituto dai soli principi fondamentali e caratterizzanti l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo-storico. Le Sezioni Unite fanno propria quest’ampia definizione di ordine pubblico ed è sulla scorta della stessa che, nella sentenza n. 16601 del 2017, vagliano la compatibilità dei punitive damages nel nostro ordinamento, quantunque nei limiti della possibilità di delibazione di una sentenza straniera che li abbia comminati. Analizzando i precedenti della giurisprudenza di legittimità, la stessa non si era, in un primo momento, dimostrata favorevole al loro riconoscimento. Ad esempio, con la sentenza n. 1781 del 2012, la Corte di Cassazione aveva negato la delibazione di sentenza straniere che recassero tali statuizioni in quanto i nostro vigente ordinamento non riconnette al diritto al risarcimento del danno finalità punitive, ma di ristoro dell’effettivo pregiudizio subito. Nondimeno, la sentenza in esame si pone in evidenza per un netto cambio di rotta nella materia di cui si tratta. Specificamente, la risarcibilità dei punitive damages nel caso portato all’attenzione del Supremo Collegio è una questione collaterale, essendo tali assunti danni pretesi in via di rivalsa e per una serie di considerazioni processuali, sicché le Sezioni Unite hanno ritenuto l’inaccoglibilità della doglianza sull’accordata delibazione, dichiarando pertanto l’inammissibilità del ricorso. Tuttavia, hanno egualmente approfondito la quaestio iuris portata alla loro cognizione, e non con valenza inter partes ma erga omnes. Breve, si è in presenza della pronuncia del principio di diritto nell’interesse della legge, il quale può venire pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se si ritenga che la questione decisa sia di particolare importanza, dunque con valenza unicamente pro veritate, ai sensi del D.lgs. n. 40 del 2006. Una precisazione è d’obbligo. Cosa sono i punitive damages? E’ una categoria estremamente eterea nel diritto anglosassone, già sull’uso del singolare o del plurale. E’ sicuramente un concetto correlato al common law, in cui vige il principio del precedente vincolante e si discosta dagli ordinamenti di civil law, qual è il nostro, in cui le pene sono previste soltanto dalla legge, senza possibilità alcuna per il giudice di infliggere ulteriori condanne. Invece, i punitive damages hanno natura sanzionatoria, e sono comminati in seguito a di illeciti extracontrattuali, quando venga provato la particolare riprovevolezza morale del fatto. Indi, non si tratta di mero risarcirento, giacché il giudice può infliggere già importi del tutto scisse ovvero in assenza di danno. Invero, il diritto anglosassone conosce varie categorie di danni (ad es., nominal damages, exemplary o parasitic damages, etc…) che prescindono dalla sussistenza del danno. A questo fenomeno è strettamente correlato quello del c.d. “forum shopping”, ossia la scelta dell’organo giudiziario più incline ad accogliere le richieste risarcitorie.
Tornando all’iter motivazionale della sentenza n. 16601 del 2017, questo si rifà grandemente alla giurisprudenza antecedente della stessa Corte, nonché ai principi enunciati nei trattati comunitari nel ritenere ammissibili i punitive damages. Nondimeno, la Corte rileva come un significativo ostacolo a ciò sia rappresentato dal dettato dell’art. 23 Cost. ai sensi del quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta, se non in base alla legge, nonché al disposto degli artt. 24 e 25 Cost. . Parimenti, però, i Supremi Giudici rilevano come, nell’ordinamento giuridico italiano, vi siano varie disposizioni che, indirettamente, hanno già introdotto esplicazioni della categoria anglosassone. Tra queste, spicca l’art. 140, comma settimo del Codice del Consumo, nonché l’art. 96, comma terzo del codice di procedura civile. Da queste norme, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ritengono di poter inferire che non ripugni all’attuale evoluzione del nostro sistema che taluno possa venire condannato in via sanzionatoria rispetto all’ordinario ristoro risarcitorio, purché ciò sia previsto da apposita legge. Detto principio deve essere, ovviamente, inteso de iure condendo, quale suggerimento per il legislatore nell’uso del risarcimento del danno anche ai fini sanzionatori. E’ nondimeno evidente, per tradizione storico-culturale e giuridico-sociale, che un apparato sanzionatorio di matrice civilistica sia estraneo alla concezione europea continentale, per la quale è proprio, invece, uno di tipo riparatorio, basato sul meccanismo dell’esecuzione in forma specifica se possibile, ovvero della corresponsione del tantundem. Sostanzialmente, il principio di diritto che nella sentenza n. 16601 del 2017 enunciano le S.U. è un placet a che il Legislatore introduca punitive damages nel nostro ordinamento. Il problema che, per certi versi, resta irrisolto è quello afferente le condizioni per la delibazione delle sentenze che prevedono punitive dameges che, se incondizionatamente riconosciuta, implicherebbe frizioni con i principi fondamentali dell’ordinamento. Ecco perché, di fianco all’apertura di massima e generale, le Sezioni Unite si premurano di porre dei limiti chiari, precisando che il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere debba corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su norme che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa, nonché i limiti quantitativi, dovendosi unicamente avere riguardo agli effetti dell’atto straniero ed alla loro compatibilità con l’ordine pubblico. Le Sezioni Unite hanno rinvenuto tutti questi elementi nella legislazione dello Stato della Florida le cui Corti hanno statuito sul caso, ma non si ha la certezza che ciò avvenga sempre. L’evoluzione interpretativa non può allora trovare applicazione generalizzata, ove le restrizioni discendenti dalla necessità di una specifica legislazione dello Stato estero vengano rigidamente vagliate dal giudice della delibazione.
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