Abnormità dell’ordinanza del GUP che restituisce gli atti al PM

Quando è abnorme l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero
    Indice

Il fatto
La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione
La soluzione adottata dalle Sezioni Unite
Conclusioni

1. Il fatto 
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Prato disponeva la restituzione degli atti al Pubblico ministero, rilevando che per le ipotesi di reato di cui all’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, delle quali erano chiamati a rispondere gli imputati, con riguardo a dichiarazioni annuali presentate nel 2014 e nel 2016, rispettivamente per gli anni di imposta 2013 e 2015, avrebbe dovuto procedersi. con citazione diretta, attesi i limiti edittali della pena prevista al momento del fatto.
Avverso il suddetto provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il Pubblico ministero presso il Tribunale di Prato, denunciando l’abnormità del provvedimento in relazione agli artt. 4, 416 e 550 cod. proc. pen. con conseguente stasi del procedimento.
In particolare, il ricorrente rilevava come la pena originariamente prevista per il reato di cui all’art. 4 d.lgs. 74 del 2000, fino al massimo di anni tre di reclusione, fosse stata aumentata fino ad anni quattro e mesi sei di reclusione dall’art. 39, comma 1, lett. d), d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, conv. con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157 e, dunque, alla stregua di ciò, invocava l’orientamento giurisprudenziale (Sez. 3, n. 18297 del 04/03/2020) in forza del quale, nel caso di modifica normativa con la quale vengano introdotti più elevati limiti edittali, deve procedersi con richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 416 cod. proc. pen., qualora la modifica sia già intervenuta al momento dell’esercizio dell’azione penale, dovendosi applicare il principio «tempus regit actum», a prescindere dall’irretroattività sul piano sostanziale del trattamento deteriore.
Rilevava, altresì, su tali basi, come l’ordinanza impugnata non fosse solo erronea, ma avesse pure determinato un’irreversibile stasi del procedimento, in quanto il Pubblico ministero avrebbe dovuto ottemperare al provvedimento, esercitando l’azione penale con citazione diretta, ma ponendo in essere in tal modo un atto nullo, richiamandosi all’uopo quella giurisprudenza di legittimità (ancora Sez. 3, n. 18297 del 2020, che contiene ulteriori richiami), che ravvisa, in tale situazione, un profilo di abnormità del provvedimento.
Ciò posto, il procedimento de quo era stato assegnato alla Terza Sezione, dinanzi alla quale il Procuratore generale, con requisitoria scritta, aveva chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, quale manifestazione di potere esercitato al fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, con anomala regressione del procedimento, richiamando la nozione di abnormità desumibile dalla sentenza Sez. U, n. 25957 del 22/6/2009, e invocando, con riferimento al caso in esame, l’orientamento richiamato anche nel ricorso (Sez. 3, n. 18297 del 2020), riferito all’indebita restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio.
2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
La Terza Sezione della Corte di Cassazione, avendo rilevato un contrasto interpretativo, con ordinanza del 01 ottobre 2021, rimetteva la questione alle Sezioni Unite.
In particolare, dopo aver dato atto che il pubblico ministero aveva esercitato correttamente l’azione penale con richiesta di rinvio a giudizio, alla luce del consolidato orientamento (Sez. 2, n. 9876 del 12/02/2021,; Sez. 3, n. 18297 del 4/3/2020; Sez. 4, n. 4313 del 22/09/2000) in forza del quale deve aversi riguardo al principio «tempus regit actum» e alla norma vigente al momento dell’esercizio dell’azione penale, nel caso di specie già modificata dalla novella legislativa, ci si soffermava sulla nozione di abnormità, alla luce di nutrita elaborazione giurisprudenziale, segnata da plurimi interventi delle Sezioni Unite, facendo riferimento al principio di tassatività dei provvedimenti impugnabili e dei mezzi di impugnazione e sottolineando che l’abnormità, delineata con l’intento di introdurre un correttivo a tale principio, può riguardare sia il profilo  strutturale, in quanto l’atto per la sua singolarità si ponga al di fuori del sistema organico della legge, sia il profilo funzionale, in quanto l’atto pur non estraneo al sistema, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo.
In tale prospettiva era specificamente richiamata la sentenza delle Sezioni Unite, n. 11 del 09/07/1997, che, a sua volta, aveva sviluppato i principi affermati da Sez. U, n. 7 del 26/04/1989, poi fatti propri da numerose sentenze delle Sezioni semplici, fino al compiuto inquadramento della materia espresso da Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, e Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, prima del nuovo rilevante intervento, rappresentato da Sez. U, n. 25957 del 26/3/2009, che ha escluso la ricorrenza dell’abnormità, quando l’atto rientra nei poteri del giudice e discende dunque da un potere riconosciuto o attribuito dalla legge, anche se si faccia valere l’inosservanza di norme che prevedono l’adozione di uno specifico atto a determinate condizioni di fatto, ciò da cui potrebbe discendere l’illegittimità e non anche l’abnormità di quell’atto, profilo che non giustifica di per sé l’immediata ricorribilità in violazione della preclusione connessa alla tipicità dei mezzi di impugnazione.
Ciò premesso, la Terza Sezione rilevava che, in ordine alla natura abnorme del provvedimento con cui erroneamente sia disposta la restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., persisteva, a suo avviso, un contrasto interpretativo in quanto alle sentenze che escludono che il provvedimento di restituzione si ponga al di fuori del sistema normativo e determini l’irrimediabile stasi processuale (si richiamavano a tal fine Sez. 2, n. 23814 del 17/7/2020; Sez. 6, n. 6945 del 5/2/2019; Sez. 6, n. 41037 del 20/10/2009), si contrappongono, con indirizzo maggioritario, quelle che, al contrario, ritengono che la restituzione disposta sulla base della riqualificazione del fatto determini un’indebita regressione e dia luogo, dunque, ad un profilo di abnormità (Sez. 1, n. 30062 del 29/09/2020; Sez. 3, n. 18297 del 04/03/2020; Sez. 5, n. 10531 del 20/02/2018; Sez. 5, n. 35153 del 19/04/2016; Sez. 3, n. 51424 del 18/09/2014).
Oltre a ciò, si osservava come la sentenza delle Sezioni Unite, n. 48590 del 18/4/2019, non massimata sul punto, fornisca avallo al primo orientamento nella parte in cui afferma che il modulo procedurale previsto dall’art. 33-sexies cod. proc. pen. si riferisce ai casi in cui il vizio risulta dalla stessa formulazione dell’imputazione e dunque ai fatti-reato così come contestati dal pubblico ministero, non a quelli eventualmente ridotti o diversi, ritenuti dal giudice all’esito dell’esame del merito della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti su cui si fonda.
Nel caso in esame, in cui il g.u.p. non aveva proceduto a riqualificazione, per la Terza Sezione, la sua decisione si poneva nel solco del fisiologico sviluppo di uno dei possibili esiti decisori dell’udienza preliminare, cui segue la trasmissione degli atti al giudice competente, il quale può disattendere la valutazione del g.u.p. e disporre ai sensi dell’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., la restituzione ai p.m., dovendo a quel punto il g.u.p. celebrare l’udienza preliminare, stante la prevalenza della decisione del giudice del dibattimento.
Rilevava oltre tutto la Terza Sezione che, diversamente ragionando, si sarebbe finito per ammettere un mezzo di impugnazione tipizzato, non potendosi neppure prospettare che il pubblico ministero si veda costretto ad emettere un atto nullo e che si determini una stasi non prevista dal legislatore, cioè un vuoto colmabile con il rimedio dell’abnormità, dandosi atto peraltro che, sulla base di una sentenza successiva alla sentenza n. 48590/2019, la Corte (Sez. 3, n. 18297/2020 cit.) ha ribadito l’orientamento maggioritario in un caso in cui, come in quello in esame, non si era proceduto a riqualificazione, ma si era erroneamente dato rilievo alla pena prevista al momento del fatto e non a quella stabilita al momento dell’esercizio dell’azione penale: in tale ipotesi è stato nuovamente fatto riferimento alla situazione di stasi derivante dal rischio che il pubblico ministero sia costretto ad emettere un atto nullo, con le conseguenze di cui all’art. 550, comma 3, cod. proc. pen. che costituisce, secondo la Terza Sezione, profilo non affrontato dalle Sezioni Unite, che rafforzava l’orientamento maggioritario e imponeva la rimessione della questione alle Sezioni Unite.

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3. La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione
Il Procuratore generale concludeva per l’inammissibilità del ricorso, così modificando le conclusioni formulate dinanzi alla Terza Sezione, sulla base di un approfondimento dei profili enunciati nell’ordinanza di rimessione.
Segnalava prima di tutto che la citazione a giudizio emessa in casi in cui è prevista l’udienza preliminare dà luogo a nullità non assoluta, bensì a regime intermedio di tipo speciale, condizionata dalla proposizione di specifica eccezione, dal cui accoglimento discende la regressione del procedimento al fine di porre rimedio alla violazione dei diritti della difesa.
Rilevava inoltre che, al di là del rallentamento prodotto, l’ulteriore regresso non dà luogo a stasi, ma può trovare rimedio nell’ambito della dinamica processuale, che non contempla una stasi inevitabile ed irreversibile, conclusione coerente con l’eccezionalità dell’istituto, riferibile a situazioni nelle quali l’ordinamento non appresta altri rimedi per rimuovere il provvedimento frutto di sviamento e di pregiudizio e non utilizzabile per eludere il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.
Ribadiva tra l’altro che il g.u.p. non può disporre la restituzione del procedimento al pubblico ministero, previa riqualificazione dell’imputazione, ciò che darebbe luogo a provvedimento da cui deriva una stasi processuale.
Rilevava infine che, per contro, che nei casi, come quello in esame, in cui la restituzione non è dipesa dalla previa riqualificazione, deve escludersi l’abnormità, secondo quanto rilevato da Sez. 2, n. 23814 del 2020.
4. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite
Prima di entrare nel merito della questione, le Sezioni Unite procedevano a delimitarla nei seguenti termini: “se sia abnorme il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare che, ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che, per il reato per il quale è stato richiesto il rinvio a giudizio, l’azione penale debba essere esercitata con citazione diretta a giudizio”.
Premesso ciò, dopo avere compiuto una breve disamina di questa disposizione codicistica, e dopo avere risposto al quesito consistente nello stabilire se il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare, investito di richiesta di rinvio a giudizio, abbia disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero, sul presupposto che debba procedersi con citazione diretta, sia o meno corretto e se dunque la conseguente regressione del procedimento possa o meno dirsi indebita, postulando che, ai fini dell’individuazione delle modalità di esercizio dell’azione penale e, dunque, della verifica della necessità o meno della fissazione dell’udienza preliminare, debba aversi riguardo alla disciplina desumibile dall’art. 550 cod. proc. pen. al momento di quell’esercizio (in tal senso anche Sez. 3, n. 18297 del 04/03/2020, nonché Sez. 4, n. 4313 del 22/09/2000, e, con riferimento al caso di erronea applicazione di disposizione sopravvenuta all’esercizio dell’azione penale, Sez. 4, n. 6970 del 07/12/2000) dovendosi, nel contempo, disattendere, in quanto ormai superato, l’orientamento affermatosi allorché, a fronte dell’aumento della pena prevista per il delitto di usura, da parte dell’art. 11 quinquies, comma primo, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, si era nondimeno ritenuto che quell’aumento non modificasse la competenza pretorile per i fatti anteriormente commessi (sul punto Sez. 1, n. 172 del 12/01/2000; Sez. 1, n. 794 del 05/02/1997; Sez. 1, n. 1751 del 22/03/1995), gli Ermellini ritenevano il provvedimento impugnato giuridicamente erroneo nonchè foriero di un’indebita regressione del procedimento.
Precisato ciò, le Sezioni Unite procedevano all’esame della questione rimessa al loro vaglio, ossia se siffatto provvedimento possa o meno qualificarsi come abnorme, tema con riguardo al quale la Sezione rimettente aveva rilevato la sussistenza di un contrasto, il che veniva fatto dopo una compiuta e articolata analisi della nozione di atto abnorme così come elaborata in sede nomofilattica.
In particolare, i giudici di piazza Cavour evidenziavano, una volta riproposti gli orientamenti ermeneutici elaborati dalla Cassazione in subiecta materia, come sia condivisibile l’orientamento favorevole alla ravvisabilità dell’abnormità del provvedimento, con cui, nelle varie ipotesi menzionate, sia disposta indebitamente la restituzione degli atti al pubblico ministero, convenendosi al contempo con quanto rilevato nell’ordinanza di rimessione in ordine alla diversità dell’ipotesi della restituzione degli atti, disposta ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., previa riqualificazione del fatto, rispetto a tutte le altre.
Come opportunamente segnalato dalla Sezione rimettente, pertanto, assume in tale quadro un rilievo decisivo la ricognizione, operata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 48590/2019, delle prerogative decisorie del giudice dell’udienza preliminare.
Invero, nell’affermare il principio per cui gli “effetti della connessione sull’attribuzione monocratica o collegiale si determinano al momento del rinvio a giudizio e, qualora venga meno la connessione per effetto di pronuncia di sentenza di proscioglimento e residuino solo reati per i quali è previsto il decreto di citazione a giudizio, il giudice dell’udienza preliminare deve disporre il rinvio a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica”, le Sezioni Unite hanno posto in correlazione il disposto dell’art. 33-sexíes cod. proc. pen. con quello dell’art. 33-quinquies cod. proc. pen. in ordine ai limiti temporali di deducibilità e rilevabilità dei vizi in materia di attribuzione dei procedimenti, da ciò desumendo che il modulo procedurale previsto all’art. 33-sexíes cod. proc. pen. è riferito ai casi in cui il vizio nella modalità dell’esercizio dell’azione è desumibile dalla stessa formulazione dell’imputazione; ha riguardo, cioè, ai fatti-reato così come contestati dal pubblico ministero, non già a quelli, eventualmente ridotti o diversi, ritenuti dal giudice all’esito dell’esame nel merito della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti sui quali essa si fonda (affermazione su cui si basano tutte le sentenze richiamate, con cui è stata ravvisata l’abnormità del provvedimento di restituzione degli atti, conseguente alla previa riqualificazione).
In tal modo, pur essendosi esplicitamente ribadito quanto affermato dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 88 del 1994) e dalle Sezioni Unite (sentenza n. 5307/2008), nel senso che l’intervento del giudice per assicurare la costante corrispondenza dell’imputazione a quanto emerge dagli atti costituisce un atto doveroso e un’esigenza insopprimibile, non solo a garanzia del diritto di difesa dell’imputato e dell’effettività del contraddittorio, ma anche al fine di consentire che il controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell’azione penale si svolga in piena autonomia, si è nondimeno escluso che la riqualificazione possa giustificare la regressione del procedimento, dovendosi al contrario ritenere che la stessa possa accompagnarsi ai tipici esiti decisori dell’udienza preliminare,  secondo l’alternativa tra sentenza di non luogo a procedere e rinvio a giudizio.
Ciò posto, veniva, del resto, altresì rilevato che la qualificazione costituisce esercizio di un potere che è stato legislativamente delineato come strettamente inerente ad un esito decisorio tipico, tanto da essere stato espressamente contemplato dall’art. 521 cod. proc. pen., anche se la qualificazione può riguardante anche procedimenti incidentali, come quelli riguardanti misure cautelari (sul punto sentenza delle Sezioni Unite n. 16 del 1996), potendo il giudice assumere iniziative di carattere strumentale„ volte ad assicurare quel tipico esito (come nel caso dell’invito rivolto al pubblico ministero di precisare e/o integrare la contestazione), in un quadro connotato dal progressivo sviluppo del procedimento, rispetto al quale la regressione dello stesso assume invece carattere eccezionale, in quanto quello sviluppo si renda impossibile.
Orbene, ciò significa, per le Sezioni Unite, che in sede di udienza preliminare è in radice esclusa la possibilità di restituzione ex art. 33-sexies cod. proc. pen., fondata sulla riqualificazione del fatto, e che dunque la regressione, che discenda da un siffatto provvedimento risulta atipica, in quanto disposta in assenza dell’attribuzione al giudice del relativo potere, fermo restando che nei casi indicati deve ritenersi necessario lo svolgimento dell’udienza preliminare, in luogo della sequenza procedimentale basata sul decreto di citazione diretta a giudizio, e che, dunque, valgono anche le considerazioni che saranno di seguito esposte, riferite alle altre tipologie di provvedimenti di restituzione indebita degli atti, nel senso che deve comunque fin d’ora osservarsi che, nel caso della previa riqualificazione, pur seguendo la rigorosa e restrittiva impostazione della sentenza n. 25957/2009, il provvedimento risulta abnorme, in quanto tale da determinare uno sviamento della funzione giurisdizionale per effetto di una regressione disposta in radice al di fuori dei casi in astratto contemplati, la quale, nel rapporto tra giudice e pubblico ministero, assume rilievo sia sotto il profilo strutturale che sotto il profilo funzionale posto che altera l’ordo processus, cioè l’ordinato svolgimento della sequenza procedimentale, in violazione del principio di non regressione, con conseguente vulnus ai principi di efficienza e ragionevole durata del processo, e determina una situazione di stasi processuale, in quanto il pubblico ministero, che non può sollevare conflitto ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen. (sul punto Sez. U, n. 9605 del 28/11/2013), si troverebbe costretto ad uniformarsi alla qualificazione prospettata dal giudice, di per sé implicante la citazione diretta, e nella sostanziale impossibilità di insistere sull’originaria imputazione, attesa anche la preclusione di contestazioni suppletive, in forza della disciplina dettata dall’art. 521-bis cod. proc. pen..
Oltre a ciò, la Corte di legittimità aggiungeva al riguardo l’ulteriore considerazione secondo cui, proprio per il fatto che il nuovo decreto di citazione sarebbe emesso con riguardo ad una qualificazione del fatto rientrante nei limiti di applicabilità della citazione diretta a giudizio, non costituirebbe idoneo strumento compensativo la possibilità di formulare eccezione dinanzi al giudice del dibattimento in limine litis ai sensi dell’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., se non ammettendo che il giudice possa a sua volta operare in quella fase, peraltro diversa da quella decisoria, una diversa qualificazione ma tale soluzione interpretativa, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, non sembra in linea neppure con la ristretta base cognitiva di cui il giudice dispone in quello stadio del processo e induce invece a stabilire un parallelismo tra il tipo di valutazione demandata al g.u.p ai sensi dell’art. 33-sexíes cod. proc. pen. e al giudice del dibattimento ai sensi dell’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., nel senso che debbano riferirsi entrambe al vizio eventualmente emergente dalla contestazione operata dal pubblico ministero.
La Suprema Corte, dunque, concludeva nel senso dell’abnormità anche con riguardo ai provvedimenti di restituzione indebita, diversi da quelli fondati sulla previa riqualificazione.
Precisato ciò, a loro volta i principi affermati dalla sentenza n. 48590/2019, valorizzati anche nell’ordinanza di rimessione, per gli Ermellini, non possono essere ritenuti idonei ad escludere, per contro, la ravvisabilità dell’abnormità, al di fuori dell’ipotesi della previa riqualificazione, dovendosi considerare la concreta dinamica dei rapporti tra giudice e pubblico ministero e il tipo di alterazione che il provvedimento di indebita restituzione finisce per produrre.
In effetti, in questi casi, viene in rilievo un potere in astratto attribuito al giudice ed esercitato nella sede propria e nel tempo previsto, ma in violazione della concreta disciplina sul riparto dei procedimenti e oltre i limiti consentiti, così da determinare un’alterazione nello sviluppo della sequenza procedimentale e ciò non si traduce solo in una violazione dei principi di rilievo costituzionale, ex art. 111, comma 2, Cost., di efficienza e di ragionevole durata, valorizzati nella sentenza n. 5307/2008, ma anche in una situazione di stasi, derivante non dal mero fatto della regressione in sé, quanto dall’imposizione al pubblico ministero di un adempimento contra legem, che dà luogo ad un atto affetto da nullità, rilevabile nel corso del giudizio.
Pertanto, in tale prospettiva, per il Supremo Consesso, è ravvisabile l’abnormità dell’atto, in linea con gli assunti della sentenza n. 25957/2009, poi riproposti da successive sentenze.
Detto questo, gli Ermellini ritenevano oltre tutto che, se, proprio sull’individuazione di un atto nullo, si fondano, del resto, le sentenze nn. 28304/2021 e 18297/2020, mentre la problematicità di tale individuazione, nell’ambito della disciplina dettata dal capo VI-bis del Titolo I del codice di rito, ha condotto la Sezione rimettente a prendere atto del contrasto e a rimettere la questione alle Sezioni Unite, a ben guardare, però, sempre ad avviso delle Sezioni Unite, non vi è motivo di nutrire dubbi in ordine alla configurabilità della prospettata nullità dal momento che le disposizioni in materia di riparto di attribuzioni di cui al capo VI-bis del Titolo I del codice di rito, pur non equiparabili a quelle sulla competenza, sono comunque volte ad assicurare l’ordinato sviluppo del procedimento, scongiurando possibili interferenze tra le attribuzioni degli organi giudicanti e potenziali pregiudizi alle facoltà delle parti, e contemplano rimedi per il caso in cui si verifichino errori.
Sono previsti in particolare limiti e termini di deducibilità delle relative questioni, da correlarsi anche a norme inserite altrove, come l’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., particolarmente rilevante ai presenti fini.
La disciplina si inserisce dunque pienamente nel complessivo sistema e non vale a ridurre l’ambito delle garanzie assicurate alle parti, salva la previsione di specifiche deroghe mentre non sono previste specifiche cause di nullità, ma è ricorrente tuttavia l’affermazione che l’erronea attribuzione di un processo determina un vizio assimilabile alla nullità a regime intermedio suscettibile di essere rilevato entro precise scansioni temporali (sul punto, Sez. 2, n. 11649 del 08/03/2019).
Precisato ciò, la Corte di legittimità stimava necessario, a questo punto della disamina, fare presente che l’udienza preliminare rappresenta uno snodo processuale maggiormente garantito, la cui mancanza produce un evidente, specifico vulnus alle facoltà difensive: pur in mancanza dell’espressa qualificazione del vizio quale nullità, non sembrano tuttavia frapporsi ostacoli al suo inquadramento tra quelle generali di tipo intermedio (come in effetti riconosciuto anche da Sez. 1, n. 5967 del 04/12/2014; Sez. 5, n. 9875 del 30/01/2014; Sez. 6, n. 7774 del 17/01/2002, sia pur non sempre sulla base di un’espressa indicazione del suo fondamento), in quanto riconducibili all’intervento e all’assistenza delle parti ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc..
La nullità riguarda, in particolare, l’atto propulsivo che pretermette lo svolgimento dell’udienza preliminare, ed è certamente rilevabile nello sviluppo del processo.
Peraltro, la mancanza dell’udienza preliminare dà luogo anche ad una grave alterazione della corretta sequenza procedimentale, che concerne, fra l’altro, la competenza funzionale in materia di riti alternativi, oltre a determinare la diretta esposizione delle parti ad una fase processuale connotata da pubblicità, prima del momento in cui il vaglio assicurato dal giudizio demandato al giudice dell’udienza preliminare sia stato svolto.
Tali considerazioni, è bene precisare, per la Cassazione, non valgono invece nell’ipotesi inversa, cioè quella dello svolgimento, pur non previsto, dell’udienza preliminare, la quale costituisce una causa di espansione delle facoltà difensive e la cui fissazione non può di per sé dare luogo ad alcuna nullità, salva la deducibilità, con le modalità e nei limiti stabiliti, della relativa questione, al fine di salvaguardare l’assetto normativamente previsto fermo restando che tutto ciò trova pieno riscontro in quanto affermato dalle Sezioni Unite (nella motivazione della sentenza n. 48590/2019) e dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 183 del 2003) che, nell’esaminare la prospettata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 33-sexies cod. proc. pen. per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la restituzione in termini dell’imputato per la richiesta di riti alternativi, nel caso di svolgimento di udienza preliminare, a rigore, non prevista per il titolo di reato contestato, ha escluso qualsivoglia profilo di incostituzionalità, segnalando che si tratta di sequenza procedimentale maggiormente garantita.
Del resto, la conferma di tale analisi, per la Suprema Corte, può trarsi della centralità del ruolo assunto dallo svolgimento dell’udienza preliminare nella disciplina dedicata dal codice di rito ai vari tipi di patologie che possono verificarsi in sede di riparto di attribuzioni: può infatti rimarcarsi che, nel caso di svolgimento dell’udienza preliminare, può porsi solo una questione di riparto delle attribuzioni in senso orizzontale (artt. 33-septies, comma 1, cod. proc. pen.; art. 516, comma 1-bis cod. proc. pen.), essendo prevista invece la trasmissione degli atti al pubblico ministero nei casi in cui sia rilevata la mancata celebrazione dell’udienza preliminare (art. 33-septies, comma 2, cod, proc. pen. e art. 516, comma 1-ter cod. proc. pen), tema che forma oggetto di analisi anche nella motivazione della sentenza n. 48590/2019 fermo restando che, coerente con tale impostazione, risulta l’assunto della non riconducibilità al sistema del provvedimento con cui il tribunale in composizione monocratica, pur dopo lo svolgimento dell’udienza preliminare, rilevi che il processo va attribuito all’organo collegiale e disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero, così determinando un’indebita regressione (Sez. 3, n. 51011 del 24/10/2013).
Sulla base delle considerazioni che precedono, pertanto, per gli Ermellini, non possono nutrirsi dubbi in ordine al fatto che la questione del mancato svolgimento dell’udienza preliminare, ove tempestivamente dedotta, possa essere riproposta nel corso del giudizio, anche in sede di impugnazione, pur non essendo specificamente menzionata dall’art. 33-octies, cod. proc. pen., così come non possono inoltre desumersi argomenti di segno contrario dal disposto dell’art. 33-novies, cod. proc. pen. che esclude l’invalidità degli atti e l’inutilizzabilità delle prove per il solo fatto dell’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del Tribunale, dovendosi, invece, rilevare come sia stata ribadita l’insussistenza di una nullità nel caso della celebrazione dell’udienza preliminare, seppur non prevista per il reato oggetto del procedimento (in tal senso, in motivazione, Sez. 2, n. 9876 del 12/02/2021, già richiamata in ordine all’applicabilità del principio «tempus regit actum»).
In definitiva, per le Sezioni Unite, al di là delle differenze strutturali rilevate nel caso della previa riqualificazione, suscettibile di specifica valutazione, deve comunque ritenersi, alla luce dei condivisi principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 25957/2009, che in tutti i casi di indebita restituzione degli atti ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., perché si proceda con citazione diretta a giudizio, ricorra almeno un’ipotesi di abnormità funzionale, da cui discende una situazione di stasi, in quanto il provvedimento, di cui non può direttamente ravvisarsi e dichiararsi la nullità, si risolve nell’imposizione di un successivo adempimento, cioè l’atto di  impulso consistente nell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio, che è affetto da nullità rilevabile nello sviluppo del processo, nullità che nella sentenza appena menzionata non è stata qualificata e che non deve essere inquadrata tra le nullità assolute.
Conseguentemente il pubblico ministero, il quale non può opporsi al provvedimento, sollevando conflitto, ha uno specifico interesse alla sua rimozione, non essendo a tal fine sufficiente il meccanismo contemplato dall’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., incentrato sulla successiva formulazione dinanzi al giudice del dibattimento di eccezione avente ad oggetto il mancato svolgimento della prevista udienza preliminare tenuto conto che non si tratta tanto di evitare il relativo, tortuoso meccanismo processuale, quanto di prendere atto dell’esigenza di scongiurare l’imposizione di un atto derivante da una patologia processuale e affetto da nullità rilevabile, e del conseguente interesse a ricorrere, correlato all’esigenza di assicurare l’ordinato svolgimento del processo, secondo le cadenze prestabilite, evitando l’adozione di un successivo atto nullo, idoneo ad arrecare pregiudizio alle parti, la cui costituzione nel giudizio dibattimentale si sarebbe potuta prevenire con lo svolgimento dell’udienza preliminare ma ciò non può valere ad escludere il prospettato profilo di abnormità l’esigenza, pur avvertita dalla sentenza n. 25957/2009, di restringere la nozione di atto abnorme, che fra l’altro può costituire illecito disciplinare del magistrato, in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lett. ff), d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, che fa riferimento all’adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza, rilevandosi al contempo come nel caso di specie
si discuteva di una nozione che assume rilievo tecnico-processuale mentre la formula usata per definire l’illecito disciplinare fa immediato riferimento ad un’ipotesi di provvedimento emesso in carenza di potere, primariamente produttivo di sviamento della giurisdizione in chiave strutturale, e rinvia più in generale, nella prospettiva deontologica, ad un complessivo giudizio di macroscopicità e di inescusabilità, che, al di fuori di qualsivoglia automatismo, implica la valutazione del caso concreto (per la nozione di atto abnorme a fini deontologici, può richiamarsi Sez. U, civ., n. 11431 del 12/05/2010, in motivazione, in cui abnorme è stato riconosciuto «l’atto adottato da qualsiasi giudice oltre i limiti di legge o per fini diversi da quelli sanciti dalle norme»).
Orbene, all’esito dell’analisi condotta, le Sezioni Unite formulavano il seguente principio: «E’ abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale contra legem ed in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonché la stasi del procedimento».
5. Conclusioni
La decisione desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando è abnorme l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero.
Difatti, in tale pronuncia, componendosi un contrasto giurisprudenziale, si afferma che può considerarsi abnorme siffatta ordinanza allorché codesta restituzione avvenga sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale contra legem ed in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonché la stasi del procedimento.
Ove quindi si verifichi quindi una situazione di questo genere, ben può essere proposto ricorso per Cassazione per abnormità.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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Giorgio SpangherProfessore emerito di procedura penale presso l’Università di Roma “La Sapienza”.Marco ZincaniAvvocato patrocinatore in Cassazione, presidente e fondatore di Formazione Giuridica, scuola d’eccellenza nella preparazione all’esame forense presente su tutto il territorio nazionale. Docente e formatore in venti città italiane, Ph.D., autore di oltre quattrocento contributi diretti alla preparazione dell’Esame di Stato. È l’ideatore del sito wikilaw.it e del gestionale Desiderio, il più evoluto sistema di formazione a distanza per esami e concorsi pubblici. È Autore della collana Esame Forense.

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