Come si separa una coppia di fatto?

In relazione alla separazione si pensa sempre alle coppie sposate, vale a dire, unite in matrimonio, però anche le coppie che convivono si possono separare.
La separazione, anche in simili casi, ha delle implicazioni di carattere legale quando la coppia ha figli, quando ci sono beni da dividere perché sono di proprietà di entrambi o quando uno dei due partner ha erogato all’altro ingenti somme di denaro non facenti parte delle normali liberalità che di solito si fanno quando si fa parte di una famiglia, ad esempio, per ristrutturare la casa o per iniziare un’attività commerciale.
In questo articolo scriveremo qualcosa su come procedere con la separazione per una coppia di conviventi e quali siano le regole da seguire.
    Indice

L’accordo stipulato tra i partner che convivono
Le modalità di ricorso in tribunale
L’alternativa della negoziazione assistita
Il rimborso delle spese

1. L’accordo stipulato tra i partner che convivono
La coppia di fatto, vale a dire, quella di due persone che convivono, se decide di separarsi non deve ricorrere al giudice.
Questo è valido anche quando la convivenza è stata formalizzata in Comune con l’iscrizione all’anagrafe come unico nucleo familiare.
Si dovrà semplicemente provvedere a modificare la propria residenza.
Se la coppia dovesse avere dei figli e gli stessi siano ancora minorenni o, se maggiorenni, non ancora autosufficienti  dal lato economico, i genitori potranno trovare un accordo tra loro per regolare:

L’affidamento del figlio che deve essere “condiviso”, vale a dire, che spetta sia al padre sia alla madre. L’affidamento consiste nel potere e dovere dei genitori di prendere le decisioni più importanti relative all’educazione, crescita, istruzione e salute dei figli.
La collocazione del figlio presso uno dei due genitori in via prevalente.
Il calendario delle visite alle quali l’altro genitore dovrà adempiere in modo obbligatorio, essendo suo dovere mantenere un legame affettivo solido e costante con il figlio.
L’importo dell’assegno di mantenimento in favore del figlio.
L’eventuale assegnazione della casa familiare al genitore presso il quale il figlio abita.

Il diritto di abitazione resta sino a quando il giovane non diventa autonomo e decide di andare a  vivere altrove.
2. Le modalità di ricorso in tribunale
Se la coppia di fatto non si accorda  sugli aspetti relativi ai figli, ognuno dei due genitori può proporre il ricorso al Tribunale del luogo dove risiede il minorenne, in modo che decida sugli  aspetti  relativi a:
affidamento, collocazione, diritto di visita, mantenimento, diritto di abitazione nella casa familiare.
I provvedimenti del giudice possono essere sempre oggetto di modifica se si  dovessero verificare degli eventi imprevedibili che modifichino le condizioni tra le parti in precedenza valutate dal giudice.
Salvo diversa previsione contenuta nel contratto di convivenza, alle coppie di fatto non viene applicato nessun regime di comunione dei beni, di conseguenza, ognuno dei partner resta proprietario di quello che ha acquistato, anche se i due decidessero di cointestarsi un conto corrente, un immobile, un’auto, oppure altro.
In simili casi, la comproprietà non cessa in modo automatico con la separazione,  resta sino a quando la coppia non decida di procedere alla separazione, che può avvenire di comune accordo, ad esempio con la vendita del bene e la divisione del ricavato, oppure con la vendita della quota dell’uno all’altro che la voglia acquistare.
Se i partner non si accordano si deve ricorrere al giudice che procede alla divisione giudiziale.
Il ricorso può essere promosso su istanza di uno dei due.
Il giudice verifica se il bene può essere diviso in natura, ad esempio, una villetta che può essere separata in due unità immobiliari distinte oppure a un conto corrente.
In caso contrario, si procede alla vendita forzata del bene, con conseguente spartizione del ricavato tra gli ex comproprietari.

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3. L’alternativa della negoziazione assistita
In alternativa al ricorso in Tribunale, i conviventi si possono accordare sia in relazione ai figli sia  alla divisione dei beni cointestati attraverso la firma di un contratto redatto dai rispettivi avvocati. La procedura prende il nome di negoziazione assistita, all’inizio prevista esclusivamente per le coppie sposate e di recente estesa anche alle coppie di fatto.
In questo modo, del quale si occupano i legali delle due parti e il Tribunale per la “ratifica”, ha lo stesso valore di una sentenza e vincola le parti a un provvedimento di carattere giudiziale.
4. Le modalità di rimborso delle spese
Le normali spese fatte per l’interesse della famiglia non sono oggetto di rimborso.
Anche per le coppie che convivono esiste l’obbligo della solidarietà familiare, vale a dire, il bisogno di prendersi carico l’uno dell’altro e di partecipare, in proporzione alle proprie capacità, ai bisogni del partner.
Escono da questo ambito le spese di notevole valore come, ad esempio, quelle per la ristrutturazione della casa di proprietà dell’ex o il prestito per l’avvio di un’attività commerciale o professionale.
Sull’argomento, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che in tema di convivenza more uxorio, un’attribuzione patrimoniale fatta a favore del partner convivente può essere configurata come adempimento di un’obbligazione naturale e, di conseguenza, non rimborsabile,  anche se la prestazione risulti adeguata ai fatti e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali di chi ha eseguito il pagamento.
Quando la spesa sostenuta risulti in linea con le capacità economiche del soggetto che l’ha intrapresa, non deve essere restituita.
Anche un rapporto di convivenza, purché stabile ed equiparabile a una famiglia fondata sul matrimonio, ha dei doveri di collaborazione, cooperazione e reciproca assistenza nell’interesse della famiglia stessa.
Al contrario, dove ci sia una netta sproporzione tra i lavori realizzati e l’adempimento dei doveri morali e sociali assunti dal partner nell’ambito della convivenza di fatto, si può  parlare di un “ingiusto arricchimento” a carico dell’altro, che dovrà restituire le somme spese, essendosi avvantaggiato di un incremento di carattere patrimoniale, rappresentato dall’aumento di valore dell’immobile, in modo ingiustificato.
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