Incarichi privati ai dipendenti pubblici: non si possono conferire senza autorizzazione della PA

In tema di pubblico impiego privatizzato, l’esperimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte dei dipendenti della P.A. è condizionato al previo rilascio di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, con un onere di verifica dell’assenza delle condizioni che ne impongono la richiesta posto a carico dell’ente pubblico economico o del datore di lavoro privato (…), senza che detta verifica possa essere surrogata dalle dichiarazioni dei lavoratori che attestino la superfluità dell’autorizzazione, in quanto inidonee ad elidere la colpevolezza della condotta del conferente.
Indice:

La vicenda
Il motivo addotto nel ricorso per Cassazione
La pronuncia della Suprema Corte

La vicenda
La cooperativa Alfa proponeva opposizione innanzi al Tribunale avverso l’ordinanza ingiunzione dell’Agenzia delle Entrate con cui erano stati sanzionati per la violazione dell’art. 53 del D. Lgs. n. 165/2001, per avere conferito la cooperativa incarichi lavorativi a tre dipendenti del Ministero della Difesa, in assenza della prescritta autorizzazione. La cooperativa sosteneva che l’incarico era stato conferito a tre infermieri, che erano altresì pubblici dipendenti, nell’inconsapevolezza del loro status, visto che gli stessi si erano presentati vantando la qualità di liberi professionisti, esibendo il certificato di attribuzione della partita IVA, l’iscrizione all’albo professionale ed alla relativa Cassa di Previdenza.
Poiché il Tribunale accoglieva l’opposizione, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello che veniva, però, rigettato dalla Corte territoriale. Secondo i giudici di secondo grado, l’art. 53 del D. Lgs 165/2001 vieta il cumulo di impieghi ed incarichi dei pubblici dipendenti, in assenza di una preventiva autorizzazione da parte della stessa P.A., però non indica quale sia lo specifico onere imposto al datore di lavoro privato onde assicurare il controllo sulla qualità del soggetto al quale conferisce l’incarico.
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Il motivo addotto nel ricorso per Cassazione
A questo punto, l’Amministrazione finanziaria si rivolgeva alla Cassazione deducendo, con unico motivo, la violazione e la falsa applicazione del D. Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, 10 ed 11, nonché dell’art. 3 della legge n. 689/1981 e degli artt. 2697, 2927 e 2929 c.c. e 115 c.p.c. L’ente ricorrente sosteneva che la Corte distrettuale aveva erroneamente affermato che fosse sufficiente per la cooperativa ricevere le dichiarazioni dei dipendenti, senza che fossero imposti ulteriori controlli a carico del datore di lavoro privato.
La pronuncia della Suprema Corte
La Corte di Cassazione dava ragione all’Agenzia delle Entrate stabilendo che “In tema di pubblico impiego privatizzato, l’esperimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte dei dipendenti della P.A. è condizionato al previo rilascio di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, con un onere di verifica dell’assenza delle condizioni che ne impongono la richiesta posto a carico dell’ente pubblico economico o del datore di lavoro privato (…), senza che detta verifica possa essere surrogata dalle dichiarazioni dei lavoratori che attestino la superfluità dell’autorizzazione, in quanto inidonee ad elidere la colpevolezza della condotta del conferente”.
Dunque, era sbagliata l’affermazione della Corte d’Appello che aveva escluso la responsabilità della cooperativa “per il solo fatto che i lavoratori avessero taciuto la loro qualità di dipendenti pubblici, producendo l’iscrizione alla partita IVA, ma sul presupposto che la norma sanzionatoria applicata non preveda uno specifico dovere di controllo a carico del datore di lavoro privato, e sostenendo che fosse invece onere della stessa PA avvedersi dell’illegittima attività posta in essere dai propri dipendenti”.
Pertanto, il Tribunale Supremo accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello.
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