Prevenzione antinfortunistica e condotta colposa del lavoratore

In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.
Indice:
La vicenda
Il motivo addotto nel ricorso per Cassazione
La pronuncia della Suprema Corte
La vicenda
I giudici d’appello riformavano parzialmente nel solo trattamento sanzionatori e riformavano nel resto la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato Tizio alla pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di lesioni personali colpose, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in danno di Caia, sua dipendente.
Quest’ultima, al fine di rimuovere un groviglio di filo avvoltosi su una carrucola di una macchina spiralatrice, interveniva con macchina in movimento per svitare la carrucola, allontanare le due parti che la costituivano e dunque cercare di rimuovere manualmente la matassa; a quel punto, la mano sinistra della lavoratrice veniva afferrata dalla rotazione dell’albero del macchinario, causando alla donna le predette lesioni. L’addebito mosso a Tizio era legato all’avere omesso di fornire alla lavoratrice la necessaria formazione e informazione sulle modalità di intervento sulle macchine.
La Corte territoriale si soffermava principalmente sulla mancanza di procedure documentate sulle specifiche modalità di intervento e sul fatto che la stessa Caia avesse riferito che la procedura da lei adottata era stata da sempre praticata in azienda, mentre soltanto a seguito dell’infortunio le era stata spiegata la diversa procedura in base alla quale i fili avvolti sulle carrucole si tagliano esclusivamente con macchina ferma. Altresì, i giudici di secondo grado escludevano che il comportamento della persona offesa potesse essere qualificato come abnorme, cioè come esorbitante dalle sue mansioni.
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Il motivo addotto nel ricorso per Cassazione
Tizio si rivolgeva alla Suprema Corte di Cassazione, asserendo che il comportamento di Caia era stato “abnorme” e causa esclusiva dell’evento, per tale dovendosi intendere anche la condotta che, pur rientrando nelle mansioni proprie del lavoratore, fuoriesce dagli ordini e dalle disposizioni impartite nell’ambito del contesto lavorativo per la determinata categoria di rischio. Inoltre, il ricorrente contestava l’assunto secondo cui le informazioni sulla procedura da seguire sarebbero state surrogate dal bagaglio di conoscenze formatosi con l’affiancamento ad altri lavoratori più anziani, e precisava che la partecipazione della lavoratrice a corsi di formazione risultasse documentata.
La pronuncia della Suprema Corte
La Cassazione richiamava consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia”.
Secondo gli Ermellini, nel caso in esame, veniva in luce l’imprudenza della lavoratrice piuttosto che l’abnormità o eccentricità della sua condotta.
Inoltre, il Tribunale Supremo specificava che, poiché Tizio non aveva messo a disposizione macchinari provvisti di dispositivi di sicurezza per il caso in cui i lavoratori usassero le mani per compiere determinate operazioni mentre la spiralatrice era in azione, lo stesso doveva rispondere dell’addebito ulteriore di non avere curato in maniera adeguata la formazione e l’informazione dei dipendenti, stante la natura assoluta dell’obbligo di impedire agli operatori contatti pericolosi di parti del corpo con macchinari in movimento.
Pertanto, la Suprema Corte rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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