La mediazione familiare delegata e la celebrazione effettiva del primo incontro

Affinché possa integrarsi la condizione di procedibilità nella mediazione familiare delegata, occorre che il procedimento di mediazione venga celebrato con l’effettiva partecipazione delle parti, come statuito nella sentenza del Tribunale di Firenze del 22 dicembre 2021.
Indice:

Il caso de quo
La mediazione familiare e la celebrazione effettiva del primo incontro
Conclusioni

1. Il caso de quo
La pronuncia in esame trae spunto da una controversia giudiziale in materia di opposizione a precetto per mancato versamento del mantenimento a favore di figlia maggiorenne non autosufficiente, con istanza, in via preliminare e cautelare, di sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo, a seguito di scioglimento del vincolo coniugale.
Nel pronunciare la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esecutivo e del precetto, il Tribunale invita le parti a promuovere un tentativo di soluzione bonaria della controversia, attraverso la mediazione delegata ex d.lgs 28/2010. A tal fine, dispone che le stesse parti esperiscano un tentativo effettivo di mediazione, il che implica la necessaria comparizione personale delle stesse.
Ancora, in considerazione della specifico petitum, il giudice afferma che le parti potranno fare espressa richiesta all’organismo affinché venga incaricato un mediatore competente nella materia, nonché un eventuale mediatore ausiliario, la cui eventuale consulenza tecnica potrà essere prodotta nel giudizio.
Di talché, il giudice correda poi il provvedimento di tutta una serie di avvertenze al fine di scoraggiare un’adesione solo formale al tentativo di mediazione.
2. La mediazione familiare e la celebrazione effettiva del primo incontro
Per meglio comprendere l’iter logico-giuridico che ha condotto il giudice di merito a siffatta conclusione, è opportuno un breve richiamo alla disciplina dell’istituto della mediazione familiare.
La mediazione familiare si è sviluppata negli Stati Uniti – nell’ambito delle A.D.R. – sulla base di una riflessione condotta in ambito legale sull’inadeguatezza dei consueti strumenti contenziosi a gestire i conflitti interpersonali tipici della crisi coniugale.
Si è osservato che soprattutto in presenza di figli, i rapporti tra coniugi separati o divorziati non si interrompono definitivamente, ma sono inevitabilmente destinati a proseguire. In questa prospettiva, qualunque assetto dei rapporti familiari che non sia accettato in maniera spontanea e responsabile da ciascuna parte, ma sia imposto autoritariamente dal giudice, corre il rischio di essere tutt’altro che risolutivo e di costituire soltanto la base di nuove incomprensioni e di reciproche tensioni .
La definizione di A.D.R. comprende l’insieme degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, di tipo extragiudiziale o extra-giurisdizionale, ossia alternativo all’iter legale e giudiziario.
Le procedure più diffuse di A.D.R. sono: la mediazione, la conciliazione e l’arbitrato.
Anche la mediazione familiare si colloca nel sempre più ampio panorama degli interventi volti ad un decentramento del conflitto rispetto alla sede propriamente giurisdizionale e rappresenta, ancorché con caratteristiche proprie, una modalità alternativa al percorso giudiziario o, per essere più precisi, una modalità alternativa di approccio alla vicenda giudiziaria.
Sennonché, essa si distingue sotto vari profili dagli altri mezzi di composizione amichevole (transazione, conciliazione, arbitrato, mediazione a fini di conciliazione su diritti disponibili di cui al d.lgs. 28/2010), soprattutto perché non mira alla soluzione di conflitti, e tanto-meno ad una conciliazione, ma tende a ridurre gli effetti indesiderabili di un grave conflitto, ovvero a favorire una tregua tra i coniugi, una ripresa del dialogo tra loro: le parti in lite devono poter passare dalla condizione di soggetto alterato dalle proprie reazioni emotive all’interno delle dinamiche del conflitto, a quella di soggetto agente, elaborando esse stesse – con l’aiuto non vincolante del mediatore – un progetto di regolamentazione concordata della lite.
L’elemento qualificante di ogni tipo di mediazione è proprio lo specifico ruolo attribuito alle emozioni, al conseguimento della pacificazione per effetto dell’emersione di un sentimento empatico che avvicina i contendenti.
Durante il percorso di mediazione un terzo (ovvero una coppia di mediatori) aiuta i coniugi, su loro sollecitazione, a superare la conflittualità, elaborando l’evento traumatico separazione e/o divorzio. Una volta riappropriatasi della capacità di dialogo, la coppia può impegnarsi nella elaborazione in prima persona degli accordi che meglio rispondano ai bisogni di tutti i membri della famiglia, con particolare riguardo agli interessi dei figli.
Rispetto al percorso giudiziario qui non si realizza un processo di delega, ma un processo di responsabilizzazione, perché lo scopo non è quello di ottenere la soluzione eteronoma del conflitto, bensì quello di restituire alla coppia in crisi la capacità di dialogare, di continuare ad essere genitori insieme – nonostante l’evento separativo – per la gestione soprattutto del futuro dei propri figli.

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Questo significa affrontare un percorso nel quale si riacquista la capacità di riconoscere la dignità del proprio interlocutore, ossia del coniuge che sta di fronte, lo si recupera come immagine significativa ed educativa per i propri figli e si ritrova la capacità di confrontarsi per elaborare in prima persona lo statuto della famiglia, riorganizzando la propria vita familiare e ritrovando eventualmente anche la possibilità di non separarsi più oppure almeno il dialogo e la capacità di programmare i diversi aspetti della separazione insieme.
L’obiettivo del mediatore familiare è proprio quello di fare in modo che i genitori si riapproprino della capacità di decidere in prima persona quello che dapprima decidevano, il che significa valorizzare una dimensione nuova, una nuova modalità di approccio alla lite familiare, che però dovrà essere sempre sottoposta al vaglio della giurisdizione attraverso gli aspetti tecnici curati dagli avvocati.
Appare ancor più chiaro in tal modo che la mediazione familiare si presenta come strumento non alternativo, ma integrativo e complementare alla giurisdizione (con funzione strumentale e non sostitutiva): il mediatore, collocato al di fuori del processo, dà il suo contributo, insieme a quello di altre professionalità (avvocato e giudice) al fine di raggiungere un obiettivo comune, che è quello di consentire una soluzione pacifica e condivisa della lite familiare.
Conseguenza ineludibile di ciò è la necessità che vi sia un effettivo confronto tra le parti, al fine di verificare l’idoneità del thema decidendum a essere oggetto di un accordo di mediazione.
Specificamente, nella fattispecie in commento il Tribunale di Firenze, proseguendo nell’orientamento che l’ha sinora caratterizzato, ha ribadito l’indirizzo secondo cui la mediazione deve essere non solo informativa ma necessariamente effettiva ai fini della procedibilità della domanda.
Invero, il giudice fiorentino, in alcuni precedenti di merito in questo senso (e.g. Tribunale di Firenze, 8 maggio 2019, n. 1401) aveva ritenuto improcedibile la domanda giudiziale, ogniqualvolta la parte onerata ex lege di introdurre e coltivare il procedimento di mediazione, cioè la parte attrice, pur avendo presentato rituale domanda, comparendo al primo incontro, non avesse dato corso all’effettiva mediazione, dichiarando la propria impossibilità di procedere in tale senso.
Per il giudice, infatti, il primo incontro di mediazione deve avere natura «bifasica»: la prima informativa, sulle modalità e funzioni della mediazione, e la seconda di mediazione effettiva con la disamina nel merito delle questioni controverse.
Invero, «ridurre l’esperimento del procedimento di mediazione, ai fini della procedibilità, a una mera comparizione delle parti innanzi al mediatore (per di più con la possibilità di farsi rappresentare dai propri difensori muniti di procura speciale come precisato in alcune pronunce dalla S.C.), per ricevere un’informazione preliminare sulle finalità e le modalità di svolgimento della mediazione e per dichiarare che semplicemente non c’è volontà di mediare, comporta, infatti, un elevato rischio che tutto il procedimento divenga un “vuoto rituale”. Il tutto con ricadute negative anche sulla tempestiva erogazione del servizio giustizia, che di fatto potrebbe essere ostacolato dagli stessi incombenti legati alla mediazione».
Circa il rilievo che la mediazione familiare deve avere nella risoluzione delle controversie, ricordiamo che la cosiddetta riforma Cartabia, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, va finalmente a regolamentare anche la professione della mediazione familiare, corroborando il dictum del giudice fiorentino ut supra illustrato.
Specificamente, all’articolo 1 comma 4 si stabilisce che nell’esercizio della delega gli emanandi decreti legislativi debbano:
o) prevedere che l’attività professionale del mediatore familiare, la sua formazione, le regole deontologiche e le tariffe applicabili siano regolate secondo quanto previsto dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4;
p) prevedere l’istituzione, presso ciascun tribunale, di un elenco dei mediatori familiari iscritti presso le associazioni del settore, secondo quanto disciplinato dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4, con possibilità per le parti di scegliere il mediatore tra quelli iscritti in tale elenco; prevedere che i mediatori familiari siano dotati di adeguata formazione e specifiche competenze nella disciplina giuridica della famiglia, nonché in materia di tutela dei minori e di violenza contro le donne e di violenza domestica, e che i mediatori abbiano l’obbligo di interrompere la loro opera nel caso in cui emerga qualsiasi forma di violenza.
La riforma Cartabia è nel complesso orientata alla revisione completa del processo civile e comprende numerosi articoli per incrementare la sua efficienza. Tra le altre misure la creazione del Tribunale della famiglia, la disciplina delle ADR e razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie.
3. Conclusioni
Al termine di questa riflessione sulle caratteristiche e sulle finalità della mediazione familiare, come sopra evidenziate, può affermarsi che essa è uno strumento, alternativo alla via giudiziaria, di «pacificazione genitoriale», indispensabile per l’attuazione del principio di bigenitorialità e, più in generale, per l’affermazione di un nuovo modello di giustizia compositiva delle liti familiari.
Preme ribadire che affinché possa essere funzionale alla sua precipua ratio, è ineludibile che il primo incontro di mediazione non possa risolversi in una mera formalità, dovendosi invece poter verificare l’effettiva idoneità delle parti ad essere mediabili, in base alla natura del loro rapporto e del tipo di conflittualità tra loro scaturita.
L’auspicio è che si possa realizzare, nel più breve tempo possibile, una nuova cultura di gestione del conflitto familiare attraverso un percorso nel quale tutte le professionalità siano sinergicamente orientate al raggiungimento del medesimo obiettivo, quello di offrire una soluzione pacifica ai problemi della coppia in crisi e che, attraverso il diretto coinvolgimento dei protagonisti, restituisca ai confliggenti dignità e responsabilità ed ai minori un significativo livello di serenità e di benessere psicofisico.
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