La natura istantanea ad effetti permanenti del reato di assunzione di sostanze dopanti
La natura istantanea ad effetti permanenti del reato di assunzione di sostanze dopanti: riflessioni a margine della sentenza Cass. pen. n. 24884/2021
Indice:
Il reato di assunzione di sostanze dopanti ai sensi dell’art.586-bis c.p.
La ratio della fattispecie.
Il requisito del dolo specifico.
L’individuazione del momento consumativo: la sentenza n. 24884/2021 della Cassazione.
1. Il reato di assunzione di sostanze dopanti ai sensi dell’art. 586-bis c.p.
Con il d. lgs. 1.3.2018, n. 21, che ha dato attuazione alla delega legislativa di cui all’art. 1, 85° co., lett. q, l. 23.6.2017, n.103, relativa alla “tendenziale” riserva di codice nella materia penale, le fattispecie prima contenute all’art. 9, l.14.12.2000, n. 376, recante la «disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping», sono confluite nell’attuale art. 586-bis c.p.[1] nell’ambito dei delitti dedicati alla tutela dell’incolumità personale.
Ai sensi dell’art. 1, 2° co., l. 376/2000, il doping consiste nella «somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». Chiunque procura ad altri, somministra, assume ovvero favorisce comunque l’utilizzo di tali sostanze, ricomprese nelle classi previste dalla legge, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero di modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645 (art. 586-bis, 1° co., c.p.). Integrano il reato, dunque, sia le condotte ricondubili al c.d. eterodoping (procacciamento, somministrazione, favoreggiamento dell’impiego di sostanze dopanti, adozione di pratiche mediche vietate)[2], che al c.d. autodoping o “doping autogeno”[3], inteso quest’ultimo come assunzione volontaria di sostanze e sottoposizione a pratiche mediche vietate.
Per espressa previsione legislativa, si richiede espressamente che le sostanze o le pratiche mediche siano «idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo» (art. 586-bis, 1° co., c.p.)[4].
Come causa di esclusione della tipicità[5], il legislatore del 2000 ha espressamente previsto l’esistenza di ragioni mediche, allorquando la somministrazione o l’assunzione delle sostanze siano giustificate «da condizioni patologiche» dell’atleta ((art. 586-bis, 1° co., c.p.). In presenza di condizioni patologiche documentate e certificate dal medico, all’atleta può essere prescritto, infatti, uno specifico trattamento, purchè sia attuato secondo le modalità indicate nel relativo e specifico decreto di registrazione europea o nazionale ed i dosaggi siano previsti dalle specifiche esigenze terapeutiche. In tal caso, l’atleta ha l’obbligo di tenere a disposizione delle autorità competenti la relativa documentazione e può partecipare alle competizioni sportive, purchè ciò non metta in pericolo la sua integrità psicofisica (art. 1, 4° co., l. 376/2000)[6].
2. La ratio della fattispecie
Per quanto attiene alla ratio della disciplina, secondo l’originaria dichiarazione d’intenti contenuta nell’art. 1 della l. 376/2000[7], l’obiettivo del legislatore era quello di promuovere la salute psico-fisica degli atleti e di assicurare il rispetto dei principi etici e dei valori educativi dello sport, tra cui la lealtà e la regolarità delle competizioni. In una simile prospettiva, il fenomeno del doping è stato concepito non solo come un attentato alle condizioni psicofisiche dell’individuo, ma anche come la violazione dei principi di “correttezza” e “sportività” cui si informa la pratica atletica.
In particolare, si riteneva in dottrina[8] che, pur essendo presenti entrambe le rationes, fosse prevalente la tutela della lealtà e della regolarità delle competizioni sportive, e solo in via collaterale la disciplina mirasse a preservare l’incolumità fisica dello sportivo. A conferma di ciò, si è ritenuto che il CONI fosse legittimato a costituirsi parte civile nei processi per ricettazione di farmaci dopanti, trattandosi di parte danneggiata in quanto istituzionalmente portatore di un interesse pubblico al corretto e leale svolgimento delle competizioni sportive, definito come «bene nazionale»[9].
Infine, un ulteriore scopo, pur implicito[10], perseguito dalla disciplina sarebbe la tutela patrimoniale degli atleti: si pensi all’indebito vantaggio economico conseguito da un soggetto dopato attraverso il conseguimento di premi e sponsor in occasione della partecipazione a competizioni sportive ovvero al “ritorno” economico in termini di immagine, visibilità e pubblicità. Tenuto conto del fatto che, specialmente in determinati ambiti come il calcio, le competizioni sportive sono strettamente collegate a consistenti interessi economici, è chiaro che il doping minaccia tali interessi, innescando il pericolo di un’allocazione “artificiale” delle risorse.
Come è avvenuto anche in altri settori assimilabili per ratio e morfologia d’illecito (si pensi, ad es., al traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope)[11], le fattispecie sono state costruite attraverso il ricorso alla tecnica delle “norme penali in bianco”, con rinvio ad altre fonti non legislative, di natura secondaria o terziaria ai fini dell’integrazione del precetto, ossia per l’identificazione delle sostanze dopanti[12] . Purtroppo, il ricorso a tale tecnica normativa ha dato luogo a diversi problemi interpretativi, strettamente legati al rispetto dei principi di tassatività e determinatezza[13].
3. Il requisito del dolo specifico
Sotto il profilo della colpevolezza, è espressamente previsto il dolo specifico (1° e 2° co.), consistente nel «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti»[14] ovvero, alternativamente, di «modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze». Oltre alla consapevolezza di procurare, somministrare, assumere o favorire ad altri l’uso di sostanze ricomprese nelle classi previste dalla legge, l’agente deve avere, quindi, l’intenzione di alterare la prestazione agonistica ovvero di modificare l’esito dei controlli su tali pratiche.
Tale requisito è desumibile, secondo la giurisprudenza[15], anche su base indiziaria.
Tuttavia, dal mero dato letterale, non sarebbe del tutto chiaro, se integrano la fattispecie solo le prestazioni poste in essere nell’ambito di competizioni professionali o anche quelle relative a contesti amatoriali. Il dubbio nasce dall’incertezza in ordine ai requisiti per definire il concetto di “atleta”, oltre che l’ambito di rilevanza dell’“attività agonistica”, se cioè quest’ultima vada intesa nel senso proprio del linguaggio comune, come attività posta in essere con perseveranza, continuità e spirito competitivo, ovvero se vi rientri solo l’attività del chi «partecipa regolarmente ad attività sportive organizzate»[16] presso le Federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI e dal Ministero dell’Istruzione e regolamentate dal D.M. Sanità 18.2.1982 (“Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica”). In quest’ultima ipotesi, il campo di applicazione delle fattispecie anti-doping risulterebbe circoscritto alle sole condotte poste in essere al fine di alterare le prestazioni agonistiche competitive degli atleti professionisti e tesserati.
Aderendo ad una simile interpretazione, paradossalmente, le fattispecie incriminatrici potrebbero non trovare applicazione proprio in alcuni ambiti (come quello delle attività in palestra e di body building[17]), in cui il ricorso a tali sostanze, in particolare agli steroidi anabolizzanti, è assai frequente. Dato che lo sport ha l’obiettivo in generale di promuovere la salute e il benessere psico-fisico di chiunque lo pratichi, è stata ritenuta preferibile in dottrina[18] un’intepretazione estensiva del concetto di “atleta”, comprensiva di ogni soggetto – anche non tesserato – che svolga un’attività sportiva, tra cui vi rientrerebbero anche le prestazioni non competitive, come la danza, l’allenamento in palestra, lo yoga ecc.
Tale interpretazione sembrerebbe essere stata accolta, di recente, anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui non vi sarebbe «alcun elemento rinvenibile dalla descrizione della fattispecie normativa, ora art. 586 bis c.p., che consenta di limitare le attività sportive rilevanti alle sole svolte a livello professionistico o comunque agonistico»[19], per cui vi rientrerebbero anche le attività svolte «a livello amatoriale»[20].
4. L’individuazione del momento consumativo: la sentenza n. 24884/2021 della Cassazione
Dal punto di vista strutturale, si tratta l’assunzione di sostanze dopanti configura un reato di mera condotta, non essendo richiesta la verificazione di uno specifico evento[21].
Tuttavia, ai fini della consumazione è sorto un dubbio in dottrina circa la natura del reato de quo, se dovesse cioè farsi riferimento al momento dell’assunzione della sostanza o al diverso momento in cui tale sostanza si attiva nell’organismo del soggetto che l’ha assunta.
Ebbene, secondo la giurisprudenza[22], il reato ha natura istantanea con effetti permanenti, per cui si perfeziona nel momento dell’assunzione della sostanza vietata, essendo irrilevante l’eventuale perdurante pericolo dell’alterazione delle prestazioni agonistiche. Il luogo della consumazione del reato, dunque, è quello in cui la sostanza dopante è stata assunta, luogo che potrebbe anche non coincidere con quello in cui il reato è stato accertato, essendovi, di regola, uno iato temporale tra l’assunzione del farmaco (il cui effetto non è generalmente immediato ma, per poter agire, necessita di tempo, a seconda del tipo di sostanza) e il momento in cui il reato viene accertato, che di regola avviene a seguito di controlli effettuati al termine di una competizione sportiva.
Di recente, tale orientamento è stato confermato dalla Cassazione (Cass., sez. III, 22.6.2021, n. 24884)[23]. Il ragionamento dei giudici fa leva sulla ricostruzione dogmatica già elaborata in relazione al delitto di ricettazione: alla stessa stregua di quest’ultima fattispecie, l’assunzione di sostanze dopanti si caratterizza per il carattere istantaneo della condotta e per gli effetti permanenti. In entrambi i casi, può verificarsi uno scarto temporale tra il momento consumativo – che nella ricettazione coincide con la ricezione del bene di provenienza illecita – e quello dell’accertamento.
Ne discende che la competenza territoriale per il reato di assunzione di sostanze dopanti si determina in relazione al luogo in cui è avvenuta l’assunzione. Per individuare il giudice competente è necessario accertare in quale luogo sia avvenuta l’assunzione della sostanza dopante; tale indagine va condotta sulla base di elementi oggettivi, sicché nemmeno può attribuirsi, a tal fine, valore decisivo alle dichiarazioni dell’imputato, allorché non siano sorrette da sicuri riscontri.
Nel caso in cui il predetto accertamento non sia possibile, a causa della mancanza o dell’equivocità degli elementi di riscontro, devono trovare applicazione le regole suppletive di cui all’art. 9 c.p.p., fermo restando che deve escludersi la possibilità di considerare “parte dell’azione” la protrazione degli effetti permanenti del reato istantaneo, e quindi di attribuire la competenza, per tale via, al giudice del luogo in cui, a seguito di esami diagnostici, si è rilevata la presenza nel sangue delle sostanza dopante.
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Note
[1] Testualmente, l’art. 586-bis c.p. prevede che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645 chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste dalla legge, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze» (1° co.). Al 2° co., si prevede l’applicazione della stessa pena, sempre fatto salvo che il fatto costituisca più grave reato, «a chi adotta o si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi previste dalla legge non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero dirette a modificare i risultati dei controlli sul ricorso a tali pratiche». Le aggravanti e le sanzioni accessorie sono le medesime di quanto già previsto all’art. 9 l. 376/2000. Il 7° co. recita, infine, che «chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi indicate dalla legge, che siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero idonei a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente destinati alla utilizzazione sul paziente, e’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 5.164 a euro 77.468». La competenza per tali reati è del Tribunale monocratico, con procedibilità d’ufficio.
[2] La «somministrazione» sembra coincidere con la condotta di cui all’art. 443 c.p. di “commercio o somministrazione di medicinali guasti” ovvero di cui all’art. 445 c.p. di “somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica”. Il «procurare» pare includere, invece, oltre al semplice acquisto, anche qualsiasi ulteriore attività di “messa a disposizione” del prodotto. Per quanto concerne il «favorire comunque», nonostante l’espressione volutamente generica impiegata dal legislatore, la dottrina ritiene preferibile escludere la rilevanza dei contributi puramente psicologici, quali l’istigazione, l’apologia dei benefici della sostanza, o addirittura la semplice rassicurazione circa l’assenza di controindicazioni. Così, G. LAGEARD, Sport e diritto penale: il legislatore introduce il reato di doping, in Dir. pen. proc., 2001, 429 ss.
[3] Quest’ultima espressione è utilizzata da M. MANTOVANI, Reclutamento della prostituzione e doping autogeno: paternalismo e diritto penale, in Dir. pen. proc., 2020, 6, 823 ss.
[4] In ordine a tale requisito, non sono mancate invero alcune perplessità: infatti, una lettura testuale e rispettosa dei principi di cui all’art. 25 Cost., dovrebbe condurre a ritenere che l’assunzione o la somministrazione di una sostanza, ricompresa nelle classi vietate, integri il reato de quo soltanto qualora soddisfi l’ulteriore requisito dell’idoneità lesiva, imponendo al giudice un accertamento caso per caso di tale requisito. Breve: le fattispecie avrebbero la struttura di reati di pericolo concreto. Le criticità sono segnalate, già all’indomani dell’entrata in vigore della legge, da G. LAGEARD, Sport e diritto penale: il legislatore introduce il reato di doping, in Dir. pen. proc., 2001, 429 ss., nonché, di recente anche da S. BONINI, Doping tra sanzione penale e giustizia sportiva: il ruolo discriminanete del dolo specifico, in www.penalecontemporaneo.it, 15.11.2021.
[5] Nonostante l’improprio riferimento al concetto di “giustificazione” contenuto nella disposizione, si ritiene che si tratti di una causa di esclusione della tipicità penale: così, ad es., v. S. BONINI, Doping tra sanzione penale e giustizia sportiva: il ruolo discriminanete del dolo specifico, in www.penalecontemporaneo.it, 15.11.2021, 6.
[6] Occorre che la condizione patologica sia documentata: in senso parzialmente critico verso tale onere documentale, v. le osservazioni di M. CINGOLANI – P. FRATI – R. FROLDI – D. RODRIGUEZ, Aspetti medico-legali e tissicologici della legge 14 dicembre 2000 n. 376 in tema di doping, in Riv. it. med. leg., 2001, 2, 229 ss.
[7] In base all’art. 1, l. 376/2000, “Tutela sanitaria delle attività sportive. Divieto di doping”, si prevede che «l’attività sportiva è diretta alla promozione della salute individuale e collettiva e deve essere informata al rispetto dei princìpi etici e dei valori educativi richiamati dalla Convenzione contro il doping , con appendice, fatta a Strasburgo il 16 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 29 novembre 1995, n. 522. Ad essa si applicano i controlli previsti dalle vigenti normative in tema di tutela della salute e della regolarità delle gare e non può essere svolta con l’ausilio di tecniche, metodologie o sostanze di qualsiasi natura che possano mettere in pericolo l’integrità psicofisica degli atleti».
[8] Così S. BONINI, Doping e diritto penale, Padova, 2006, p. 156 ss.; ID. Tutela penale in materia di doping: aspetti ricostruttivi, riforme non consigliabili e riforme auspicabili, in Tutela penale della persona e nuove tecnologie, cit., p. 323 ss.; nello stesso senso v. Ruga Riva, Stupefacenti e doping, in Diritto penale, pt. sp., a cura di Pulitanò, cit., p. 176.
[9] Cass. pen., sez. II, 8/3/2011, n. 12750; Cass. pen., sez. III, 6/11/2008, n. 46362, commentata da M. IOVINO-C. PREZIUSO, Il rapporto tra il delitto di doping e la frode sportiva nella recente giurisprudenza di legittimità, in Diritto dello sport, 2009, 53-64.
[10] Tale finalità non è infatti espressamente menzionata dalla l. 376/2000.
[11] Pone in evidenza le similitudini con la disciplina in materia di stupefacenti, tra gli altri, E. APRILE, Il contrasto al traffico di sostanze dopanti: il punto della situazione, in Riv. it. med. leg. (e dir. san.), 2014, 1, 147 ss.
[12] V., in giurisprudenza, Cass., sez. III, 27.3.2014, n. 36700, in Riv. it. med. leg. (e dir. san.), 2014, 1249 ss., che incidenter tantum mostra di accogliere la «natura di norma penale in bianco» dell’art. 9 l. 376/2000, per essere «l’individuazione di un elemento essenziale della condotta illecita […] rimessa alla competenza di organi tecnici».
In senso critico di una simile impostazione v., tuttavia, S. BONINI, Il commercio di farmaci dopanti: coinvolti i principi di riserva di legge, determinatezza e offensività, in Dir. pen. proc., 2014, 11, 1333 ss., il quale ritiene piuttosto che le condotte siano integralmente descritte in via parlamentare dall’art. 9 l. 376/2000, risultando dunque il il precetto integralmente definito, senza autospoliazioni, da parte del legislatore. Sul punto, v. anche E.M. GIARDA, Art. 9 comma 1, l. 376/2000 in materia di doping: norma precettiva o in bianco, in Corr. mer., 2006, 109 ss.
[13] In generale, sui problemi interpretativi posti dalla disciplina, cfr. AIELLO, Prime riflessioni sulla legge antidoping, in Riv. dir. spor., 2000, n. 1-2, p. 17; G. ARIOLLI-V. BELLINI, Disposizioni penali in materia di doping, Milano, 2005; S. BONINI, Doping e diritto penale, Padova, 2006; ID., Doping e diritto penale prima e dopo la legge 14 dicembre 2000, n. 376, in Nuove esigenze di tutela nell’ambito dei reati contro la persona, a cura di S. Canestrari- G. Fornasari, Bologna, 2001, 255-335; BOTTARI, Il doping, problema generale e di rilevanza internazionale, in AA.VV., La tutela della salute nelle attività motorie e sportive: doping e problematiche giuridiche, a cura di BOTTARI, Maggioli, 2004, 20; A. DI MARTINO, Giuoco corrotto, giuoco corruttore: due problemi penali dell’homo ludens, in Scritti in onore di Antonio Cristiani, Torino, 2001, 239-255, spec. 239-251; FOGLIATA-FRAGASSO, Doping e legge penale, in AA.VV., Doping antidoping, a cura di FERRARA, Piccin, 2004, 131 ss.; L. FORNARI, Frode sportiva e doping, in Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, VI, Milano, 2007, 559-565; G. MARRA, Tutela della salute umana ed etica sportiva nella nuova legge contro il doping, in Cass. pen., 2001, 2851-2868; P.P. MENNEA, Il doping nello sport. Normativa nazionale e comunitaria, Milano, 2009; G. MICHELETTA, I profili penalistici della normativa sul doping, in Ind. pen., 2001, 1305-1352; STRUMIA, voce Doping nel diritto penale, in Dig. dir. pen., agg., II, Utet, 2004, 205; VALIANI, L. 14. 12. 2000 n. 379 – Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping, in Leg. pen., 2001, p. 655 ss.; A. VALLINI, Analisi della l. 14.12.2000 n. 376, in Leg. pen., 2001, 643-667.
[14] Il concetto di “alterazione” – si noti – è stato interpretato in dottrina estensivamente, nel senso di “alterare” artificiosamente le prestazioni agonistiche, eventualmente anche in senso peggiorativo. In questo senso, v. C. PALMIERE – M. POLITI – M. PIOMBO – M. CANALE, La dimensione medico-giuridica del fenomeno doping, in Riv. it. med. leg., 2002, 2, 333 ss., secondo cui l’espressione «alterare le prestazioni agonistiche dell’atleta» può consistere anche nel determinare un peggioramento della prestazione.
[15] Così, il dolo specifico è stato desunto in modo indiziario in Corte app. Trento, 17.8.2020, n.110, in www.dejure.it. Sempre sul requisito del dolo specifico, v. anche Cass., sez. III, 4.42018, n.30889, in Cass. pen., 2019, 5-6, 2082 ss., relativo ad un caso in cui un medico, sottoponeva un atleta, nel corso di due sedute, ad ozonoterapia per via endovenosa, pratica medica dopante ricompresa nelle classi previste e non giustificata da condizioni patologiche del paziente. In dottrina, sulla natura indiziaria della prova del dolo specifico riflette anche G. LAGEARD, Sport e diritto penale: il legislatore introduce il reato di doping, in Dir. pen. proc., 2001, 432 ss., il quale ritiene che il requisito del dolo specifico assuma una valenza meramente teorica dato che la specificità delle sostanze vietate e le verosimili tempistiche di assunzione sono tali da evidenziare una finalità difficilmente smentibile.
[16] Art. 1, 1° co., Convenzione di Strasburgo.
[17] Riflette sulla diffusione delle pratiche dopanti tra i body builder, i militari, gli agenti di polizia, gli addetti alla sicurezza, gli attori ed altri personaggi dello spettacolo A. DONATI, Il doping: un fenomeno illegale che non riguarda solo di mondo dello sport, in Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario), 2014, 1, 153 ss.
[18] Sul punto, v. M. CINGOLANI – P. FRATI – R. FROLDI – D. RODRIGUEZ, Aspetti medico-legali e tissicologici della legge 14 dicembre 2000 n. 376 in tema di doping, in Riv. it. medicina legale (dal 2012 Riv. it. medicina legale e dir. sanitario), 2001, 2, 229 ss., secondo cui non potrebbe essere invocata la semplice condizione amministrativa di essere iscritto ad una qualsiasi federazione sportiva. V. le considerazioni di E. APRILE, Il contrasto al traffico di sostanze dopanti: il punto della situazione, in Riv. it. med. leg. (e dir. san.), 2014, 1, 147 ss., secondo cui l’intervento legislativo ha uno “spettro” di applicabilità troppo limitato, non tenendo conto di tutti i possibili ambiti di diffusione del doping nei quali il fenomeno ha già trovato ampie forme di manifestazione (a livello amatoriale, tra i culturisti e i frequentatori amatoriali di palestre ecc.), oltre a quello dello sport svolto a livello agonistico.
[19] Cass, sez. II, 4.3.2021, n.14556, in www.dejure.it, cui si rinvia per l’ulteriore giurisprudenza citata.
[20] Cass, sez. II, 4.3.2021, n.14556, in www.dejure.it.
[21] La giurisprudenza è granitica in tal senso (da ultimo, ad es., Cass. pen. Sez. III, 22.6.2021, n. 24884, in www.dejure.it). Contra v. N. MADIA, Il delitto di assunzione di sostanze dopanti: al bivio tra disvalore d’azione e disvalore d’evento, in Cass. pen., 2008, 6, 2576 ss., secondo cui, contrariamente alle apparenze, la fattispecie in parola non si limiterebbe a punire la mera azione di assunzione dei prodotti vietati, essendo necessario che alla condotta di assunzione dei prodotti vietati segua «l’effettiva attivazione di quelle reazioni chimiche che infondono ai medicinali l’intrinseca attitudine a influenzare l’equilibrio organico dell’atleta». Secondo l’A., il tenore letterale della norma – in particolare, nel punto in cui si fa riferimento a “farmaci o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive” – presupporrebbe che a seguito della condotta si accompagni l’effettiva attivazione delle reazioni chimiche indotte dalla sostanza. Strettamente legata alla questione è la disputa interpretativa attorno alla natura istantanea o permanente delle fattispecie (in rapporto alla diade disvalore d’azione/disvalore d’evento). Infatti, in relazione alle ipotesi di somministrazione ed assunzione, una tesi giurisprudenziale (invero risalente) sosteneva la natura di reato permanente dell’assunzione di sostanze dopanti (v. Cass., sez. III, 21.6.2007, n. 27279, in Cass. pen., 2008, 2573 ss.). Secondo tale tesi, il reato di assunzione di sostanze dopanti non si consuma nel momento dell’assunzione, poiché il pericolo dell’alterazione delle prestazioni agonistiche permarrebbe fino a quando la sostanza dopante sia idonea a modificare le condizioni psicofisiche dell’atleta. Di conseguenza, il Giudice competente per territorio sarebbe quello del luogo in cui viene riscontrata la positività alle predette sostanze. In dottrina (v. S. BONINI, Doping tra sanzione penale e giustizia sportiva: il ruolo discriminanete del dolo specifico, in www.penalecontemporaneo.it, 15.11.2021, 3 ss.) e nella giurisprudenza più recente (v. Cass., sez.. III, 22.6.2021, n. 24884, in www.dejure.it; Cass., sez. VI, 22.6.2017, n. 39482, in Cass. pen., 2018, 2, 632 ss.), il reato di assunzione di sostanze dopanti ha natura istantanea con effetti permanenti e si perfeziona nel momento dell’assunzione della sostanza vietata, essendo irrilevante l’eventuale perdurante pericolo dell’alterazione delle prestazioni agonistiche. Specularmente, anche per quanto riguarda la fattispecie di commercio, la giurisprudenza (v. Cass., sez. III, 14.5.2019, n.26289, in www.dejure.it) ritiene che la consumazione coincida con il momento in cui la sostanza dopante viene “immessa” nel mercato, sia pure tramite canali riservati o pubblicizzati con specifici accorgimenti, anche senza l’individuazione di specifici acquirenti, non essendo richiesto, ai fini del perfezionamento del delitto, la vendita delle sostanze in questione, che costituisce un mero posterius rispetto alla fattispecie incriminatrice. A supporto di tale conclusione, varrebbe la considerazione che, al pari di ogni altro reato a dolo specifico, il momento della consumazione c.d. formale, o perfezione risulterebbe distinto e anteriore rispetto alla c.d. consumazione “sostanziale” (v. S. BONINI, Doping tra sanzione penale e giustizia sportiva: il ruolo discriminanete del dolo specifico, in www.penalecontemporaneo.it, 15.11.2021, 13). La consumazione formale coinciderebbe con la realizzazione della condotta o fatto-base strumentali tassativamente descritti dalla fattispecie, “arricchiti” dalla presenza di un elemento finalistico che deve motivare l’agente quale anticipazione intellettiva e rilevare sul piano oggettivo-funzionale in termini di possibilità o realizzabilità del contenuto dello scopo, giacché altrimenti si tratterebbe di interesse meramente putativo. La consumazione “sostanziale” (non necessaria all’integrazione della fattispecie tipica) si realizzerebbe invece, eventualmente, al momento dell’effettivo conseguimento dell’obiettivo perseguito.
[22] V. Cass., sez. VI, 22.6.2017, n. 39482, in www.dejure.it.
[23] Cass., sez. III, 22.6.2021, n.24884, in www.dejure.it. Nel caso di specie, il fatto riguardava l’assunzione di una sostanza dopante del tipo Eritropoietina ricombinante da parte di una atleta in occasione della gara di sci di fondo “Campionati italiani individuali TC Aspiranti Juniores m/f” svoltasi il 26.2. 2017 al passo Cereda.
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