Cosa si deve intendere per estorsione ambientale

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito cosa si deve intendere per estorsione ambientale.
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 629)
Indice:

Il fatto
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione e i motivi nuovi 
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione 
Conclusioni

Il fatto
Il Tribunale di Catanzaro, a seguito del riesame interposto proposto ai sensi art. 309 cod. proc. pen., da un lato, annullava una ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva applicato alla persona sottoposta a indagini la misura della custodia cautelare in carcere, limitatamente al reato di trasferimento fraudolento di valori in concorso (artt. 110, 512-bis, 416-bis.1 cod. pen. – capo 25 dell’incolpazione), dall’altro, aveva confermato nel resto il provvedimento di prima istanza che aveva applicato a sua volta la misura custodiale ad un indagato, anche poiché gravemente indiziato dei reati di associazione di tipo mafioso, con ruolo di promotore e organizzatore (art. 416-bis, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, cod. pen. – capo 1) e di estorsione aggravata in concorso (artt. 110, 629, commi 1 e 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3, 416-bis.1 cod. pen. – capo 18.
Sull’argomento, vedasi:

“Il reato di estorsione, disciplina giuridica e caratteri”;
“La struttura del reato di estorsione”

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione e i motivi nuovi
Avverso il provvedimento summenzionato era proposto ricorso per Cassazione, formulandosi i seguenti motivi: 1) violazione della legge penale sostanziale e processuale (richiamando gli artt. 416-bis cod. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen.) e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b), c), ed e) cod proc. pen.), con riferimento al reato associativo (capo 1); 2) violazione della legge penale sostanziale e processuale (richiamando gli artt. 629, commi 1 e 2, in relazione all’art. 628, comma 3 nn. 1 e 3, 416-bis.1 cod. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen.) e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b), c), ed e) cod proc. pen.), con riferimento al fatto estorsivo (capo 18).
Oltre a ciò, erano altresì proposti motivi nuovi.
In particolare, con riguardo al delitto associativo (capo 1), ci si doleva del totale difetto di motivazione, sia nell’ordinanza genetica sia in quella del Tribunale del riesame, sulla struttura della presunta cosca e sulle condotte dimostrative del concorso di A. F. al programma associativo o all’attività dell’organizzazione mentre, con riguardo all’estorsione aggravata (capo 18), si era denunciata la contraddittorietà della motivazione che aveva ritenuto i gravi indizi di colpevolezza nonostante fossero stati esclusi i presupposti del delitto di cui all’art. 513-bis cod. pen. pure attribuito al ricorrente in relazione alla medesima vicenda.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era reputato, seppur in parte, fondato per le seguenti ragioni.
Quanto al primo motivo del ricorso per Cassazione e al primo motivo nuovo, gli Ermellini osservavano come essi fossero inammissibili poiché, a loro avviso, le argomentazioni in essi espresse erano manifestamente infondate e, a ben vedere, generiche e versate in fatto atteso che l’iter logico-giuridico, sul quale il Tribunale aveva fondato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sempre per la Corte di legittimità, non poteva dirsi inficiato alla luce della prospettazione difensiva, pure a fronte della fondatezza dei motivi di doglianza relativi al fatto estorsivo oggetto del capo 18 dell’incolpazione.
Difatti, secondo il Supremo Consesso, il Collegio distrettuale aveva ritenuto – nell’ottica indiziaria propria della cautela – l’intraneità del ricorrente al sodalizio mafioso in incolpazione sulla scorta, non solo del suo concorso nella detta estorsione, bensì anche in considerazione di ulteriori, convergenti elementi, in relazione ai quali comunque la motivazione del provvedimento impugnato rimane logica, congrua e conforme al diritto, anche alla luce dei vizi argomentativi attinenti ai gravi indizi pure dell’estorsione medesima.
Più in dettaglio, veniva fatto presente che, oltre all’estorsione di cui al già richiamato capo 18, il Tribunale aveva individuato elementi dimostrativi dei gravi indizi di colpevolezza del delitto associativo nella diversa vicenda estorsiva in pregiudizio del fratello del ricorrente, nel fatto che la sede dell’impresa di autotrasporti di cui l’impugnante era titolare fosse «il covo del clan», nonché nelle espressioni proferite dallo stesso ricorrente nel corso di una conversazione con la convivente.
Ebbene, per quel che attiene alla condotta estorsiva, per la Suprema Corte, il Tribunale aveva ritenuto fondata la prospettazione accusatoria fermo restando che il Collegio distrettuale era pervenuto a tale conclusione richiamando più elementi, qui non sindacabile neppure alla luce della ricostruzione alternativa in fatto offerta dalla difesa (cfr. Sez. 5, n. 15138 del 24/02/2020; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017; Sez. 4, 03/02/2011, n. 14726; Sez. 4, 06/07/2007, n. 37878)
Di conseguenza, si riteneva come il Collegio del riesame avesse ritenuto, in maniera logica, che le vicende imprenditoriali, oggetto della presente vicenda giudiziaria, fossero affari di interesse della cosca, di cui pure era stata beneficiaria l’impresa nella titolarità del ricorrente, trattandosi di un dato che (anche a prescindere dal concorso del ricorrente nella singola azione estorsiva) in maniera conforme al diritto era stato ritenuto significativo rispetto alla sussistenza di gravi indizi del delitto in incolpazione atteso che l’acquisizione in modo diretto o indiretto della gestione o comunque del controllo di attività economiche e la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, mediante il metodo che ne è tipico, è una delle finalità proprie dei sodalizi mafiosi (art. 416-bis, comma 3, cod. pen.).
In secondo luogo, si notava altresì come l’ordinanza impugnata avesse valorizzato la circostanza che la sede dell’impresa nella titolarità dell’impugnante fosse deputata a riunioni tra i sodali, dato questo con il quale il ricorso, per la Corte di legittimità, non si era confrontato e che non poteva con evidenza dirsi oggetto di un apprezzamento inconferente rispetto alla condotta in incolpazione.
Infine, si metteva in risalto il fatto che il Tribunale aveva argomentato alla luce delle espressioni impiegate dallo stesso ricorrente in un dialogo con la propria convivente traendo da esse un riferimento chiaro ed univoco – per vero congruo rispetto al tenore di esse – della capacità di intimidazione del sodalizio e dell’intraneità a esso dell’odierno indagato il quale – come aveva chiarito il provvedimento impugnato – aveva in effetti rassicurato la donna, rimarcando che nei loro confronti nessuno avrebbe mai posto in essere un delitto contro il patrimonio, tanto da rendere inutile l’attivazione notturna del sistema di videoregistrazione e, perfino, da poter fare a meno per un periodo del cancello di chiusura (nonostante in loco vi fossero custoditi mezzi), ed anzi essendo sufficiente solo come «simbolo» un unico custode per ettari di terre coltivate, perché nessuno si sarebbe mai appropriato di nulla, rilevandosi al contempo come tale interpretazione – come detto, logica e conforme al tenore delle frasi proferite dal ricorrente – non potesse dirsi utilmente confutata in sede di legittimità dalla ricostruzione alternativa proposta nell’interesse dello stesso ricorrente.
In conclusione, argomentando nei termini appena compendiati, per i giudici di piazza Cavour, il Collegio distrettuale – contrariamente a quanto assunto dalla difesa – aveva attribuito al ricorrente (nella prospettiva gravemente indiziaria che qui rileva) condotte rilevanti nel perseguimento (con il metodo mafioso) dei fini tipici della societas, così individuando quel «contributo alla vita del sodalizio […] apprezzabile e concreto, sul piano causale, all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione e, quindi, alla realizzazione dell’offesa tipica agli interessi tutelati dalla norma incriminatrice», ossia la condotta propria di chi «fa parte» dell’associazione di tipo mafioso (cfr. per tutte Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005).
Ciò posto, per quanto concerne il primo motivo nuovo summenzionato, esso, come accennato in precedenza, era considerato inammissibile in ragione della rilevata inammissibilità del motivo originariamente dedotto (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019), tenuto conto altresì del fatto che le allegazioni oggetto del motivo nuovo non erano state sollevate specificamente innanzi al Collegio distrettuale mentre la Cassazione ha già chiarito quanto segue: «in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti de libertate, pur nella peculiarità del contesto decisorio del giudizio di riesame resa manifesta dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., il ricorrente ha l’onere di specificare le doglianze attinenti al merito (sul fatto, sulle fonti di prova e sulla relativa valutazione) onde provocare il giudice del riesame a fornire risposte adeguate e complete, sulle quali la Corte di cassazione può essere chiamata ad esprimersi. Pertanto, in mancanza di tale devoluzione, è inammissibile il ricorso che sottoponga alla Corte di legittimità censure su tali punti, che non possono trovare risposte per carenza di cognizione in fatto addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere, in relazione ai limiti del giudizio di cassazione, ex art. 606 cod. proc. pen.» (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020; Sez. 6, n. 16395 del 10/01/2018; Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013).
Detto questo, per quanto invece concerne il secondo motivo del ricorso e il secondo motivo nuovo, gli Ermellini ritenevano come  l’iter argomentativo formulato dal Collegio di seconda istanza non si fosse compiutamente espresso sulle doglianze difensive relative a un punto dirimente in ordine alla sussistenza o meno dei gravi indizi dell’estorsione in discorso posto che, «per estorsione ambientale si intende quella particolare forma di estorsione che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali, che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima. Deve poi aggiungersi che il sintagma “estorsione ambientale” è utilizzato, in modo ellittico, per intendere una richiesta minatoria effettuata, con le modalità di cui si è detto, in determinati territori. Ciò, però, non significa che ci si trovi al cospetto di un reato diverso da quello di estorsione. Trattasi, invece, pur sempre di un delitto di estorsione, sia pure connotato da gravità, in quanto le minacce provengono da gruppi organizzati, che, in quanto tali, destano particolare allarme sociale» (Sez. 2, n. 18566 del 10/04/2020, che richiama Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014).
Dunque, perché ricorra una «estorsione cd. “ambientale”» – pur non essendo necessario che la vittima conosca l’estorsore ed il clan di appartenenza del medesimo – comunque rilevano «le modalità in sé della richiesta estorsiva, che, pur formalmente priva di contenuto minatorio, ben può manifestare un’energica carica intimidatoria – come tale percepita dalla vittima stessa – alla luce della sottoposizione del territorio in cui detta richiesta è formulata all’influsso di notorie consorterie mafiose» (Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017).
Orbene, declinando tale approdo ermeneutico rispetto al caso di specie, veniva osservato come, nel caso in esame, nulla fosse stato argomentato proprio in ordine alla richiesta estorsiva (al soggetto che l’aveva veicolata e alle modalità di essa), profilo centrale perché, per la Corte di legittimità, possa ritenersi compiuta e conforme al diritto la motivazione sulla condotta tipica descritta dall’art. 629 cod. pen. in quanto l’ordinanza impugnata – nonostante le deduzioni difensive che hanno richiamato quanto già rilevato dal G.i.p. sul punto – si era concentrata sull’effetto, ossia sull’evento del reato che deve seguire alla condotta tipica (sia essa violenta o minacciosa: cfr. Sez. 2, n. 3934 del 12/01/2017).
L’ordinanza impugnata, quindi, era annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame, limitatamente al reato di cui al capo 18 dell’incolpazione mentre era dichiarato inammissibile nel resto il ricorso.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito cosa si deve intendere per estorsione ambientale.
Difatti, in tale provvedimento, alla stregua di un pregresso orientamento nomofilattico, si afferma che per estorsione ambientale si intende quella particolare forma di estorsione che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali, che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima fermo restando che, per questa particolare modalità estorsiva, non è necessario che la vittima conosca l’estorsore ed il clan di appartenenza del medesimo, rilevando unicamente le modalità in sé della richiesta estorsiva, che, pur formalmente priva di contenuto minatorio, ben può manifestare un’energica carica intimidatoria – come tale percepita dalla vittima stessa – alla luce della sottoposizione del territorio in cui detta richiesta è formulata all’influsso di notorie consorterie mafiose.
Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare quando una condotta di questo genere possa assurgere a fatto penalmente rilevante.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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