La motivazione illogica produce la nullità della sentenza
SOMMARIO:
Riferimento normativo
Sentenza Cassazione Civile dell’8/10/2021 n. 27411
Osservazioni
Riferimento normativo
Art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c.
La sentenza: Corte di Cassazione Civile n. 27411 dell’8/10/2021
Fatti di causa
Gli eredi di una minore convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Macerata, il Comune di Recanati e l’istituto scolastico per sentirli condannare, in solido, al risarcimento del danno conseguente alla morte della minore. Le attrici esposero che la bambina, dichiarata invalida al 100%, era deceduta per asfissia durante l’orario scolastico, a causa del comportamento negligente, imperito e imprudente tenuto dal personale scolastico e dall’assistente sociale dipendente del Comune.
Si costituì il Comune, chiedendo il rigetto della domanda, mentre restava contumace l’Istituto scolastico. All’esito dell’espletata istruttoria, il Tribunale adito rigettò la domanda e compensò le spese di lite.
Avverso tale sentenza, le attrici proposero appello dinanzi alla Corte di Appello di Ancona. Si costituiva il Comune di Recanati, chiedendo il rigetto, mentre l’istituto scolastico anche questa volta rimaneva contumace.
La Corte territoriale confermava la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva ritenuto che non vi fosse stato colpevole ritardo da parte del personale addetto alla vigilanza nella chiamata dei soccorsi. Inoltre, affermava che seppure il personale medico del 118 fosse arrivato prima, non sarebbe riuscito a salvare la vita della minore, a causa dello stato già avanzato del processo asfittico; escludeva pure che un intervento con manovre di soccorso da parte del personale presente a scuola avrebbe potuto evitare l’exitus. Il giudice di seconde cure negava altresì l’asserita negligenza nella sorveglianza della minore da parte dell’assistente sociale dipendente dal Comune.
La Corte territoriale rigettava la domanda nei confronti dell’Istituto scolastico, ritenendo che non vi fossero state negligenze da parte della scuola nell’organizzazione dell’assistenza alla bambina.
Con sentenza n. 2710/2018, pubblicata il 28 novembre 2018, la Corte di appello di Ancona rigettava il gravame e compensava integralmente tra le parti le spese di quel grado.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Le ricorrenti pongono a fondamento del ricorso cinque motivi.
Con il primo motivo, denunciando la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, le ricorrenti sostengono che la motivazione di tale decisione sarebbe affetta da irriducibile illogicità, nella parte in cui, pur fissando in otto minuti – e non in tre minuti, come invece ritenuto dal Tribunale con la sentenza di primo grado confermata in appello – il tempo trascorso dal rinvenimento della bambina alla chiamata dei soccorsi, ha escluso la negligenza dei convenuti nel ritardare la chiamata del 118. Sostengono che, invece, se il 118 fosse stato allertato immediatamente, la bambina avrebbe avuto salva la vita. Le ricorrenti deducono anche l’illogicità e l’incongruenza della sentenza d’appello che ha dichiarato non sussistente tale ritardo, confermando sul punto quella di prime cure, che pure lo aveva escluso, ma sul diverso presupposto che la telefonata al 118 fosse avvenuta dopo tre minuti, come già evidenziato. Inoltre, sarebbe priva di motivazione, ovvero la motivazione sarebbe apparente ed incomprensibile nella parte in cui nella medesima la Corte di merito afferma che l’intervento dei sanitari (qualora fosse stato richiesto entro un minuto dal rinvenimento della piccola priva di conoscenza) nell’arco di quattro minuti (tenendo conto dell’arrivo dei sanitari nei successivi tre minuti) non avrebbe comunque evitato l’esito tragico della vicenda, peraltro così esprimendosi in totale difformità delle risultanze della c.t.u., senza indicare le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni dell’ausiliare del giudice.
Con il secondo motivo, denunciando “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 1218 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3”, le ricorrenti sostengono che la Corte territoriale avrebbe attribuito alla consulenza tecnica un’affermazione parziale e non coerente con il suo reale contenuto, nella parte della sentenza in cui afferma che non era esigibile un intervento di soccorso diretto da parte dell’assistente sociale vista la complessità delle operazioni richieste. Deducono le ricorrenti che il consulente ha effettivamente ritenuto che “personale laico, anche se adeguatamente formato, (…) ben difficilmente può intervenire effettuando con precisione la sequenza delle manovre efficaci“, ma al contempo ha pure affermato che “prestare soccorso non vuol dire praticare azioni e metodiche particolari, di pertinenza solamente del personale qualificato, ma anche attivare semplicemente il 118 ed assistere la vittima, in attesa degli interventi qualificati“. Le ricorrenti ritengono che la corretta interpretazione delle affermazioni dell’ausiliare del giudice avrebbe condotto il giudice a condannare i convenuti, stante l’inadempimento degli obblighi cui erano tenuti, che imponevano l’immediata chiamata del 118, a prescindere dalla professionalità qualificata cui ha fatto riferimento la Corte di merito.
Con il terzo motivo, denunciando “omessa motivazione circa le disattese conclusioni del ctu, quale omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione dell’art. 111 Cost., le ricorrenti sostengono che il Giudice di seconde cure, come pure quello di primo grado, avrebbe disatteso totalmente la consulenza tecnica, giungendo a conclusioni opposte senza alcuna concreta motivazione. In particolare, ciò sarebbe avvenuto in relazione alla percettibilità esterna del malore che aveva colto la bambina, all’obbligo di chiamare immediatamente i soccorsi ed alla ritenuta impossibilità di evitare l’evento. Assumono le ricorrenti che, nel discostarsi dalle conclusioni della c.t.u., la Corte di merito aveva uno specifico onere di motivazione che invece non sarebbe stato assolto, con conseguente nullità della sentenza.
Con il quarto motivo le ricorrenti lamentano “omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonché omessa motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 1218 c.c., circa gli obblighi di sorveglianza, custodia e controllo da parte dell’assistente sociale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3“. Le ricorrenti affermano, in particolare, che l’assistente sociale si era collocata a distanza dalla bambina, in una stanza di grandi dimensioni adiacente a quella in cui si trovava la piccola, in modo tale da non poterla né vedere né sentire anche a fronte del gran caos che regnava nell’istituto scolastico, preparandosi i bambini ad uscire dalla scuola; tali circostanze non sarebbero state valutate dalla Corte di appello che, qualora le avesse valutate unitamente ad ulteriori elementi probatori, avrebbe probabilmente espresso un giudizio differente in punto di responsabilità per violazione degli obblighi di sorveglianza, di assistenza e di custodia.
Con il quinto motivo le ricorrenti lamentano l’omessa motivazione e la violazione dell’art. 1218 c.c., in relazione agli obblighi di sorveglianza, custodia e controllo gravanti sull’Istituto scolastico e invocano la responsabilità per culpa in vigilando della scuola, sulla quale gravavano, insieme all’assistente sociale, gli obblighi di vigilanza sulla minore.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto fondato per le seguenti ragioni.
I motivi, essendo strettamente connessi, sono stati esaminati congiuntamente.
La Corte ha ritenuto assorbente il rilievo della fondatezza delle censure con le quali le ricorrenti lamentano l’assenza, l’apparenza e l’intrinseca contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, nei termini appresso precisati.
In premessa, richiamando le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., sez. un., 7/04/014, nn. 8053 e 8054) hanno affermato che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Hanno evidenziato che dalla giurisprudenza di legittimità è stato ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., Sez. Un., 3/11/2016; v. pure Cass. Sez. Un., 5/4/2016, n. 16599). Inoltre, ha pure affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. Ord. 7/4/2017, n. 9105) ovvero che è nulla per mancanza – sotto il profilo sia formale che sostanziale – del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti ed atti ad essa allegati, oltre ad una consulenza tecnica, senza riprodurne le parti idonee a giustificare la valutazione espressa (Cass. 23/03/2017 n. 7402). È stato, altresì, specificato che il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass. Ord. 30/05/2019 n. 14762).
Il vizio radicale di motivazione apparente ed intrinsecamente contraddittoria sopra illustrato nelle sue caratteristiche essenziali e chiaramente denunciato dalle ricorrenti – che, unitamente al difetto totale di motivazione, pure dedotto, dà luogo, come già evidenziato, ad anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, che integra un error in procedendo, la cui denuncia è ammissibile in questa sede – si riscontra nella motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di merito, pur affermando che “il tempo massimo trascorso tra la verifica da parte della M. del malore di G. e la chiamata del 118 è… di otto minuti“, ha ritenuto che la sentenza di prime cure fosse esente dalle proposte censure – sicché la contraddizione è intrinseca alla sentenza di secondo grado – in relazione alla ricostruzione del tempo impiegato per la chiamata del 118, alla esclusione dell’esistenza di un ritardo e alla conclusione che una tempestiva chiamata dei soccorritori non avrebbe comunque salvato la vita della piccola, e ciò nonostante il Tribunale avesse, invece, ritenuto che i soccorsi erano stati chiamati dopo tre minuti. E la questione non è irrilevante, atteso che lo stesso consulente tecnico nella relazione ha evidenziato che il servizio di emergenza 118 ben poteva essere allertato in pochi secondi e che lo stesso, “come è accaduto, sarebbe prontamente intervenuto e sarebbero trascorsi meno di 4 (minuti) da quanto il personale si è accorto del malore di G., un tempo verosimilmente sufficiente a garantire la sopravvivenza della piccola G.. Si conferma che il decesso della piccola G., se fossero state correttamente attuate le misure di pronto Soccorso (anche solamente la chiamata tempestiva del 118), con molte probabilità non si sarebbe verificato“.
La motivazione della sentenza impugnata risulta, inoltre, come pure denunciato dalle ricorrenti, meramente apparente e del tutto generica nella parte in cui, pur ipotizzando che un minuto dopo il rinvenimento di G. priva di conoscenza fosse stata effettuata la chiamata al 118, consentendo l’arrivo dei sanitari entro i successivi tre minuti, la Corte territoriale ha escluso che ciò avrebbe evitato il decesso della bambina, sul mero rilievo che al momento in cui l’assistente sociale aveva verificato il malore della piccola il processo di asfissia si era già completato o era in fase avanzata e che non si era in presenza di “una bambina normale” ma di persona portatrice di una grave forma di menomazione… che la rendeva più sensibile ad un ulteriore insulto cerebrale, e sicuramente meno reattiva rispetto ad un bambino sano della stessa età””. L’apparenza di tale motivazione si apprezza ancor più in quanto, così ritenendo, la Corte di merito si è, come pure denunciato dalle ricorrenti anche con il terzo motivo, immotivatamente discostata da quanto evidenziato, nella sua relazione, dal C.T.U., il quale era certamente consapevole delle condizioni pregresse della bambina. Ora, atteso che quando ci si accorse del malore della bambina come affermato nella sentenza impugnata e come ritenuto dalle stesse ricorrenti la medesima versava ormai nella terza fase del processo di asfissia, che ha una durata, secondo quando ritenuto dall’ausiliare del giudice, di 60-120 secondi, fase cui segue quella del boccheggiamento, che ha una durata di 60-240 secondi, tra il ritrovamento e la fase terminale intercorse un tasso di tempo compreso tra due e sei minuti, un tempo in senso assoluto ristretto ma che, in base a quanto evidenziato dal C.T.U., avrebbe potuto essere idoneo a salvare la vita della bambina, a fronte di una immediata chiamata al 118.
La Corte di merito, come pure lamentato con il terzo motivo, in particolare, neppure ha motivato, non del tutto apparentemente – il che non consente di alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio seguito – del perché, confermando quanto già ritenuto sul punto dal Tribunale, si sia discostata dalle conclusioni dell’ausiliare anche in relazione alla ritenuta non percettibilità dei sintomi di rigurgito-vomito, affermando che quand’anche fossero intervenuti i tipici “rumori” del vomitare o i piccoli colpi di tosse – che l’ausiliare ha ritenuto si fossero verificati – e tali sintomi fossero stati percepiti dall’assistente sociale M., trattandosi di segni esteriori di lieve entità e in assenza di tracce di rigurgito, gli stessi non avrebbero evidenziato una situazione di anomalia così grave come l’insorgere di un processo di asfissia ma avrebbero potuto essere apprezzati come compatibili con il sonno, senza ulteriore spiegazione, a fronte di quanto specificamente evidenziato al riguardo dall’ausiliare del giudice nella sua relazione.
Sul punto si richiama l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, al quale va data continuità in questa sede, secondo cui il giudice, nel caso sia stata disposta una consulenza tecnica cd. percipiente può anche disattenderne le risultanze, ma solo ove motivi in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per addivenire alla decisione, specificando le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del C.T.U. (Cass., Ord. 11/1/2021 n. 20000; Cass. 21/12/2017 n. 30733; Cass. 7/08/2014 n. 17757). Tali rilievi assorbono l’esame di ogni altra questione pure prospettata.
Osservazioni
La decisione in esame pone la questione dei vizi motivazionali della sentenza. Ai fini dell’intelligibilità delle ragioni della decisione svolge senz’altro un ruolo fondamentale la motivazione della pronuncia, che, al di là della concezione che si voglia abbracciare intorno al discorso motivazionale (formale o sostanziale) è il veicolo attraverso il quale il ragionamento decisorio viene palesato nella sentenza.
Con le modifiche introdotte dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69, il legislatore ha inteso sancire l’obbligo della motivazione, consistente nell’insieme delle ragioni che giustificano la statuizione del giudice. La motivazione è lo strumento con cui è possibile vagliare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. Infatti, la motivazione è elemento previsto dall’art. 111 Cost. che permette di effettuare un controllo penetrante sulla legalità della pronuncia in sede di impugnazione e sancire la responsabilità dei magistrati.
La funzione della motivazione è chiaramente quella di consentire un controllo sotto il profilo logico e giuridico del ragionamento che ha condotto alla decisione. Essa dev’essere sufficiente, nel senso che deve contenere ragioni oggettivamente idonee a giustificare la decisione; logica, ossia coerente nelle diverse osservazioni in cui essa si articola, anche in relazione al dispositivo; ordinata, in quanto la legge prescrive che nella motivazione debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio ed indicate le norme di legge e i principi di diritto applicati. L’assenza della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa vale ad integrare un motivo di nullità della sentenza allorchè tale omissione impedisca totalmente di individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, nonché di controllare che siano state osservate le forme indispensabili poste dall’ordinamento a garanzia del regolare svolgimento della giurisdizione. È indispensabile che dal complesso delle argomentazioni svolte dal giudice emergano gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della decisione adottata.
Nel caso esaminato, la Corte di Cassazione ha cristallizzato l’attenzione sui vizi della motivazione nella duplice manifestazione, ossia di difetto assoluto e di motivazione apparente. Ciò è dovuto in particolar modo alla necessità di distinguere il caso in cui il vizio fosse consistito nella violazione della regola formale di cui all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., da quello dell’omessa motivazione circa un punto decisivo (fatto controverso e decisivo dopo la riforma del 2006) ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.
Difatti, dopo la riforma del 2012, con la riscrittura dell’art. 360, n. 5, c.p.c., si è liberata, se si può dire, una casella nell’ambito della nomenclatura dei vizi denunciabili in Cassazione, per cui da questo punto di vista possiamo ritenere che, parlando di “omessa motivazione”, non si corra più il rischio di essere fraintesi, intendendo ciò che il termine “omissione” sta a significare da un punto di vista semantico, ovvero “mancanza”.
Il richiamo ad un precedente delle Sezioni Unite, fatto in premessa dalla Corte di legittimità, è significativo in quanto, in un certo qual modo, ha preannunciato l’accoglimento del ricorso ponendo in rilievo il principio secondo cui “l’anomalia motivazionale”, cui implica la violazione dell’art. 111 della Costituzione, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza laddove vi sia una “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” ovvero vi sia una “motivazione apparente” ovvero un “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili” ovvero vi sia una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibili”.
Per gli Ermellini tale “anomalia motivazionale risiede “…nella parte in cui la Corte di merito … ha ritenuto che la sentenza di prime cure fosse esente dalle proposte censure … in relazione alla ricostruzione del tempo impiegato per la chiamata del 118, alla esclusione dell’esistenza di un ritardo e alla conclusione che una tempestiva chiamata dei soccorritori non avrebbe comunque salvato la vita della piccola …”. In particolar modo la Corte di legittimità ritiene che la motivazione risulti meramente apparente e del tutto generica nella parte in cui, “pur ipotizzando che un minuto dopo il rinvenimento … priva di conoscenza fosse stata effettuata la chiamata al 118, consentendo l’arrivo dei sanitari entro i successivi tre minuti, la Corte territoriale ha escluso che ciò avrebbe evitato il decesso della bambina, sul mero rilievo che al momento in cui l’assistente sociale aveva verificato il malore della piccola il processo di asfissia si era già completato o era in fase avanzata e che non si era in presenza di “una bambina normale ma di persona portatrice di una grave forma di menomazione… che la rendeva più sensibile ad un ulteriore insulto cerebrale, e sicuramente meno reattiva rispetto ad un bambino sano della stessa età“.
Quindi, la Corte focalizza l’attenzione giuridica, così come dedotto dalle ricorrenti, sul fatto che la motivazione addotta dalla Corte territoriale fosse “meramente apparente, generica ed intrinsecamente contraddittoria”, ed “omessa” nel punto in cui non ha motivato del perché si sia discostata dalle conclusioni dell’ausiliare. anche in relazione alla ritenuta non percettibilità dei sintomi di rigurgito-vomito. Su quest’ultimo punto, la stessa Corte ha richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice, nel caso sia stata disposta una consulenza tecnica cd. percipiente può anche disattenderne le risultanze, ma solo ove motivi in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per addivenire alla decisione, specificando le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del C.T.U. (Cass., Ord. 11/1/2021 n. 20000; Cass. 21/12/2017 n. 30733; Cass. 7/08/2014 n. 17757).
Quindi, l’analisi fatta dagli Ermellini ha riguardato essenzialmente la motivazione da un punto di vista “apparente, generica ed intrinsecamente contraddittoria”.
A tal proposito, occorre rilevare che la Corte di legittimità esplica in concreto il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza. Ritiene che tali vizi ricorrono allorquando “…il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., ord. 7/04/2017, n. 9105)…” ovvero “…che è nulla per mancanza – sotto il profilo sia formale che sostanziale – del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti ed atti ad essa allegati, oltre ad una consulenza tecnica, senza riprodurne le parti idonee a giustificare la valutazione espressa (Cass. 23/03/2017, n. 7402)”.
Ad avvalorare tale succinta conclusione si pone appunto l’intervento della stessa Corte di legittimità che sul punto ha tracciato le coordinate per chiarire meglio tali vizi. Secondo la giurisprudenza di legittimità si può parlare di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” quando la stessa motivazione non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. Sez. Un. 3/11/2016 n. 22232; Cass. Sez. Un. 5/4/2016 n. 16599). Mentre, si può parlare di omessa motivazione allorquando “essa sia priva dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali si è basata la decisione, ovvero manchi del tutto, ovvero seppur formalmente esistente le sue argomentazioni siano state svolte in modo talmente contraddittorio da non permetterla di individuarla, cioè riconoscerla come giustificazione del decisum”. (Cass. 18 settembre 2009 n. 20112).
Tuttavia, la Corte di legittimità ha chiarito anche che “…il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass. ord., 30/05/2019, n. 14762)”.
Segnatamente, un precedente giurisprudenziale di legittimità ha ritenuto che “Il giudice d’appello, pur potendo far proprie le argomentazioni addotte dal giudice di primo grado, non può limitarsi a richiamarle genericamente riportandosi al contenuto della decisione impugnata, ma deve esprimere le ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi d’impugnazione proposti dalle parti; la motivazione per relationem è consentita solo quando dalla interpretazione complessiva della sentenza sia possibile desumere che il giudice dell’impugnazione non si sia limitato a riprodurre pedissequamente e acriticamente i motivi della sentenza di primo grado, ma abbia mostrato di farli propri e di tenere in debita considerazione i motivi d’impugnazione. (Cass. Civ. 9/2/1987 n. 1382)
D’altra parte, la stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato che nella redazione della motivazione della sentenza, “il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, essendo necessario e sufficiente, in base all’art. 132, comma 2, n.4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito”. (Cass. 20 novembre 2009, n.24542)
In conclusione, la cassazione della sentenza impugnata ci induce ad una riflessione di dignità giuridica, ossia dell’importanza della motivazione di cui all’art. 132 c.p.c. cui deve contenere l’indicazione specifica sia dei fatti di causa sia dei fatti adottati per la loro prova, la descrizione sia dei comportamenti intellettivi di valutazione delle prove sia dei comportamenti intellettivi di qualificazione dei fatti di causa, nonché gli atti di giudizio statico e finale per ciascuna serie di comportamenti intellettivi. Quindi, rimarcando l’importanza delle precedenti statuizioni di legittimità, si deve ritenere che il giudice non deve limitarsi ad enunciare la sua valutazione, ma deve altresì descrivere il passaggio dallo stato psicologico iniziale di non conoscenza allo stato psicologico finale cui è pervenuta l’attività di acquisizione della conoscenza (Cass. 21 gennaio 2009 n.1447).
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