La complicanza che esclude la responsabilità medica sussiste solo nel caso in cui il peggioramento delle condizioni del paziente non era prevedibile

 
 
Fatto
La vicenda che ha dato origine alla decisione oggetto del presente commento riguarda la cattiva esecuzione di un intervento chirurgico, nello specifico di una biopsia stereotassica, che ha provocato uno stato permanente di coma e non autosufficienza della paziente, fino al suo decesso.
Nel caso di specie, la paziente, una volta ricoverata, veniva sottoposta a un intervento chirurgico di biopsia stereotassica encefalica, considerata necessaria per monitorare una lesione espansiva cerebrale. A seguito del suddetto intervento chirurgico, però, la paziente cadeva in uno stato comatoso, seguito poi da una emi-paresi che la costringeva in una condizione di non autosufficienza fino al decesso, avvenuto circa un anno e mezzo dopo l’intervento.
I familiari della paziente, una volta deceduta, sostenevano che la biopsia fosse stata eseguita scorrettamente, così da determinare la morte della paziente, oltre che la diminuzione e il peggioramento della mediana di sopravvivenza e della qualità della vita della stessa fino al decesso.
In considerazione di ciò, i ricorrenti convenivano dinanzi al Tribunale di Milano i medici che avevano eseguito l’intervento, ritenendoli responsabili del decesso della paziente. Tuttavia, il Tribunale meneghino rigettava le domande attoree.
I familiari della paziente deceduta proponevano, quindi, gravame avverso la Sentenza di prime cure davanti alla Corte d’Appello di Milano, la quale però confermava la decisione di primo grado. Infatti, anche il giudice di secondo grado riteneva che non esistesse un nesso causale tra l’esame bioptico e l’evento morte, come sostenuto invece dai ricorrenti, poiché la patologia di cui era affetta la paziente avrebbe comunque avuto come esito inevitabile il decesso.
Anche la Corte territoriale riteneva, infatti, di aderire alle considerazioni svolte dalla CTU, espletata dinanzi al Tribunale, che riconduceva la condizione di emi-paresi subita dalla paziente all’edema acuto cerebrale e al danno ischemico che colpirono quest’ultima durante l’intervento, ma riteneva che tali complicanze non potevano essere comunque prevenute ed evitate.
Sulla base di tali premesse, la Corte d’Appello riteneva quindi superata la presunzione di colpevolezza ex art. 1218 cod. civ. della struttura sanitaria e rilevava inoltre che il tempo di sopravvivenza della paziente era stato compatibile con la media di vita prevista dalla letteratura medica riguardo alla patologia di cui era affetta.
I familiari della paziente deceduta, non soddisfatti della decisione di secondo grado, decidevano quindi di ricorrere in Cassazione al fine di ottenere una revisione della decisione.
 
La decisione della Corte di Cassazione
I motivi su cui si sviluppa il ricorso alla Corte di Cassazione, proposto dai familiari della paziente, deceduta a seguito dell’intervento chirurgico sopra detto, sono quattro:
(i) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la falsa applicazione di specifiche disposizioni del codice civile e di procedura civile, circa i principi regolanti la ripartizione dell’onere della prova in ambito di responsabilità medica. Nello specifico, la sentenza è censurata là dove ha ritenuto che la condizione di emi-paresi fosse riconducibile a un danno ischemico, e che quest’ultimo fosse una complicanza possibile della biopsia diretta e profonda dell’encefalo, ma non evitabile. Secondo i ricorrenti, infatti, la Corte non avrebbe chiarito il perché si trattasse di una complicanza riconducibile a ischemia e non avente altra origine, e non avrebbe spiegato perché fosse inevitabile.
Secondo la Corte di Cassazione il motivo è infondato poiché già il giudice di secondo grado aveva escluso la correlazione eziologica con l’esame bioptico sulla scorta delle considerazioni svolte nella CTU, secondo cui infatti il decorso della patologia di cui era affetta la paziente non avrebbe potuto avere esito diverso. Anche per quanto riguarda il peggioramento delle condizioni di vita della paziente la Corte territoriale ha escluso un nesso di causalità con la biopsia poiché la condizione di emi-paresi che affliggeva la paziente dopo l’intervento chirurgico sarebbe dipesa da un edema acuto cerebrale e un danno ischemico che si sarebbero verificati durante la biopsia. Queste patologie vengono configurate nella CTU come complicanze previste nel caso di esami del genere, che però non possono essere in alcun modo evitate e prevenute.
Di conseguenza, anche la Corte di Cassazione ha ritenuta esclusa l’esistenza di un nesso eziologico tra l’evento, la biopsia e la condizione di emiparesi, anche in considerazione del fatto che – sempre secondo quanto emerso dalla CTU – l’intervento eseguito configurava una scelta opportuna in relazione alle condizioni in cui si trovava la paziente, e che la biopsia era stata eseguita in modo conforme alle linee guida e alle buone pratiche della comunità scientifica, oltre al fatto che in concreto l’evento era imprevedibile e inevitabile.
La sentenza appare interessante in quanto i giudici Supremi analizzano il tema della “complicanza”.
Secondo gli Ermellini, nel caso di peggioramento delle condizioni del paziente nel corso o dopo l’esecuzione di un intervento, se tale peggioramento non è prevedibile o evitabile integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’art. 1218 c.c.. In particolare, nel caso in cui durante o dopo la conclusione di un intervento subentri un peggioramento delle condizioni di salute del paziente, si possono verificare due possibilità alternative: (i) il peggioramento era prevedibile ed evitabile; (ii) il peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile.
Nel primo caso, sussiste una responsabilità del medico, anche qualora le teorie medico-scientifiche indichino l’evento come una “complicanza”. Nel secondo caso, invece, si avrà una causa non imputabile che esclude la responsabilità del medico, ciò anche qualora le teorie medico-scientifiche non indichino l’evento come una “complicanza”.
Pertanto, posto che nel caso di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria e di lesione del diritto alla salute è onere del danneggiato provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della situazione patologica e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità, nel caso che ci occupa, la Corte di cassazione ha ritenuto che fosse stata provata l’esistenza di una causa imprevedibile e inevitabile comportante la impossibilità di eseguire la prestazione per il sanitario e conseguentemente ha ritenuto incensurabile il ragionamento svolto dalla Corte di merito.
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