Plastic tax e sugar tax: ad un passo dall’entrata in vigore
La nascita della plastic tax. I MACSI sottoposti ad imposta di consumo e le esclusioni previste dal legislatore
Il legislatore unionale è da sempre molto attento alle esigenze di prevenzione del rischio ambientale e, anche nel corso degli ultimi anni, è diverse volte intervenuto, attraverso l’emanazione sia di regolamenti sia di direttive, allo scopo di prevenire danni ad esso diretti e conseguenti allo svolgimento delle attività umane ma anche di ridurre il numero e l’impatto ambientale delle fonti inquinanti, promuovendo la più oculata scelta delle materie prime utilizzate nei processi di fabbricazione ed una più corretta modalità di gestione del ciclo dei rifiuti.
Con la direttiva (UE) n. 2019/904 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, ha imposto agli Stati membri l’adozione di specifiche normative finalizzate a ridurre l’utilizzo (e quindi la presenza all’interno del mercato unico), fra gli altri, di alcune specifiche categorie di «prodotti di plastica monouso», definizione che comprende tutti quei prodotti in tutto o in parte di plastica, non concepiti, progettati o immessi sul mercato per compiere più spostamenti o rotazioni durante la loro vita essendo rinviati a un produttore per la ricarica o riutilizzati per lo stesso scopo per i quali sono stati concepiti (cfr. art. 3 § 1 n. 2 dir. cit.).
La direttiva vincola gli Stati membri ad adottare «le misure necessarie per conseguire una riduzione ambiziosa e duratura del consumo dei prodotti in plastica monouso indicati nella parte A dell’allegato[3]» ed a vietare l’immissione sul mercato di quelli indicati nella parte B del medesimo allegato nonché di tutti i prodotti di plastica oxo-degradabile.
Invero, fra le misure ipotizzate dalla direttiva per ridurre il consumo di tali prodotti non vi è a leva fiscale che, al contrario, è uno degli strumenti individuati a questo fine dal nostro legislatore il quale, con l’art. 1 c. 634 l. 27 dicembre 2019 n. 160 (legge di bilancio 2020), ha istituito l’imposta di consumo sui «Manufatti Con Singolo Impiego» (i c.d. «MACSI») in materiale plastico che hanno o sono destinati a svolgere funzioni di:
contenimento;
protezione;
manipolazione;
consegna;
di merci o di prodotti alimentari e che, indipendentemente dalla loro forma:
sono realizzati con impiego, anche solo parziale, di materie plastiche costituite da polimeri organici di origine sintetica;
e non sono ideati, progettati o immessi sul mercato per compiere uno o più trasferimenti nel corso del loro ciclo di vita o per essere riutilizzati per il medesimo scopo per il quale sono stati progettati.
La particolare tipologia dei beni colpiti da questo nuovo balzello ha portato la generalità degli addetti a lavori a battezzarlo con il nome di «plastic tax». Per mero tuziorismo, occorre precisare che, al di là dell’espressa qualificazione in termini di imposta consumo operata dal legislatore, la plastic tax riveste più che altro le caratteristiche proprie dell’imposta di fabbricazione.
Oltre alla loro destinazione ad uno dei quattro impieghi sopra indicati, il legislatore ha previsto la necessaria sussistenza di altre due condizioni affinché i MACSI siano sottoposti ad imposizione fiscale:
in primo luogo, devono essere costituiti da materie plastiche, definite come «polimeri organici di origine sintetica».
Non occorre che queste siano l’unica o la principale materia prima, come del resto si evince chiaramente dalle parole «anche solo parziale» contenute nel comma richiamato.
La loro necessaria presenza, nondimeno, è il motivo per il quale i contenitori monouso in polpa di celluosa, costituiti da una materia prima naturale ed interamente biodegradabile, non possono essere ritenuti soggetti a questa forma di prelievo fiscale; identico discorso per quelli in bambù, come ad esempio i piccoli vassoi o le bacchette; deve, però, trattarsi di prodotti completamente plastic free, in cui non sia possibile rilevare alcuna traccia di materie platiche dato che, in caso contrario, essi sono gravati da imposta di consumo;
in secondo luogo, devono essere monouso, ossia non specificamente progettati per essere reimpiegati «per lo stesso scopo» per il quale sono stati ideati.
L’identità dell’utilizzo è un elemento di fondamentale importanza posto che, trattandosi di prodotti plastici, essi sarebbero – se correttamente gestiti dal punto di vista ambientale – sì riutilizzabili nell’ambito di innumerevoli processi produttivi ma previa una corretta gestione, dal punto di vista ambientale, del rifiuto.
Ed è proprio questo il passaggio che il legislatore nazionale, aderendo alle esigenze sentite a livello unionale, intende evitare: colpirne il consumo (o, meglio, la produzione) allo scopo di ridurne la presenza sul mercato e, di conseguenza, nel ciclo dei rifiuti.
Rientrano inoltre nel perimetro applicativo della norma (cfr. art. 1 c. 635 l. cit.), e sono dunque sottoposti ad imposta di consumo, ma pur sempre a condizione che siano costituiti (anche in parte) da materie plastiche, i dispositivi che consentono la chiusura, la commercializzazione o la presentazione al pubblico:
dei medesimi MACSI;
o di manufatti costituiti interamente da materiali diversi dalle materie plastiche;
nonché i prodotti semilavorati, comprese le preforme[4], realizzati con l’impiego, anche parziale, di materie platiche ed utilizzati nella produzione dei MACSI.
Come indicato nel secondo periodo dell’art. 1 c. 634 cit., sono invece esclusi dall’applicazione dell’imposta i MASCI che soddisfano almeno una delle seguenti condizioni:
sono compostabili in conformità alla norma UNI EN 13432:2002;
costituiscono dispositivi medici classificati dalla Commissione Unica sui Dispositivi Medici;
sono adibiti a contenere o proteggere i medicinali, non importa – a tale riguardo – che si tratti di medicinali destinato ad uso umano o veterinario.
Nascita ed esigibilità dell’obbligazione tributaria
Pur trattandosi di un’imposta di consumo ‒ o, per lo meno, trattandosi di un’imposta definita tale dal legislatore ‒ la disciplina della plastic tax è, oggi, quasi integralmente contenuta nella legge di bilancio 2020 che, a breve, verrà completata dalla fonte extra ordinem richiamata dall’art. 1 c. 651. E’ infatti prevista l’emanazione di un provvedimento del direttore dell’Agenzia Dogane e Monopoli per la disciplina di materie sì di dettaglio ma pur sempre di importanza cruciale per la gestione del tributo.
Non si ritiene invece ad essa applicabile la direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008 in quanto esclusivamente riferita al regime generale delle accise (tipologia impositiva alla quale non appartengono le imposte di consumo, atteso il loro difetto di armonizzazione a livello unionale) e sussiste più di un dubbio in ordine alla possibilità di applicazione analogica delle disposizioni di cui al d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504[5] che pur regolamenta, agli artt. 61 e ss., le imposte di consumo. A tale riguardo, nondimeno, specie per quanto riguarda i poteri di controllo riconosciuti ai funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, si deve ritenere che tale plesso normativo possa essere comunque applicato, seppur nei limiti della sua compatibilità con la lex specialis.
Nondimeno, come le accise, anche la plastic tax si caratterizza per la discrasia temporale fra il momento della nascita dell’obbligazione tributaria e quello della sua esigibilità. Infatti, se, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1 c. 636 l. 27 dicembre 2019 n. 160, essa nasce contestualmente alla:
fabbricazione;
importazione definitiva nel territorio italiano da un paese extraunionale, ipotesi alla quale si ritiene equiparata l’importazione da un territorio fiscale speciale ai sensi dell’art. 1 § 1 n. 35 RD-CDU;
introduzione nel medesimo italiano da altri Stati membri dell’Unione Europea;
la sua esigibilità è posticipata ad un momento tendenzialmente successivo, ed in particolare a quando i MACSI ‒ indipendentemente dal fatto di essere presentati tal quali o unitamente alle merci o ai prodotti alimentari in essi contenuti ‒ sono immessi in consumo nel territorio nazionale.
Tale circostanza, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1 c. 639 l. cit., si realizza in momenti diversi a seconda che si tratti di MACSI:
fabbricati nel territorio nazionale, nel qual caso coincide con la loro cessione ad altri soggetti nazionali;
provenienti da paesi extraunionali (o da territori fiscali speciali), nel qual caso si ha all’atto della loro importazione definitiva sul territorio nazionale.
In questo caso, peraltro, non si ha, in realtà, alcuna differenziazione temporale fra la nascita dell’obbligazione tributaria e la sua esigibilità;
provenienti da altri Stati membri dell’Unione Europea, ipotesi in cui l’esigibilità si concretizza all’atto dell’acquisto da parte di un operatore economico nazionale o della cessione (da parte dell’operatore economico unionale) ad un consumatore privato nazionale.
Il soggetto obbligato al pagamento e le modalità di assolvimento dell’obbligazione tributaria
L’aliquota della plastc tax è fissata dall’art. 1 c. 640 l. 27 dicembre 2019 n. 160 in misura pari ad € 0,45 per kg. (pari ad € 450,00 per tonnellata) di materia plastica contenuta all’interno dei MACSI ed è dovuta, conformemente a quanto previsto dall’art. 1 c. 637:
per quelli prodotti all’interno del territorio nazionale, dal fabbricante o dal soggetto, residente o non residente, che intenda vendere i prodotti, ottenuti per suo conto in un impianto di produzione nazionale, ad altri soggetti nazionali[6].
È possibile (meglio, è auspicabile) che, nel processo di fabbricazione siano impiegati, sostanzialmente quali materie prime, altri MACSI sui quali l’imposta è già stata assolta in precedenza, se del caso anche da altro soggetto.
Ebbene, in questa ipotesi (cfr. art. 1 c. 638 l. cit.), il soggetto che materialmente ne opera la produzione non è considerato «fabbricate» a fini impositivi con la conseguenza che, qualora nel processo produttivo vengono impiegati solo MACSI ad imposta già assolta, non solo non deve corrispondere alcunché (cfr. art. 1 c. 642 ultimo periodo l. cit.) ma non è nemmeno tenuto ad assolvere gli oneri formali introdotti dalla l. 30 dicembre 2020 n. 178; peraltro, proprio per tale ragione, è previsto che i tali soggetti possano essere previamente censiti (cfr. art. 1 c. 638 ultimo periodo l. 27 dicembre 2019 n. 160);
per quelli provenienti da paesi extraunionali (o da territori fiscali speciali), dall’importatore;
per quelli provenienti da altri Stati membri dell’Unione Europea, dell’operatore nazionale che li acquista nell’esercizio di un’attività economica o dall’operatore di altro Stato membro che li cede ad un consumatore finale italiano.
Le concrete modalità di assolvimento dell’imposta variano in ragione della categoria alla quale appartiene il soggetto su cui grava l’obbligazione tributaria.
Coloro i quali importano MACSI da paesi extraunionali (o da territori fiscali speciali) la assolvono direttamente in sede di dichiarazione doganale di importazione (cfr. art. 1 c. 646 l. cit.) e, in questo caso, essa viene a tutti gli effetti considerata un diritto di confine, secondo quanto previsto dall’art. 34 c. 2 TULD.
Al contrario, i produttori nazionali e coloro i quali introducono i MACSI da altri Stati membri dell’Unione Europea, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1 c. 641 l. 27 dicembre 2019 n. 160, la assolvono con cadenza trimestrale previa presentazione di una dichiarazione periodica. Essi, infatti, devono presentare all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, entro la fine del mese successivo a ciascun trimestre solare, una dichiarazione indicante:
gli elementi necessari per la determinazione del carico tributario;
i quantitativi di materie plastiche già assoggettati ad imposta di consumo (da parte di precedenti fabbricanti o importatori o da chi li ha comunque introdotti nel territorio nazionale) ed utilizzati quali materia prima o semilavorato nel corso del processo di fabbricazione;
e, sempre entro il medesimo termine, procedere al versamento di quanto dovuto attraverso la delega F.24, con possibilità di compensazione mediante utilizzo di crediti vantati a titolo di altre imposte o contributi previdenziali o assistenziali.
Fra i soggetti obbligati vi sono gli operatori intraunionali che cedono i MACSI a consumatori finali stabiliti nel territorio italiano (B2C): considerato che questi ultimi non sono operatori economici né si può pretendere che agiscano come tali, gli obblighi dichiarativi e di versamento gravano, in questo caso, a carico dell’operatore intraunionale che dovrà pertanto (cfr. art. 1 cc. 641 e 645 l. cit.):
trasmettere la dichiarazione trimestrale per il tramite del proprio rappresentante fiscale;
effettuare il versamento del dovuto esclusivamente mediante utilizzo della delega F.24, per il tramite del proprio rappresentante fiscale il quale, però, è solidalmente obbligato con il proprio rappresentato al pagamento di quanto dovuto
In questa ipotesi, la soggettività fiscale in Italia dell’operatore economico intraunionale è limitata solo a quanto strettamente necessario all’applicazione della plastic tax senza alcuna conseguenza sul regime IVA dell’operazione posta in essere la quale, in quanto diretta verso un cessionario non soggetto passivo IVA, non può essere qualificata quale acquisto intacomunitario ai sensi dell’art. 39 d.l. 30 agosto 1993 n. 331 e sarà pertanto colpita da IVA nel paese intraunionale di provenienza.
Nel caso in cui l’importo dovuto a titolo d’imposta sia inferiore ad € 25,00 il contribuente, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1 c. 643 l. cit., non è tenuto né al suo pagamento né tantomeno alla presentazione della dichiarazione trimestrale di cui al precedente c. 641. Proprio il riferimento a tale comma, esclude dal beneficio gli importatori di MACSI che, come detto, devono corrispondere l’imposta contestualmente agli altri diritti di confine, mediante presentazione della dichiarazione doganale di vincolo a regime.
La plastic tax, inoltre, non è dovuta in relazione ai MACSI ceduti direttamente dal fabbricante (cfr. art. 1 c. 642 primo periodo l. cit.):
per il consumo in altri Stati membri dell’Unione Europea;
o esportati verso paesi extraunionali (o verso territori fiscali speciali).
Se il MACSI viene prodotto ed esportato all’estero o inviato verso il territorio di altro Stato membro dell’Unione Europea direttamente dal fabbricante nulla quaestio: salva la necessità di provare, con le modalità che a breve vedremo, l’effettività dell’operazione commerciale e del trasporto, non si pongono particolari problemi atteso che l’obbligo tributario non è stato ancora assolto.
Diverso il caso (cfr. art. 1 c. 642 secondo periodo l. cit.) in cui oggetto di cessione con spedizione verso l’estero sono MACSI per i quali la plastic tax è già stata corrisposta da un soggetto diverso rispetto a quello che ne effettua la cessione al consumo per altri Stati membri dell’Unione Europea o per l’esportazione verso paesi extraunionali (o verso territori fiscali speciali). In tale ipotesi, l’imposta può essere richiesta a rimborso da parte dell’esportatore o del cedente a condizione che sia:
evidenziata nella documentazione commerciale a tale fine emessa che – pertanto – dovrà indicare con esattezza l’importo assolto «a monte» (e, si ritiene, anche il soggetto che ha effettuato il pagamento considerato che, in mancanza, non sarebbe possibile per l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli verificare l’effettiva sussistenza del diritto al rimborso);
fornita la prova del suo avvenuto pagamento;
come ovvio, fornita la prova che i prodotti sono effettivamente usciti dal territorio nazionale.
Curiosamente, il legislatore non ha previsto il caso in cui ad esportare o a cedere verso il territorio di altro Stato unionale i MACSI ad imposta assolta sia lo stesso fabbricante: si tratta, invero, di una ipotesi non di impossibile verificazione che, a parere di chi scrive, non può essere certo trattata in modo differente rispetto a quanto appena sopra visto.
Il controllo sul corretto assolvimento dell’imposta
Trattandosi di un’imposta di consumo (anche se il suo atteggiarsi la rende più che altro classificabile fra le imposte di produzione), le competenze in materia di accertamento, verifica e controllo competono all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (cfr. at. 1 c. 647 l. 27 dicembre 2019 n. 160) i cui funzionari hanno facoltà di accedere, con le modalità previste dal combinato disposto degli artt. 18 d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 e 51 e 52 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, presso gli impianti ove ha luogo la produzione dei MACSI al fine di verificare la corretta applicazione della normativa sopra richiamata; i controlli possono essere svolti anche presso i fornitori di plastica riciclata al precipuo fine di riscontrare la veridicità delle dichiarazioni rese ai soggetti obbligati in relazione al materiale impiegato nel corso del processo di produzione e rinveniente da riciclo.
Come sempre, la Guardia di finanza ha funzione meramente concorrente nelle attività di verifica e controllo ma non in quelle di accertamento posto che, come noto, la gestione del tributo non le compete.
Qualora dai controlli sopra indicati emerga la totale o parziale inottemperanza agli obblighi fiscali, al recupero ad imposizione (cfr. art. 1 c. 648 l. cit.) provvede l’ Agenzia delle Dogane e dei Monopoli mediante emissione di un avviso di pagamento, contenente l’intimazione a corrispondere quanto dovuto entro il termine di 30 giorni decorrenti dalla notifica; termine scaduto il quale, la medesima Agenzia deve procedere a riscossione coattiva ai sensi del d.lgs. 13 aprile 1999 n. 112 mediante affidamento del carico ad Agenzia Entrate Riscossioni S.p.A.. Al fine di evitare esazioni antieconomiche, non si fa luogo all’iscrizione a ruolo ed alla riscossione del credito nel caso in cui l’importo dovuto a titolo di imposta, interessi e sanzioni amministrative sia pari o inferiore ad € 10,00 «per ciascun credito» (cfr. art. 1 c. 648 ultimo periodo l. cit.).
Il termine decadenziale per procedere al recupero è di cinque anni (cfr. art. 1 c. 649 l. cit.), decorrenti dal primo giorno successivo alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione trimestrale omessa o infedele o per l’effettuazione del pagamento omesso; esso rimane interrotto in caso di esercizio dell’azione penale, salvo riprendere a decorrere ex novo solo all’atto del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Il termine quinquennale non pare applicabile nel caso in cui la plastc tax sia riferita a MACSI oggetto di importazione posto che, in tale ipotesi, trovano applicazione i termini previsti dal CDU e dal TULD.
L’arsenale punitivo previsto in caso di mancato pagamento della plastic tax è regolato dall’art. 1 c. 650 l. cit. e si caratterizza per la stigmatizzazione dei seguenti comportamenti:
il mancato pagamento dell’imposta alle scadenze previste, è prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria di importo compreso fra due e cinque volte l’importo evaso, con un minimo di € 250,00;
il tardivo pagamento di quanto dovuto, per il quale è comminata una sanzione pecuniaria di importo pari al 25% dell’imposta tardivamente versata con un minimo di € 125,00.
Non è chiaro se, in tale ipotesi, possa trovare applicazione la riduzione prevista dall’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471 per il caso del ritardo inferiore a 90 giorni o l’ulteriore riduzione, pari ad un quindicesimo per ogni giorno di ritardo, previsto dalla medesima disposizione in caso di ritardo non superiore a quindici giorni. Il dato testuale dell’art. 13 cit. porta a non escludere tale possibilità atteso che, come noto, si tratta di una disposizione di generale applicazione;
la tardiva presentazione della dichiarazione trimestrale di cui al c. 641 nonché ogni altra violazione delle disposizioni inerenti all’applicazione dell’imposta, è punita con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di importo compreso fra € 250,00 ed € 2.500,00.
Il legislatore non ha previsto una specifica ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione trimestrale. Nondimeno, sarebbe del tutto incongruo ritenere non punibile un simile comportamento; chi scrive, pertanto, ritiene che la mancata presentazione della dichiarazione de qua possa agevolmente essere sussunta nella nozione di «di ogni altra disposizione» e sanzionata conseguentemente.
Si tratta, ad ogni buon conto, di sanzioni di tipo tributario che devono essere contestate ed irrogate immediatamente ai sensi dell’art. 18 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472: l’atto di irrogazione, pertanto, deve essere emesso contestualmente all’invito a pagamento.
Forti dubbi sussistono in ordine alla possibilità di applicare quanto previsto dall’art. 61 c. 4 d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 («per le violazioni dell’obbligo del pagamento dell’imposta si applicano le sanzioni previste dagli articoli 40 e 44 […]») che darebbe luogo alla possibilità di comminare una sanzione penale anche ad alcune ipotesi di mancato pagamento della plastic tax. I dubbi, in particolare, sono conseguenza del fatto che gli artt. 40 e 44 sono riferiti ai soli prodotti energetici, ossia ad una tipologia di beni del tutto diversa rispetto ai MACSI.
L’apparato sanzionatorio sopra esaminato vale, però solo con riferimento ai MACSI che non provengono da paesi extraunionali (o da territori fiscali speciali ); per questi ultimi, fermi i poteri di controllo spettanti ai funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, l’assolvimento dell’imposta avviene al momento della presentazione della dichiarazione di vincolo a regime e, di conseguenza, è applicabile l’apparato sanzionatorio ordinariamente previsto per le dichiarazioni doganali, con la conseguenza che il mancato assolvimento del carico fiscale può integrare, a seconda dei casi:
un’ipotesi di contrabbando (amministrativo o penale, a seconda dei casi) allorché il comportamento tenuto dal responsabile della violazione sia connotato da dolo;
l’integrazione della violazione amministrativa di cui all’art. 303 TULD, qualora sia stato errato uno dei quattro elementi dell’accertamento – qualità, quantità, origine e valore – indicati nella dichiarazione doganale ma il comportamento del soggetto agente sia connotato da semplice colpa;
l’integrazione della violazione amministrativa di cui all’art. 13 c. 1 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471 nel caso in cui, agendo in colpa, questi non abbia errato l’indicazione degli elementi dell’accertamento ma solo corrisposto la plastic tax in un importo inferiore rispetto a quello realmente dovuto.
è possibile che il contribuente abbia erroneamente versato un’imposta maggiore rispetto a quella gravante a suo carico: in tale ipotesi, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1 c. 649 l. cit., può presentare istanza di rimborso entro il termine perentorio di due anni decorrenti dalla data dell’effettivo pagamento.
L’attuazione e l’entrata in vigore della plastic tax
La disciplina dettata dal legislatore è completa nei suoi elementi essenziali ma richiede, per la sua puntuale applicazione, alcuni interventi di dettaglio la cui adozione, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1 c. 651 l. 27 dicembre 2019 n. 160 è stata attribuita ad una fonte extra ordinem: un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Questi, con suo atto, oltre a provvedere all’individuazione delle voci della nomenclatura combinata corrispondenti ai MACSI sottoposti alla plastic tax, è chiamato a determinare:
il contenuto della dichiarazione trimestrale;
le modalità per il versamento dell’imposta;
le modalità di registrazione dei soggetti obbligati;
le modalità per la tenuta della contabilità a carico dei soggetti obbligati;
le modalità per la trasmissione, per via telematica, dei dati di contabilità;
la determinazione, anche forfetaria, dei quantitativi di MACSI che contengono altre merci introdotti nel territorio dello Stato;
l’individuazione, ai fini del corretto assolvimento dell’imposta, degli strumenti idonei alla certificazione del quantitativo di plastica riciclata presente nei MACSI[7] nonché della loro compostabilità;
le modalità per il rimborso dell’imposta;
le modalità per lo svolgimento delle attività di controllo da parte dei funzionari doganali e dei militari della Guardia di finanza;
le modalità per la notifica degli avvisi di pagamento di cui al comma 648.
Inoltre, con provvedimento interdirettoriale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e dell’Agenzia delle Entrate dovranno essere individuati i dati aggiuntivi da indicare nelle fatture di acquisto e cessione di MACSI e definito il protocollo di scambio informativo fra le due Agenzie.
La concreta entrata in vigore della plastic tax, stante quanto previsto dall’art. 1 c. 652 l. cit., era subordinata proprio all’emissione, entro il mese di maggio 2020, del citato atto direttoriale: nella sua versione originale, avrebbe dovuto entrare in vigore a decorrere dal primo giorno del secondo mese successivo alla pubblicazione di tale provvedimento. Successivamente, l’art. 133 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (convertito in l. 17 luglio 2020 n. 77) ha modificato l’art. 1 c. 652 cit. posticipandone l’entrata in vigore al 1° gennaio 2021; tale data è stata nuovamente posticipata ad opera dell’art. 1 c. 1084 l. 30 dicembre 2020 n. 178 con la conseguenza che la plastic tax dovrebbe ora entrare in vigore il 1° luglio 2021.
La sugar tax.
La nascita della sugar tax. I prodotti sottoposti e le esclusioni previste dal legislatore
Se la plastic tax può essere ricondotta, seppure con qualche difficoltà, alla necessità di attuare la direttiva (UE) n. 2019/904 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019, nessuna esigenza di adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello unionale può essere rinvenuta alla base dell’introduzione, ad opera l’art. 1 cc. 661 e ss. l. 27 dicembre 2019 n. 160, di un’ulteriore imposta volta a colpire il consumo di alcune particolari categorie di bevande analcoliche, genericamente denominate «bevande edulcorate»: da qui, il nome di «sugar tax».
Numerosi paesi al mondo ‒ circa una cinquantina ‒ già oggi applicano speciali forme di imposizione su tali prodotti: l’antesignano è stato Regno di Norvegia, fin dal lontano 1922. Fra gli Stati membri, la pole position va invece all’Ungheria che nel 2011 ha introdotto un’imposta di consumo (di importo pari ad € 0,22 per litro) sulle bevande che contengono zucchero in misura superiore allo 0,5% del peso, ottenendo così una consistente riduzione del loro consumo. Altri Stati membri hanno seguito l’esempio dell’Ungheria: la Francia nel 2012, il Belgio nel 2016, il Portogallo nel 2017, mentre Estonia, Irlanda e Regno Unito hanno introdotto consimili forme di imposizione fisale nel 2018. In ambito unionale, al di là di generiche raccomandazioni all’esigenza di adottare politiche idonee a ridurre il consumo di bevande zuccherate e, in genere, l’offerta di alimenti ricchi di zuccheri, non si ha notizia di interventi normativi volti ad uniformare l’azione degli Stati membri.
Quella istituita dal legislatore italiano può essere definita una imposta di consumo “pura” (come vedremo, infatti, non prevede alcuna separazione fra il momento della nascita e quello dell’esigibilità dell’obbligazione tributaria) e trova la sua disciplina (quasi) in toto nella legge di bilancio 2020 e nelle fonti di secondo grado da questa richiamate (il decreto interministeriale previsto dall’art. 1 c. 667 ed il decreto ministeriale previsto dall’art. 1 c. 675 l. cit.).
Ad essa non è applicabile la direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008 in quanto esclusivamente riferita al regime generale delle accise, tipologia alla quale non appartengono le imposte di consumo, atteso il loro difetto di armonizzazione a livello unionale; tantomeno, se non nei limiti della compatibilità con la lex specialis, sembrano poter essere applicate le disposizioni di cui al d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 o quelle della plastic tax: pur appartenendo al medesimo genus delle imposte di consumo, il fatto che il legislatore abbia approntato, per ciascuna di esse, un separato plesso regolamentare tendenzialmente completo e che anche le fonti normative secondarie non siano collocate al medesimo livello ‒ per la tassa sulle bevande edulcorate si tratta di un decreto interministeriale e di un decreto ministeriale mentre, per la plastic tax, di un atto del direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ‒ pare ostare a qualsivoglia osmosi.
L’elenco delle bevande colpite dalla sugar tax è contenuto nell’art. 1 c. 662 l. 27 dicembre 2019 n. 160, che indica i prodotti finiti ed i prodotti destinati ad essere usati tal quali che soddisfano contemporaneamente le seguenti condizioni:
essere classificabili nelle voci di nomenclatura combinata 2009 (succhi di frutta, compreso il succo d’uva, o di ortaggi e legumi, senza aggiunta di alcole, anche addizionati di zuccheri o di altri dolcificanti) e 2202 (acque, comprese le acque minerali e le acque gassate, con aggiunta di zucchero o di altri dolcificanti o di aromatizzanti, ed altre bevande non alcooliche, esclusi i succhi di frutta o di ortaggi della voce 2009);
essere già condizionati per la vendita al minuto e destinati al consumo alimentare umano;
essere ottenuti con l’aggiunta di edulcoranti;
e, in ultimo, avere un titolo alcolometrico pari o inferiore all’1,2% del volume.
A dispetto del forte accento posto dal governo, attraverso i mass media, sulla necessità di dissuadere i consumatori dall’eccessivo uso di bevande contenenti zucchero e prevenire conseguentemente l’insorgere di gravi patologie (dall’obesità alle malattie cardiovascolari), l’imposta colpisce, in generale, le bevande edulcorate, ossia contenenti non solo zucchero ma anche altre sostanze, non importa se di origine naturale o sintetica, in grado di conferire loro un sapore dolce.
L’elenco delle sostanze edulcoranti la cui presenza integra il presupposto impositivo è contenuto nel d.i. 15 ottobre 2020 del Ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero della Salute, che indica le seguenti:
il destrosio;
il fruttosio;
il lattosio;
il saccarosio;
l’acesulfame K;
l’advantame;
l’aspartame;
l’acido ciclamico ed i suoi Sali;
l’eritriolo;
i glicosidi steviolici;
la neoesperidina DC;
il neotame;
le saccarine ed i suoi Sali;
il sale di aspartame – acesulfame;
il sucralosio;
la taumatina;
e, per ciascuna di esse, viene riportato il potere dolcificante convenzionale rispetto al saccarosio e la quantità equivalente rispetto ad un grammo di saccarosio.
Si tratta di un catalogo chiuso, insuscettibile di interpretazione analogica e pertanto la presenza, nelle bevande, di sostanze in esso non richiamate ‒ seppure ad effetto edulcorante ‒ non integra il presupposto impositivo; nondimeno, trattandosi di un d.i., è più che evidente come esso possa essere rapidamente e facilmente modificato.
L’indicazione del differente potere dolcificante di ciascuna sostanza è funzionale all’applicazione del successivo art. 1 c. 667 in forza del quale il contenuto complessivo di edulcoranti ‒ che, come vedremo a breve, costituisce la misura della base imponibile ‒ è determinato proprio con riferimento al loro potere dolcificante, «stabilito convenzionalmente, per ciascun sostanza, in relazione al rapporto fra la concentrazione di una soluzione di saccarosio e quella della soluzione edulcorante avente la stessa intensità di sapore».
Nascita ed esigibilità dell’obbligazione tributaria
A differenza di quanto accade per la plastic tax, la sugar tax non presenta sfasamento temporale fra la nascita dell’obbligazione tributaria e la sua esigibilità: entrambi gli eventi si realizzano contemporaneamente ossia, come previsto dall’art. 1 c. 663 l. 27 dicembre 2019 n. 160:
all’atto della cessione del prodotto, non importa se a titolo oneroso o gratuito, a consumatori stabiliti nel territorio italiano o a ditte nazionali esercenti il commercio che ne effettuano la rivendita, da parte del fabbricante nazionale o, se diverso, del soggetto nazionale che provvede al loro condizionamento o dal soggetto, residente o non residente nel territorio italiano, per conto del quale le bevande sono ottenute dal fabbricante o dall’esercente dell’impianto di condizionamento[8];
all’atto del suo ricevimento da parte del soggetto acquirente nazionale, se si tratta di bevande edulcorate provenienti da altri Stati membri dell’Unione Europea;
all’atto dell’importazione definitiva sul territorio nazionale, in caso di bevande edulcorate provenienti da paesi extraunionali (o da territori fiscali speciali).
Non determinano invece la nascita dell’obbligazione tributaria (cfr. art. 1 c. 666 primo periodo l. cit.) la cessione delle bevande in parola, operata direttamente dal fabbricante nazionale, per il consumo in altri Stati membri dell’Unione Europea o in paesi extaunionali, ovviamente a condizione che sia fornita adeguata prova del trasporto al di fuori del territorio nazionale e, in caso di esportazione, del corretto assolvimento delle formalità doganali.
è invece esente da imposta (cfr. art. 1 c. 666 secondo periodo l. cit.) la fabbricazione nel territorio nazionale, l’introduzio-ne in esso con provenienza da altri Stati membri dell’Unione Europea o l’importazione da territori fiscali speciali o da paesi extraunionali, di prodotti finiti aventi un contenuto complessivo di edulcoranti pari o inferiore a 25 gr. per litro o di prodotti predisposti ad essere usati previa diluzione con un contenuto complessivo di edulcoranti pari o inferiore a 125 gr. per kg..
Con tale ultima disposizione il legislatore ha inteso creare una sorta di franchigia impositiva finalizzata ad indurre un ripensamento dei processi produttivi e la conseguente immissione in consumo di bevande con un ridotto contenuto di prodotti edulcoranti. Non è però chiaro se ai fini del computo delle soglie di cui sopra debbano essere prese in considerazione tutte le sostanze edulcoranti (naturali o artificiali) contenute nel prodotto o solo quelle artificiali: la seconda soluzione sembra essere quella preferibile anche alla luce del (dichiarato) telos legislativo, ma sul punto non esiste ancora alcuna prassi applicativa.
Il soggetto obbligato al pagamento dell’imposta e le modalità di assolvimento dell’obbligazione tributaria
La sugar tax, fissata dall’art. 1 c. 665 l. 27 dicembre 2019 n. 160, in € 10,00 per ettolitro di prodotto finito ed in € 0,25 per kg. per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione, è dovuta, conformemente a quanto previsto dall’art. 1 c. 664:
per le bevande edulcorate prodotte sul territorio nazionale, dal fabbricante o, se diverso, dal soggetto nazionale che provvede al loro condizionamento o dal soggetto, residente o non residente in Italia, per conto del quale esse sono ottenute dal fabbricante o dall’esercente dell’impianto di condizionamento;
per quelle provenienti da altri Stati membri dell’Unione Europea, dall’acquirente;
per quelle provenienti da Stati non facenti parte dell’Unione Europea o da territori fiscali speciali, dall’importatore.
A differenza di quanto accade per la plastic tax, non è prevista l’ipotesi in cui il prodotto sia fornito da un soggetto intraunionale non stabilito in Italia a consumatori finali italiani.
Questa tripartizione riverbera conseguenze di grande rilievo sulle modalità attraverso le quali si deve procedere all’accertamento ad al pagamento del tributo. Bisogna infatti distinguere due ipotesi, in quanto:
gli appartenenti alle prime due categorie, ossia:
i fabbricanti nazionali, coloro i quali provvedono al condizionamento delle bevande prodotte nel territorio nazionale ed i committenti;
gli acquirenti di bevande provenienti da altri Stati membri dell’Unione Europea;
sono tenuti, anteriormente al realizzarsi del primo presupposto impositivo, a richiedere all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli la loro preventiva registrazione (cfr. art. 1 c. 668 l. cit.) ed ottenere così un codice identificativo univoco.
Si tratta di un obbligo formale ma di cruciale importanza in quanto volto a consentire all’Amministrazione di censire gli operatori che fabbricano, condizionano o ordinano la produzione o il condizionamento di bevande edulcorate prodotte sul territorio nazionale o che le introducono da altri Stati membri dell’Unione Europea.
Questi soggetti, ai sensi di quanto indicato dal successivo art. 1 c. 669 l. cit., provvedono al pagamento dell’imposta in autoliquidazione: sono infatti obbligati a presentare all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con cadenza mensile (ossia entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento), una dichiarazione riportante tutti gli elementi necessari all’accertamento del carico fiscale ed a provvedere, entro il medesimo termine, al pagamento di quanto dovuto.
A differenza di quanto accade per la plastic tax, ove in modo specifico viene indicato il necessario ricorso della delega F.24, per la sugar tax il legislatore non ha affrontato direttamente l’argomento delle modalità di pagamento preferendo, al contrario, demandarne l’individuazione ad apposito decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’Economia (cfr. art. 1 c. 675 l. cit.);
per coloro i quali, invece, importano bevande edulcorate da un paese extraunionale (o da un territorio fiscale speciale), non è ‒ a rigore, ma ulteriori disposizioni potrebbero essere contenute del d.m. al quale si è appena fatto cenno ‒ previsto alcun obbligo di preventiva identificazione e di dichiarazione periodica e ciò in quanto l’imposta viene in questo caso assolta, volta per volta, all’atto della presentazione della formalità doganale.
L’art.1 c. 670 cit., infatti, prevede che, l’imposta sia accertata e riscossa dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli «con le modalità previste per i diritti di confine»: si tratta della semplice e meccanica applicazione di quanto previsto dall’art. 34 c. 2 TULD.
Il controllo sul corretto assolvimento dell’imposta
Come per le altre imposte di consumo, anche per la sugar tax le competenze in materia di accertamento, verifica e controllo competono all’ Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (cfr. art. 1 c. 671 l. 27 dicembre 2019 n. 160) i cui funzionari, così come i militari della Guardia di finanza, hanno facoltà di accedere presso gli impianti di produzione, di condizionamento o di deposito allo scopo di acquisire ogni elemento utile ai fini della sua corretta applicazione. In quella sede, inoltre, possono procedere al prelievo (gratuito) di idonee campionature di prodotto allo scopo di accertare il contenuto complessivo di edulcoranti presenti e determinare così il corretto carico fiscale. In ogni caso, la Guardia di finanza ha solo funzione concorrente nelle attività di verifica e controllo ma non in quelle di accertamento.
Nel caso in cui dai controlli sopra indicati emerga la totale o parziale inottemperanza agli obblighi fiscali, il recupero dell’imposta (cfr. art. 1 c. 672 l. cit.) è operato dall’ Agenzia delle Dogane e dei Monopoli mediante emissione di un avviso di pagamento contenente l’intimazione a corrispondere quanto dovuto entro il termine di 30 giorni decorrenti dalla notifica, sotto pena di riscossione coattiva ai sensi del d.lgs. 13 aprile 1999 n. 112. Allo scopo di evitare esazioni antieconomiche, è stato fissato in € 30,00 l’importo complessivo a titolo di imposta, interessi e sanzioni amministrative al di sotto del quale non si deve far luogo ad iscrizione a ruolo ed a conseguente riscossione coatta (cfr. art. 1 c. 673 ultimo periodo l. cit.).
Il termine decadenziale per procedere al recupero è di cinque anni (cfr. art. 1 c. 672 secondo periodo l. cit.) decorrenti dalla data di omesso versamento; data che coincide, come abbiamo già visto esaminando l’art. 1 c. 669 l. cit., con quella entro la quale l’operatore deve presentare la dichiarazione mensile. Questo termine, si badi bene, non vale in caso di bevande edulcorate importate da paesi extraunionali (o da territori fiscali speciali), per le quali le procedure di accertamento restano disciplinare dal CDU e dal TULD.
L’elenco delle violazioni conseguenti al mancato corretto assolvimento della sugar tax è contenuto nell’art. 1 c. 674 l. cit. che stigmatizza i seguenti comportamenti
il mancato pagamento dell’imposta alle scadenze previste, punito con una sanzione pecuniaria di importo compreso fra due e cinque volte l’importo evaso, con un minimo di € 250,00;
il tardivo pagamento dell’imposta dovuta, per il quale è prevista la comminazione di una sanzione pecuniaria di importo pari al 25% dell’imposta tardivamente versata con un minimo di € 150,00. Anche in questo caso, come per la plastic tax, non è ancora ben chiaro se possano trovare applicazione le riduzioni previste dall’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471;
la tardiva presentazione della dichiarazione mensile di cui al c. 669 nonché ogni altra violazione delle disposizioni inerenti all’applicazione dell’imposta, per i quali è prevista l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di importo compreso fra € 250,00 ed € 2.500,00.
Anche in questo caso, la mancata previsione dell’omessa presentazione della dichiarazione non è in sé impediente la sua concreta punizione, trattandosi di fattispecie sussumibile tra le «altre violazioni» delle disposizioni inerenti all’applicazione dell’imposta.
Si tratta di sanzioni di tipo tributario, soggette ad obbligatoria contestazione ed irrogazione immediate ai sensi dell’art. 18 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 e, pertanto, l’atto di irrogazione deve essere emesso contestualmente all’invito a pagamento. Esse non si trovano applicazione nel caso in cui l’evasione della sugar tax sia riferibile a prodotti provenienti da paesi extraunionali (o da territori fiscali speciali) per i quali le procedure di accertamento e riscossione sono governate dalle medesime regole applicabili ai diritti di confine e, pertanto, anche l’arsenale sanzionatorio applicabile è quello previsto dal TULD e, più in generale, quello applicabile alle dichiarazioni doganali; ne consegue che, in tali ipotesi, il suo mancato pagamento può comportare, a seconda dei casi:
un’ipotesi di contrabbando (amministrativo o penale, a seconda dei casi), se il responsabile della violazione ha agito con dolo;
l’integrazione della violazione amministrativa di cui all’art. 303 TULD, nel caso in cui sia stato colposamente errato uno dei quattro elementi dell’accertamento – qualità, quantità, origine e valore – indicati nella dichiarazione doganale;
o l’integrazione della violazione amministrativa di cui all’art. 13 c. 1 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471 nel caso in cui, agendo in colpa, abbia correttamente redatto la dichiarazione doganale (limitatamente agli elementi di quantità, qualità, origine e valore) corrisposto però l’imposta in un importo inferiore rispetto al dovuto.
è possibile che il contribuente abbia erroneamente versato un’imposta maggiore rispetto al dovuto, nel qual caso (cfr. art. 1 c. 673 l. cit.) può presentare istanza di rimborso entro il termine perentorio di due anni decorrenti dalla data dell’effettivo pagamento.
Curiosamente, il legislatore non ha disciplinato il caso dell’esportazione del territorio unionale o della spedizione verso il territorio di altro Stato membro dell’Unione Europea di bevande edulcorate già schiave d’imposta; la sua natura di imposta di consumo rende difficile ipotizzare che, in tali circostanze, il contribuente non abbia diritto al rimborso di quanto pagato a monte. Il vuoto normativo potrebbe, a parere di chi scrive, essere colmato mediante ricorso all’applicazione dell’art. 14 c. 6 d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504.
L’attuazione e l’entrata in vigore della sugar tax
Come per la plastic tax, anche in questo caso la disciplina contenuta nella l. 27 dicembre 2019 n. 160 necessita, per la sua concreta attuazione, di alcuni interventi di dettaglio la cui previsione è stata demandata (cfr. art. 1 c. 675) ad apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze di natura non regolamentare che, nelle intenzioni originarie, avrebbe dovuto essere pubblicato entro il mese di agosto 2020 ma che, ad oggi, non risulta essere stato ancora emanato.
Con tale provvedimento, in particolare, dovranno essere disciplinati:
le modalità per il pagamento dell’imposta;
gli adempimenti contabili a carico dei soggetti obbligati;
le modalità per la trasmissione, anche in via telematica, dei dati contabili;
le modalità per la notifica degli avvisi di pagamento;
le modalità per lo svolgimento delle attività di controllo da parte dei funzionari dell’Agenzia Dogane Monopoli e della Guardia di finanza;
eventuali disposizioni specifiche in materia di installazione di strumenti di misura dei quantitativi di bevande edulcorate prodotte o condizionale e di documentazione di accompagnamento dei prodotti sottoposti ad imposta.
L’originario termine di entrata in vigore della sugar tax era subordinato (cfr. art. 1 c. 676 l. cit.) all’emissione del citato decreto ministeriale: in particolare ed individuato nel primo giorno del secondo mese successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. L’art. 133 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (convertito in l. 17 luglio 2020 n. 77) ha modificato l’art. 1 c. 676 cit. rinviando l’entrata in vigore al 1° gennaio 2021. Tale termine è stato, però, nuovamente prorogato al 1° gennaio 2022 ad opera dell’art. 1 c. 1086 l. 30 dicembre 2020 n. 178.
Note
[1] Breve biografia dell’Autore. Francesco Ferruccio Pittaluga è nato a Genova nel 1973. Laureatosi in Giurisprudenza nel 1996, ha conseguito master post lauream in Diritto tributario, in Diritto amministrativo e in Diritto penale. Abilitato all’esercizio della professione di doganalista e prolifico saggista in ambito giuridico, in particolare in materia fiscale e doganale, ha prestato servizio presso numerose pubbliche amministrazioni locali e nazionali.
[2] Pur garantendo la massima affidabilità riguardo al contenuto dell’articolo, l’Autore non risponde dei danni derivanti dall’uso dei dati e delle notizie ivi contenuti. L’articolo rispecchia esclusivamente l’interpretazione dell’Autore, e non impegna in modo alcuno l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e può non coincidere con la prassi ufficiale di quest’ultima.
[3] Tazze per bevande, inclusi i relativi tappi e coperchi; contenitori per alimenti, ossia recipienti quali scatole con o senza coperchio, destinati al consumo immediato, sul posto o da asporto, generalmente consumati direttamente dal recipiente e pronti per il consumo senza ulteriore preparazione, per esempio cottura, bollitura o riscaldamento, compresi i contenitori per alimenti tipo fast food o per altri pasti pronti per il consumo immediato, a eccezione di contenitori per bevande, piatti, pacchetti e involucri contenenti alimenti.
[4] Le preforme sono i manufatti ottenuti dallo stampaggio del PET atto ad essere trasformato in bottigliette o contenitori per bevande attraverso il procedimento di insufflazione.
[5] Benedetto Santacroce ed Ettore Sbandi, “Plastic Tax e Sugar Tax”, www.studiosantacroce.eu.
[6] L’estensione dell’obbligo fiscale a tale ultima categoria di soggetti è stata prevista dall’art. 1 c. 1084 l. 30 dicembre 2020 n. 178 al chiaro fine di affiancare, ai soggetti che materialmente fabbricano i MACSI, anche i loro committenti.
[7] Le prime indicazioni sul progetto di legge di bilancio 2021 estendono l’oggetto della certificazione de qua anche alla compostabilità del prodotto.
[8] Anche in questo, come già abbiamo avuto modo di vedere in relazione alla plastic tax, l’estensione dell’obbligazione tributaria anche ai committenti, operata dall’art. 1 c. 108 l. 30 dicembre 2020 n. 178, è chiaramente volta al “blindare” il prelievo tributario ed evitare la possibilità che, tramite semplici escamotage, la corresponsione dell’imposta possa essere facilmente evasa mediante l’interposizione di soggetti di comodo o economicamente non capienti.
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