Il reato di revenge porn: evoluzione storica
Il delitto di cui all’art. 612 ter c.p. è stato introdotto con la L. 6919 meglio conosciuta come Codice Rosso.
Tale figura di reato veniva regolata dal Legislatore per cercare di fronteggiare un fenomeno criminologico ormai, tristemente diffuso nel nostro paese ossia la diffusione e la riproduzione di immagini e video sessuali senza il consenso della persona in questione.
Ebbene, a seguito di una serie di tristi eventi che vedevano quali protagonisti le persone offese da queste tipologie di condotte, il Legislatore ha sentito la necessità di rispondere alle esigenze della società ed introdurre tale figura di reato.
Ed infatti, il quadro normativo precedente alla riforma risultava non essere in grado non solo di fermare un fenomeno sociale così tristemente diffuso nel nostro paese, ma neanche di minacciare i trasgressori con una sanzione penale adeguata.
Con l’introduzione dell’art ex art. 612 ter c.p., invece, il Legislatore sanciva una pena sicuramente più adeguata rispetto alle condotte descritte dalla norma e soprattutto più confacenti ad arginare il fenomeno sociale della diffusione del materiale pornografico senza consenso della persona interessata.
Invero, la norma in esame prevede ai primi due commi come sanzione la pena da 1 a 6 anni ed al terzo ed al quarto un aumento della sanzione penale qualora la condotta abbia ad oggetto un ex coniuge o persona con la quale si è avuta stabile relazione sentimentale o una donna incinta.
L’ultimo comma dell’art. 612 ter c.p., veniva introdotto proprio a tutela della persona offesa, poichè prevede che il delitto in esame sia procedibile a querela della persona offesa ma, a differenza di quanto previsto per altri reati contro la persona, nel caso di specie il termine per la proposizione della querela non è di tre mesi bensì di sei mesi dalla commissione del fatto.
Il delitto ex art. 612 ter c.p.: caratteristiche generali
Il reato previsto e regolato ex art. 612 ter c.p è un reato comune, di mera condotta e di pericolo, infatti, la norma punisce chiunque “invia, consegna, cede pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate”, richiedendo al contempo come presupposto per la condotta la realizzazione o la sottrazione dei contenuti in questione. Quanto al requisito della mancanza del consenso, va osservato che la locuzione è da intendersi quale causa di illiceità espressa, in sé pleonastica, atteso che individua solo l’assenza della relativa causa di giustificazione prevista dall’art. 50 c.p.
Più nel dettaglio, è stata apprezzata l’anticipazione della tutela offerta, ottenuta plasmando il delitto in questione quale rato di pericolo: infatti non è richiesto ai fini dell’integrazione della fattispecie il verificarsi di un eventuale nocumento alla persona ritratta, bastando a tale scopo la mera condotta diffusiva.
Appare sul punto opportuno chiarire se si tratti di un reato di pericolo concreto o di pericolo astratto.
Dottrina e giurisprudenza sembrerebbero inquadrarlo nella categoria dei reati a pericolo astratto ma non è peregrino ritenere come sia possibile che ci si trovi di fronte a condotte che non costituiscano in sé un reale pericolo di diffusione del materiale, basti pensare al mero caricamento online, su un’area riservata ed accessibile esclusivamente all’utente in questione, sicuramente configurabile materialmente come cessione, ma del tutto priva sia dell’idoneità, sia del dolo di diffusione.
La definizione di atto sessualmente esplicito
Una volta inquadrata la fattispecie di reato di cui all’art. 612 ter c.p., appare opportuno soffermarsi sul significato della locuzione “atti sessualmente espliciti”.
Inquadrare al meglio quali siano gli atti sessualmente espliciti configurati dalla norma, è un passaggio fondamentale al fine di comprendere quali siano concretamente le condotte punibili.
Ed infatti l’attuale formazione della norma sembra lasciare alla giurisprudenza l’annoso problema di definire “gli atti” punibili, con esisti ambivalenti: da un lato si evita la difficoltà interpretativa di una definizione tutt’altro che chiara, ma dall’altra parte si concede un eccessivo ambito interpretativo che potrebbe portare ad un’applicazione estensiva del delitto.
Invero, va rammentato come la giurisprudenza relativa all’art. 609 bis c.p. ha ricondotto alla sfera dell’atto sessuale qualsiasi atto idoneo a intromettersi nella sfera della libertà sessuale del soggetto passivo, quale anche un bacio o un abbraccio (Cass. Pen. III sez. sent. n. 10248 del 12 febbraio 2014).
La stessa Unione Camere Penali Italiane ha avuto modo di sottolineare nelle proprie osservazioni inviate al Senato la criticità insita nell’attuale formulazione della norma, paventando anche un possibile conflitto con il principio di precisione.
Tale problema potrebbe essere superato facendo riferimento alla locuzione “esplicito” alla quale è necessario riconoscere il significato che, con molta probabilità, era nell’intenzione del legislatore: ovvero tutti quegli atti che rientrano esplicitamente e senza necessità di particolare interpretazioni e lucubrazioni, nelle pratiche sessuali.
E’ necessario, però, che sul punto intervenga la corte di legittimità chiarendo una volta per tutte quale fosse l’intento del Legislatore per evitare di trovarsi di fronte a pronunce discordanti tra i vari Tribunali della penisola.
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