Nell’interpretazione di un contratto di lavoro tra medico e struttura sanitaria, il giudice deve valutare le concrete modalità di svolgimento e attuazione del rapporto tra le parti.

Il fatto
La vicenda che ha dato origine alla decisione oggetto del presente commento riguarda la cattiva esecuzione di un intervento chirurgico di colecistictomia laparoscopica, all’esito del quale, a causa delle complicanze intervenute, si verificava il decesso della paziente nonostante un trapianto di fegato e un successivo intervento al cuore. In considerazione di ciò, i genitori e i fratelli della paziente defunta adivano il tribunale locale per far accertare la responsabilità del medico e dell’Istituto Clinico presso il quale era stata eseguita l’operazione nonché ottenere la condanna al risarcimento dei danni dai medesimi subiti.
Il Tribunale di Como dichiarava l’esclusiva responsabilità del medico e dell’Istituto Clinico nella causazione del decesso della paziente, condannando entrambi i soggetti al pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni a favore dei congiunti della vittima. Il tribunale, inoltre, stabiliva che la società assicuratrice della struttura e il medico che aveva eseguito l’operazione, in considerazione del rapporto di lavoro libero professionale intercorso con la struttura sanitaria, tenessero indenne l’Istituto Clinico medesimo relativamente alla somma da versare in esecuzione della sentenza.
La Corte d’Appello di Milano in accoglimento del gravame interposto dalla società assicurativa e con parziale riforma della pronuncia del Tribunale riqualificava il rapporto intercorrente tra il medico che aveva eseguito l’operazione e l’Istituto clinico come di lavoro dipendente e riteneva altresì la polizza stipulata dal medico con  la propria società assicurativa come a secondo rischio, stante la sussistenza della polizza primo rischio tra l’Istituto clinico e un’altra società assicuratrice.
In virtù di queste considerazioni, la Corte d’appello condannava la società assicuratrice dell’Istituto Clinico a tenere indenne il medico relativamente al risarcimento dei danni e rigettava la domanda di manleva proposta da quest’ultimo alla propria società assicuratrice.
Successivamente a tale pronuncia la compagnia assicurativa condannata proponeva ricorso per Cassazione, contestando il riconoscimento da parte della corte di merito di un contratto di lavoro subordinato, piuttosto che di lavoro autonomo, tra il medico e l’Istituto Clinico. Tale considerazione si fondava sulla mancata valutazione da parte dei giudici di merito delle effettive modalità di svolgimento del rapporto, dato il fatto che la Corte aveva fatto esclusivo riferimento al nomen iuris del contratto, nonché sulla mancata indagine della rubrica delle clausole contrattuali e il relativo tenore letterale, che risultava incompatibile con la natura di lavoro subordinato del rapporto de quo.

La decisione della Cassazione
La Corte Suprema ha ritenuto fondato il ricorso principale della compagnia assicurativa, tuttavia confermando l’esclusiva responsabilità del medico che ha causato il decesso della donna e confermando altresì il risarcimento danni iure proprio e iure successionis a favore dei genitori e dei fratelli della defunta nei confronti dell’Istituto Clinico e del medico.
Secondo gli Ermellini, con la pronuncia impugnata la corte di merito ha operato una riqualificazione del rapporto contrattuale tra l’Istituto Clinico e il medico, ritenendo che l’affermazione della mancanza di alcun vincolo di subordinazione e della possibilità per il medico di esercitare attività professionale in luoghi diversi non bastino a confermare che si tratti di lavoratore autonomo.
La Corte di Appello, inoltre, ha ulteriormente ravvisato la sussistenza di una prima “antinomia” interna al regolamento contrattuale intercorso tra il medico e la struttura sanitaria, deponente per una dissimulazione di subordinazione o comunque di esclusività del rapporto lavorativo tra le parti, ed ha tratto conferma del fatto che non si trattava di un rapporto di libero professionale da un serie di indici ritenuti chiaro sintomo di eterodirezione, quali: la presenza e la pronta reperibilità del medico con l’assunzione dell’impegno a garantire “la propria presenza presso la struttura sanitaria coordinandosi con gli altri medici dell’Unità Operativa di assegnazione”; la immediata reperibilità di regola a mezzo telefono e la possibilità di giungere nell’istituto nei tempi previsti.
Infine, l’ultimo elemento considerato dalla Corte di Appello per qualificare come rapporto di lavoro subordinato quello intercorrente tra medico e struttura sanitaria, è stato quello relativo all’assenza di qualsivoglia rischio economico in capo al medico per lo svolgimento di prestazioni costituenti prerogative proprie della professione medica.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha evidenziato come, nell’attività di interpretazione che deve compiere il giudice per qualificare un rapporto contrattuale tra le parti, il magistrato deve in primo luogo ricercare la comune intenzione delle stesse. Ebbene, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, da verificarsi alla luce dell’intero contesto contrattuale.
Gli Ermellini, hanno altresì aggiunto che, pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, a tal fine, il giudice deve necessariamente riguardare il medesimo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, in particolare quelli di interpretazione soggettiva, dell’interpretazione funzionale e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza, in considerazione dello scopo pratico perseguito dalle parti.
Il contratto deve essere dunque imprescindibilmente interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica e in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale.
A fronte delle “antinomie” ravvisate nel testo contrattuale, e in particolare quelle specificamente denunziate dalla società assicuratrice ricorrente, secondo gli Ermellini, la corte di merito, nell’impugnata sentenza, non ha dato conto degli elementi a cui ha assegnato un rilievo decisivo per la formulata interpretazione del contratto de quo in termini di lavoro dipendente, anziché quale contratto d’opera o di lavoro autonomo, né dei criteri legali d’interpretazione a tal fine ravvisati decisivi.
Infatti, pur dando atto della denominazione del contratto de quo in termini di incarico libero professionale, la Corte di Appello si è limitata a ritenerli insufficienti per una diversa qualificazione del rapporto.
In ragione di ciò, la Corte di Cassazione ha concluso – pur senza sottacere che alcune clausole non risultino ben comprensibili – che la corte di merito ha trascurato in particolare di verificare le concrete modalità di svolgimento e attuazione del rapporto, né ha dato congruamente conto delle raggiunte conclusioni in relazione ai predetti criteri d’interpretazione.
In considerazione di tutto quanto sopra, in accoglimento del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo dell’Istituto clinico, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la statuizione di condanna della compagnia assicurativa non è stata adeguatamente giustificata e conseguente l’ha cassata.
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