L’accertamento del rapporto nel processo amministrativo relativo agli atti vincolati e a quelli discrezionali: il ruolo dell’ottemperanza

 
Il diritto amministrativo è una materia che non può essere trattata disgiuntamente dalla tutela giurisdizionale apprestata al privato nei confronti del potere pubblico.
L’affermazione di un regime processuale improntato alla tutela effettiva delle posizioni giuridiche dei privati non è stata immediata, né pacifica, costituendo al contrario il frutto di una lunga evoluzione giurisprudenziale e normativa.
Il processo amministrativo si affaccia alla storia per la tutela dei soli interessi oppositivi mediante l’azione di annullamento del provvedimento illegittimo, per mezzo di un sindacato del giudice sull’atto circoscritto all’elemento formale ed estrinseco.
In questa prima fase si plasma una tutela univoca, volta a impedire gli straripamenti del potere giurisdizionale, ma che nel tempo si è resa nel tempo inadeguata in tutte quelle ipotesi in cui il privato non aveva interesse a ottenere la neutralizzazione dell’atto restrittivo, bensì a conseguire un bene della vita che gli veniva negato.
Una differente e più evoluta concezione di tutela giurisdizionale, caratterizzata dall’incremento del numero delle azioni esperibili, potrà apprezzarsi solo a partire dalla rivalutazione del concetto di interesse legittimo.
La nuova impostazione teorica ha coinvolto l’intero diritto amministrativo a partire dalla posizione giuridica che ne costituisce le fondamenta e oggi finalmente consente di affermare l’effettività del principio della pluralità delle azioni.
Grazie a tale mutamento si è potuto discutere circa l’ammissibilità o meno dell’azione atipica per eccellenza, ovvero l’azione di accertamento autonomo e condanna della p.a.
L’azione di accertamento autonomo, della quale non esiste alcuna formalizzazione normativa, costituisce l’attività che più d’ogni altra consente al g.a. di calarsi in maniera pura nel rapporto tra le parti, a prescindere dalla previa impugnazione del provvedimento illegittimo.
Allo stesso tempo essa attribuisce al privato una copertura processuale anche in mancanza di azioni tipizzate dal codice di rito, al pari di quanto accade nel giudizio civile.
Per queste peculiarità, ammettere il ricorso di tale azione dinnanzi al g.a. impone di verificarne la compatibilità, a seconda che nell’atto lesivo residuino o meno margini di discrezionalità amministrativa, la quale continua a costituire il freno principale al sindacato del giudice.
Al fine di analizzare il differente impatto dell’azione di accertamento rispetto agli atti vincolati e discrezionali, nonché le annesse conseguenza in sede di ottemperanza, è opportuno dar conto di come si è giunti ad ammettere l’azione di accertamento in sede amministrativa, alla luce dell’ormai consolidato principio della pluralità delle azioni.
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L’azione di accertamento nel processo amministrativo
L’affermazione del principio della pluralità delle azioni è frutto di una differente concezione di interesse legittimo, passato dall’essere un elemento ancillare al perseguimento del pubblico interesse sino ad assumere il carattere di una tutela piena e effettiva, per nulla differente rispetto ai diritti soggettivi.
Connesso a tale aspetto vi è la progressiva parificazione del cittadino rispetto alla p.a., non più concepita come un soggetto infallibile, ma come un organo che può agire iure privatorum, la cui azione può essere messa in discussione dal sindacato del g.a.
Questa diversa concezione dell’interesse legittimo, grazie alla nota sentenza delle Sezioni Unite n.500/99, ha aperto la strada verso l’implementazione delle tutele esperibili in giudizio, soprattutto nei casi in cui il petitum verteva su interessi pretensivi, ovvero le situazioni giuridiche mirate non alla difesa del bene ma alla pretesa.
Il riconoscimento di una tutela piena e effettiva dell’interesse, tanto da ritenere lo stesso degno di risarcibilità ex se, ha indotto la dottrina a interrogarsi sulla possibilità di affiancare all’azione di annullamento altre tipologie di azioni che attribuiscono al giudice un potere maggiormente cognitivo.
Tra queste, in particolare, spiccano due azioni di carattere atipico: l’azione di accertamento autonomo e quella di esatto adempimento della p.a. a un facere infungibile, rectius condanna all’adozione di un provvedimento favorevole.
La ratio delle azioni, secondo l’orientamento favorevole, la si riconduce all’art.24 Cost. e al principio di uguaglianza di cui all’art.3 Cost., secondo cui il diritto di difesa deve essere sempre garantito al soggetto che viene leso nella propria posizione giuridica, non potendosi ammettere una differenza di tutela tra procedimenti, che condurrebbe ad una disparità di trattamento.
Anche a livello convenzionale il medesimo principio è assolto dall’art.6 CEDU, con riguardo alle garanzie che governano l’equo processo.
Alla luce di ciò, il dovere del g.a. di conoscere degli interessi legittimi non può dunque arrestarsi a un mero sindacato estrinseco sull’atto, ma calarsi nel rapporto tra le parti.
Quanto sin qui illustrato è stato recepito nel vigente Codice del processo amministrativo d.lgs.104/2010, ove il legislatore ha inteso far propria la nuova natura di interesse legittimo, ma anche codificare una pluralità di azioni che si affiancano a quella di annullamento ex art.29 cpa.
L’art.30 cpa prevede un’azione di condanna generale, che può essere proposta anche in via risarcitoria, sia congiuntamente all’azione di annullabilità che in via autonoma, mentre l’art.31 cpa, in combinato disposto con l’art.117 cpa, contempla un’azione avverso il silenzio inadempimento che, grazie al secondo correttivo di cui all’art.34 lettera c) cpa, consente ora al giudice di emanare una sentenza di condanna all’adozione del provvedimento favorevole, c.d. “azione di esatto adempimento”.
Questa innovazione ha sciolto il dubbio circa l’ammissibilità dell’azione atipica, positivizzandone il contenuto, senza però ammetterla esplicitamente in via autonoma.
L’art.31 comma 4 cpa prevede invece un’azione a carattere dichiarativo volta a ottenere la nullità dell’atto qualora ricorra una delle ipotesi di cui all’art.21 septies l.241/90, così contemplando una forma di accertamento che, ancora una volta, non può essere disgiunta dall’azione principale.
Con riferimento all’azione di annullabilità, si osservi altresì che la riforma dell’art.21 octies comma 2 l.241/90 attribuisce al giudice il potere di entrare oltremodo nel merito del rapporto, convalidando l’atto vincolato che risulta affetto da mera irregolarità formale, qualora il contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Le fattispecie richiamate consentono, in definitiva, di ritener maturi i tempi per affermare il principio della pluralità delle azioni amministrative.
Non di meno, il problema dell’ammissibilità di un’azione di accertamento autonomo e condanna pubblicistica, allo stato non prevista, continua a permanere.
Invero, sia l’entrata in vigore del codice, che i vari correttivi, hanno rappresentato un’occasione mancata per la sua definitiva positivizzazione, la quale, presente nella bozza del codice, è stata definitivamente espunta dal Governo.
L’azione di accertamento e condanna pubblicistica all’adozione del provvedimento favorevole, atteggiandosi come un’azione del tutto atipica, si porrebbe nel processo in maniera dirompente rispetto al criterio strettamente formalistico del sindacato, poiché consentirebbe al g.a. di entrare nel merito del rapporto a prescindere dalla previa impugnazione dell’atto, condannando la p.a. ad un facere infungibile.
La tutela accordata viene a essere sganciata dall’indagine circa i vizi di legittimità o dal silenzio, tanto che si è resa invocabile in tutte quelle situazioni ove non vi è alcun provvedimento da impugnare e, soprattutto, non residuano margini di discrezionalità amministrativa.
È l’ipotesi peculiare della tutela del terzo nella DIA, prima della riforma che ha introdotto il comma 6 ter all’art.19 l.241/90.
La giurisprudenza del 2009 si è infatti posta in maniera favorevole circa l’ammissibilità di un’azione di accertamento autonomo da parte del terzo controinteressato all’inizio dell’attività, sulla quale la p.a. non ha esercitato alcun potere di controllo nei termini previsti dalla legge.
Attraverso l’azione de qua, invero, il terzo mira a ottenere una sentenza con cui il giudice accerta la difformità tra gli stretti requisiti di legge e la documentazione presentata, per poi condannare la p.a. alla rimozione degli effetti già prodotti dall’attività illecita.
Grazie ad un’apertura sia del Consiglio di Stato che della Consulta, l’azione atipica di accertamento e condanna deve in definitiva ritenersi ammissibile solo attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata, quale rimedio che garantisce il superamento delle diseguaglianze rispetto al giudizio civile, in ossequio agli artt.24 e 113 Cost. In questi termini essa sarebbe ricorribile in tutti quei casi ove le azioni già tipizzate non siano esperibili o non possano garantire un’efficacia equipollente.
Non di meno, la stessa può operare solo in presenza di un potere vincolato, ovvero nelle ipotesi in cui è la legge a predeterminare rigidamente i termini per l’esercizio del potere da parte della p.a.
L’attività vincolata si caratterizza infatti per l’assenza assoluta di un margine di scelta nelle modalità di cura del pubblico interesse, dovendo la p.a. attenersi esclusivamente ai requisiti imposti dal legislatore.
In tal caso è indubbio che il g.a. possa eseguire un accertamento del rapporto, poiché questa indagine si risolve essenzialmente in una valutazione di conformità del fatto rispetto alla norma giuridica, cui segue la condanna all’adozione di un provvedimento vincolato, come avviene appunto nella DIA.
Ben diverso è il caso in cui ci si trova in presenza di un’attività discrezionale, pura o tecnica.
La discrezionalità amministrativa costituisce una prerogativa dell’agere amministrativo, attraverso la quale la p.a. è investita dalla legge del potere di compiere una valutazione di opportunità tra tipologie di interessi contrapposti, ovvero scegliere la soluzione maggiormente improntata al soddisfacimento del pubblico interesse nel ventaglio di soluzioni legittime.
Nell’ambito dell’attività discrezionale è necessario distinguere tra attività pura e attività tecnica, in quanto, mentre nel primo caso è pacifico che non può trovare applicazione l’azione di accertamento autonomo per le regioni anzidette, nel secondo caso la questione è meno scontata.
La discrezionalità tecnica si distingue da quella pura in virtù del fatto che la p.a. non effettua una valutazione comparativa degli interessi in gioco ma, applicando concetti giuridici indeterminati, si limita a verificare un risultato opinabile nell’ambito di un settore altamente specialistico. In tale contesto l’opportunità è sostituita da tale verifica, cui la p.a. è pervenuta limitandosi a contestualizzare la regola al fatto concreto.
Dal punto di vista giurisdizionale, questa forma di attività ha indotto la dottrina a domandarsi quanto possa incidere il sindacato del g.a. rispetto a un atto caratterizzato da discrezionalità tecnica.
In particolare una parte della dottrina ritiene ammissibile un sindacato di tipo forte mediante il quale il giudice non si limita a verificare la correttezza dell’iter formale seguito dalla p.a., ma addirittura ripete la valutazione tecnica. In tal modo, la pronuncia adottata si porrebbe così come una sentenza sostitutiva del provvedimento tecnico.
Questa soluzione appare tuttavia estrema a coloro che ritengono inattuabile una sostituzione totale da parte del g.a., stante il fatto che anche l’attività tecnica lascia residuare margini apprezzabili di discrezionalità.
In maniera più cauta si potrebbe affermare che il potere del giudice in questi frangenti deve consistere in un controllo che, senza ingerirsi nella discrezionalità, assicuri la legalità sostanziale dell’attività e la coerenza logica dell’atto, mediante un’attività di “accertamento tecnico”, ben diversa da quella di “valutazione tecnica”.
Nell’accertamento tecnico viene infatti in rilievo un’attività solamente ricognitiva del giudice, esperibile anche alla luce dei nuovi mezzi istruttori riconosciuti allo stesso dal codice, senza che possa verificarsi una sostituzione/straripamento nell’ambito del potere pubblicistico.
Ciò consente di affermare che anche nell’attività tecnica come un quella pura sussiste un potere discrezionale che non può essere oggetto di sostituzione da parte del giudice e, come tale, rende l’atto insuscettibile di un’azione atipica di accertamento e condanna all’adozione del provvedimento favorevole.
In definitiva, con riguardo all’esperibilità dell’azione di accertamento e condanna questa può ritenersi perseguibile solo in presenza di un’attività vincolata dalla p.a., ove nel provvedimento espresso di rigetto non residua oltremodo il potere discrezionale.
Del resto è la stessa normativa ad avallare questa conclusione, laddove, nelle varie azioni caratterizzate da un maggior potere di accertamento, individua il limite negli atti amministrativi discrezionali. All’uopo si guardi l’art.l’art.31 comma 3 c.p.a., il quale specifica che l’attività d’accertamento circa la fondatezza della pretesa, nel caso di silenzio inadempimento, può esservi quando non residuano poteri discrezionali o non sono necessari adempimenti istruttori.
Del pari l’art.21 octies l.241/90 che, nell’ampliare le maglie di cognizione del g.a. in sede di giudizio di legittimità, circoscrive l’effetto “sanante” ai soli atti vincolati.
Il giudizio di ottemperanza
Sulla base di questi elementi, è possibile verificare le conseguenze applicative di una sentenza “inottemperata”, avente ad oggetto l’atto vincolato, a mezzo della quale il giudice ha accertato il rapporto e ha condannato la p.a. a un facere infungibile.
Si fa riferimento a quelle ipotesi ove la p.a., condannata all’adozione di un determinato provvedimento vincolato, non esegua la sentenza passata in giudicato, ovvero adotti un provvedimento in violazione o elusione dello stesso.
Il rimedio posto dal codice a presidio della tutela individuale è dato, come evidente, dal rito dell’ottemperanza di cui agli artt.112 e ss. cpa., il quale rappresenta la massima forma di cognizione estesa al merito di cui gode il g.a.
Il ricorso in ottemperanza consente infatti all’interessato, forte di un giudicato non autoesecutivo in suo favore, di adire il g.a. e ottenere una pronuncia che ha natura sia cognitoria che esecutiva, mediante la quale il giudice si sostituisce alla p.a. inadempiente tramite un commissario ad acta e impone alla stessa di tenere un determinato comportamento.
I presupposti imprescindibili affinché possa attivarsi siffatto rimedio sono l’esistenza di un giudicato, ancorché formatosi nelle more del giudizio di ottemperanza, il dovere della p.a. di adottare un provvedimento che dia esecuzione al giudicato e un inadempimento, anche nell’ipotesi in cui vi sia un provvedimento adottato in violazione o elusione del giudicato.
Di quest’ultimo, il giudice dell’ottemperanza, in veste di giudice naturale dell’azione preposta, ne dichiara la nullità ai sensi degli artt.21 septies l.241/90, 31 comma 4 e 114 lettera b) cpa.
Ammessa così l’esperibilità di un’azione di accertamento autonomo e condanna in tutte quelle ipotesi in cui sussista un potere vincolato della p.a., è possibile dedurre la seguente conclusione.
All’esito di un’azione di accertamento e condanna all’adozione di un provvedimento vincolato, il privato che ottiene un giudicato favorevole avente ad oggetto un facere infungibile può sempre ricorrere in ottemperanza.
In questa sede il giudice dell’ottemperanza non è tenuto tanto ad accertare in via cognitoria quanto è già stato dedotto dal g.a., quanto invece a dare esecuzione alla sentenza inevasa; sentenza con la quale il giudice della cognizione si era limitato a accertare la difformità tra il fatto e i requisiti di legge.
Per vero, alla luce delle sopra richiamate direttive generali, possono prospettarsi due differenti situazioni di inottemperanza.
Se la p.a. nonostante il giudicato rimane inerte e dunque non provvede ad adottare il provvedimento vincolato si avrà una sentenza con cui il giudice si sostituisce all’amministrazione tramite un commissario ad acta al fine di pervenire all’adozione del provvedimento favorevole.
Se invece la p.a. adotta un provvedimento in violazione o elusione del giudicato, tale situazione dovrà essere accertata. Invero, il privato può promuovere dinnanzi al giudice dell’ottemperanza anche un’azione di nullità ex art.114 lettera b) c.p.a., a mezzo della quale o il giudice accogliendo l’azione di nullità dichiara improcedibile il ricorso in ottemperanza per sopraggiunta carenza d’interesse, ovvero respingendo l’azione disporrà la conversione dell’azione ex art.32 comma 2 c.p.a. con annessa riassunzione del processo in sede di cognizione.
Tale potere in capo al giudice trova ragione nel fatto che egli è indicato dall’art.114 lettera b) c.p.a. come il giudice naturale dell’azione dichiarativa di nullità per l’ipotesi di violazione o elusione del giudicato.
Non a caso, il riconoscimento formale per il giudice di conoscere e dichiarare la nullità del provvedimento, per una parte della dottrina rappresenterebbe l’indizio che il giudizio di ottemperanza attribuisce al privato la titolarità di un vero e proprio diritto soggettivo.
In definitiva, quanto illustrato intende far luce sulla radicale evoluzione del sistema del processo amministrativo, un’evoluzione che passa attraverso la riqualificazione dell’interesse legittimo in chiave di posizione giuridica degna di una tutela piena e effettiva al pari del diritto soggettivo, ove l’attenzione si sposta dall’atto all’individuo e al bene giuridico di cui egli è portatore.
La nuova rivalutazione della situazione protetta si pone alla base del percorso, prima giurisprudenziale poi normativo, che ha condotto alla proliferazione delle azioni giudiziali, accanto alla tradizionale azione di annullamento. Invero, la concreta valorizzazione dei principi costituzionali di eguaglianza e tutela delle strategie difensive non ha consentito di escludere l’esperibilità di un’azione di accertamento autonomo e condanna della p.a.; azione questa ove il sindacato del g.a. si spinge in maniera particolare nel merito amministrativo, accertando le basi del rapporto e non la mera regolarità formale.
Per tale ragione, alla luce dei rilievi normativi e di quell’insuperabile fascia di rispetto tra potere giudiziario e amministrativo, è bene tener presente che questa azione atipica incontra il limite della discrezionalità, sia pura che tecnica.
Laddove invece il potere discrezionale non c’è o si è esaurito, è ben possibile ottenere una sentenza di accertamento e condanna ad un facere infungibile, il cui giudicato è eseguibile in sede di ottemperanza.
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