La questione dell’indicazione specifica dei luoghi cui è fatto divieto di avvicinamento, è stata rimessa alle Sezioni Unite
(Riferimento normativo: articolo 282-ter c.p.p.)
Con ordinanza n. 8077, pubblicata il primo marzo 2021, è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione sul se, nel disporre il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, sia necessaria l’indicazione specifica di tali luoghi da parte del giudice.
Esiste da tempo un forte contrasto giurisprudenziale sulla questione della necessità o meno della individuazione dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa nel provvedimento di applicazione della misura. Con una recente pronuncia[1], la Suprema Corte ha affermato che il provvedimento con il quale il giudice dispone “ex art., 282-ter c.p.p., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa senza indicare specificamente i luoghi oggetto del divieto è legittimo in quanto la predetta individuazione deve avvenire per relationem con riferimento ai luoghi in cui, di volta in volta, si trovi la persona offesa, con la conseguenza che, ove tali luoghi, anche per pura coincidenza, vengano ad essere frequentati anche dall’imputato, costui deve immediatamente allontanarsi dagli stessi”. Alla base di siffatta motivazione, vi è l’esigenza di garantire una effettività concreta alla misura del divieto di avvicinamento e nell’ assicurare alla persona offesa una tutela effettiva. Il divieto di cui all’art., 282-ter, è una misura cautelare di tipo coercitivo[2] con la quale il giudice prescrive all’indiziato di non avvicinarsi a determinati luoghi che siano abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una certa distanza da tali luoghi o dalla persona offesa. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice motivando opportunamente il provvedimento[3], può disporre l’estensione del divieto di avvicinamento nei confronti dei prossimi congiunti della vittima. Va evidenziato che la L. n. 69 del 2019[4], ha modificato il divieto di avvicinamento al fine di garantire al giudice il rispetto di tale misura anche attraverso le procedure di controllo attraverso mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, come il braccialetto elettronico, in linea con quanto previsto dall’articolo 275-bis c.p.p. per gli arresti domiciliari[5]. La stessa legge ha, poi, introdotto nel nostro ordinamento l’art., 387 bis c.p.[6] il quale punisce chiunque vìoli gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari richiamate dagli artt., 282 bis e 282 ter c.p.p. O dall’ordine di cui all’art., 384 bis c.p., prevedendo la reclusione da sei mesi a tre anni.
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La vicenda processuale
La vicenda si origina da una ordinanza con la quale il Tribunale di Palermo aveva confermato la decisione emessa dal Gip dello stesso Tribunale, con cui si era disposto, per l’indagato, la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati abitualmente dalla madre, offesa dal reato provvisoriamente contestatogli di cui all’art., 572 c.p., ovvero di non comunicare con lei e di mantenere la distanza di almeno trecento metri dalla stessa. Avverso l’ordinanza, proponeva ricorso per Cassazione l’indagato, deducendo qattro motivi di censura:
Violazione e falsa applicazione degli artt., 192, 125, comma 3, c.p.p. e 572 c.p., riguardo all’assenza di autonoma valutazione da parte del Gip, nonché dello stesso Tribunale delle emergenze indiziarie in funzione del giudizio in fase cautelare;
Violazione e falsa applicazione degli artt., 275, 192, comma 2, c.p.p. circa l’assenza di una concrua motivazione riferita ai gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato oggetto di provvisoria imputazione;
Violazione e falsa applicazione degli artt., 273 c.p.p. e 572 c.p., in relazione alla mancanza di gravi indizi di colpevolezza del delitto di maltrattamenti, in particolare dell’elemento soggettivo del reato;
Violazione e falsa applicazione degli artt., 275, 292, 282-ter c.p.p. e 572 c.p., in ordine alla mancata indicazione specifica dei luoghi rispetto ai quali vige il divieto di avvicinamento alla persona offesa.
Riguardo a quest’ultimo motivo, il Tribunale di Palermo aveva statuito che dovesse ritenersi legittimo il provvedimento reso ai sensi dell’art., 282-ter, il quale obblighi il destinatario a mantenere una certa distanza dalla persona offesa, senza specificare quali siano i luoghi oggetto della misura, “dovendo il divieto di avvicinamento essere riferito alla persona e non ai luoghi dalla stessa frequentati, ove la condotta di cui si teme la reiterazione si connoti per la persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima, ovunque questa si trovi”. Ciò in linea con quanto statuito nella sentenza n. 28666 del 2015, secondo la quale se il provvedimento coercitivo si limita a disporre il divieto personale e non anche quello dei luoghi, non è necessario circoscrivere il perimetro di operatività del divieto, il quale “segue dinamicamente tutti i movimenti della persona offesa”.
Conclusioni
Il Collegio ha rimandato la decisione del ricorso alle Sezioni Unite in quanto la questione relativa all’applicazione dell’articolo 282-ter, comma 1, c.p.p., richiede la soluzione di una vicenda sulla quale si registra un conflitto perdurante che necessita di un chiarimento definitivo, stante i diversi filoni interpretativi che si sono sviluppati relativamente all’interpretazione della norma oggetto di remissione. “E’ in relazione alle concrete esigenze di tutela che si vogliono garantire con l’imposizione della misura, in rapporto alle peculiarità di esplicazione delle condotte illecite e particolarmente al loro profilo statico o dinamico nonché al tipo di reato configurabile (è d’uopo pensare come poli terminali della riflessione alle due figure paradigmatiche degli artt., 572 e 612-bis cod. pen.) che dovrà misurarsi lo sforzo interpretativo, non necessariamente in termini di alternatività delle indicate opzioni, bensì con l’adozione delle opportune precisazioni circa i limiti di applicazione delle prescrizioni secondo le necessità richieste dalla specificità del caso”.
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Note
[1]Cass. Pen., Sez. VI, 29 gennaio 2019, n. 7633. In senso conforme, Cass. Pen.Sez. ,V, 14 marzo 2016, n. 28677
[2]Introdotta nel nostro ordinamento con l’art., 9 recante “modifiche al codice di procedura penale”, del D.L. n. 11 del 23 febbraio 2009, intitolato “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, convertito in legge n. 38 del 23 aprile 2009.
[3]Come statuito nella sentenza n. 28393 del 17.09.2020, dalla V Sezione della Cassazione, l’obbligo motivazionale in ordine alle esigenze di tutela della persona offesa, che il giudice è tenuto a rispettare nell’emissione del divieto di avvicinamento, sussiste anche in caso di estensione della misura ai prossimi congiunti, così come previsto dal secondo comma dell’art., 283-ter c.p.p.
[4]Recante “modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”
[5]Articolo 15, comma 2.
[6]“Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”
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