Suprema Corte di Cassazione: quando si deve erogare l’assegno di mantenimento
Quando una coppia di coniugi decide di separarsi, di solito seguendo la strada del divorzio, è lecito preoccuparsi degli aspetti patrimoniali che regoleranno i rapporti tra loro.
Alla casa si somma l’assegno mensile che il coniuge più forte economicamente dovrà pagare all’altro, se si dovesse verificare una sproporzione tra i due redditi.
La legge non regola la materia in modo puntuale e in questa sede si scriverà quali siano stati sinora i chiarimenti che hanno offerto la giurisprudenza e la Suprema Corte di Cassazione.
In che cosa consiste l’assegno di mantenimento
Prima di scrivere in quali circostanze il coniuge ha diritto al mantenimento, si devono fare alcune premesse utili a comprendere meglio quale sia l’interpretazione attuale di questo istituto.
Attraverso la riforma che ha attuato la Suprema Corte di Cassazione con le ordinanze emesse tra il 2017 e il 2018, l’assegno di mantenimento ha subito notevoli cambiamenti, si potrebbe dire che è stato profondamente stravolto.
Nel dettaglio si tratta di quello che viene denominato “assegno divorzile”, che viene riconosciuto quando il vincolo matrimoniale viene sciolto in modo definitivo, in seguito alla sentenza di divorzio.
L’assegno in questione si sostituisce al “mantenimento”, che viene attribuito in seguito alla separazione.
Secondo la Cassazione, dovrebbero essere seguiti tre principi.
Stando al primo, il mantenimento non deve avere come obiettivo quello di garantire al coniuge più debole economicamente lo “stesso tenore di vita” che aveva durante il matrimonio, ma esclusivamente l’autosufficienza economica, la possibilità di mantenersi in modo adeguato, senza farlo arricchire oppure garantirgli una rendita parassitaria vitalizia.
Stando al secondo, chi chiede il mantenimento deve dimostrare che il fatto di non riuscire a mantenersi non dipende da sua colpa o inerzia.
Deve fare il possibile per rendersi autonomo.
Stando al terzo, il coniuge che ha dedicato la sua vita alla gestione della casa e della famiglia, consentendo all’ex di fare carriera e arricchirsi, ha sempre diritto a partecipare a questa ricchezza con un assegno divorzile “a vita”.
Quando è dovuto l’assegno di mantenimento
In questa sede si tratterà in modo più specifico della circostanza nella quale il coniuge ha diritto al mantenimento, o meglio al cosiddetto“all’assegno divorzile”.
Ci si deve rifare ai rapporti patrimoniali tra coniugi che scattano a cominciare dal divorzio.
Di seguito vedremo dei casi, in ognuno dei quali devono sempre sussistere due condizioni, vale a dire, la sproporzione tra i redditi e l’incapacità, del richiedente, di mantenersi da sé.
L’assegno non è dovuto quando i due coniugi hanno le stesse capacità economiche, ad esempio, a due disoccupati o a due impiegati part-time.
Il coniuge con il reddito più basso non si riesce a mantenere in modo autonomo.
Esempio:
una moglie svolge un lavoro come dipendente statale, per la precisione ha un contratto di insegnante e lo stipendio che percepisce ammonta a 1.500 euro al mese.
Il marito svolge un lavoro autonomo, è un libero professionista e percepisce un reddito annuo di 100.000 euro.
Ci si chiede in presenza di quali circostanze l’assegno divorzile sia dovuto.
In seguito ai chiarimenti della Suprema Corte di Cassazione, l’autosufficiente scopo dell’assegno divorzile non è bilanciare le condizioni economiche dei due ex coniugi ma garantire al coniuge economicamente meno forte l’autosufficienza economica, con la conseguenza che se la stessa autosufficienza sussista, come quando un soggetto ha un proprio stipendio full time, non è dovuto nessun contributo.
L’assegno di mantenimento non dovuto neanche quando la causa di separazione si sia chiusa con il cosiddetto addebito, vale a dire, con l’imputazione di responsabilità in capo al coniuge che chiede il mantenimento.
Questo si verifica provando che sia stato il coniuge in questione, con il suo comportamento colpevole, a determinare la crisi matrimonio.
Avviene in caso di tradimento, di abbandono del tetto coniugale senza un valido motivo, di maltrattamenti e violazione dei doveri coniugali di assistenza e rispetto reciproco tra i due coniugi.
I casi specifici nei quali il coniuge ha diritto al mantenimento
Secondo la Suprema Corte di Cassazione deve essere riconosciuto l’assegno di divorzio all’ex in età matura, almeno 50 anni, essendo difficile che si possa collocare nel mondo del lavoro.
Lo stesso vale se lei non si impegna, non recandosi ai colloqui né al centro per l’impiego.
Di conseguenza, se l’ex coniuge è ancora giovane e formata, non può chiedere il mantenimento, anche se priva di un lavoro stabile.
Condizioni di salute incompatibili con il lavoro
L’ex coniuge che non possa lavorare per gravi inconvenienti di salute, che ne comportino una completa inabilità, ha diritto all’assegno divorzile.
In presenza di simili circostanze, lo stato di disoccupazione non dipende da colpa ma da circostanze oggettive.
Stato di disoccupazione incolpevole
L’assegno di divorzio deve essere riconosciuto a chi si impegni per cercare un’occupazione e nonostante questo, non si riesca a collocare nel mercato del lavoro.
A questo proposito, è necessaria la prova di avere tenuto un comportamento attivo nella ricerca di una occupazione, inviando il proprio curriculum, partecipando a bandi e concorsi, iscrivendosi alle liste di collocamento, richiedendo incontri di lavoro conoscitivi e simili.
Il coniuge che durante il matrimonio, in accordo con l’ex, abbia impiegato il suo tempo, o gran parte dello stesso, a occuparsi del ménage domestico e dei figli, ha sempre diritto, indipendentemente dall’età, di ottenere un assegno divorzile che lo renda partecipe della ricchezza accumulata nel frattempo dall’ex.
Su questo non ci sono dubbi, in relazione al contributo che l’altro che ha offerto alla gestione quotidiana della casa, si è potuto immaginare di più nel suo lavoro, conseguendo anche un aumento di reddito.
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