Annullamento in autotutela e responsabilità per culpa in contrahendo della stazione appaltante.
Giova premettere, ai fini del presente contributo, come l’art. 32 comma 8 del D. Lgs. 50/2016 s.m.i. faccia salvo l’esercizio dei poteri di autotutela della stazione appaltante anche all’esito dell’aggiudicazione, divenuta efficace, e sino alla sottoscrizione del contratto. Tanto allo scopo di “ritirare” il bando, le singole operazioni di gara o lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, in presenza di vizi dell’intera procedura ovvero a fronte di ragioni di salvaguardia dell’interesse pubblico tali da rendere inopportuna o anche solo da sconsigliare la prosecuzione della gara (Cons Stato, Sez. V, 9 novembre 2018, n. 6323, e la giurisprudenza ivi citata).
Trattasi di un potere discrezionale “di riesame critico”, poiché la proposta di concludere il contratto, qual è l’atto di indizione della gara, sebbene espressa in forma pubblicistica e condizionata all’osservanza delle regole procedimentali per la scelta del contraente, è pur sempre revocabile sino a che l’accordo negoziale non sia stipulato (Cons. di St., V, 23.2.2012, n. 1054; id., 12.2.2010, n. 743).
Orbene, liddove la PA intenda fare ricorso alla cennata autotutela, mediante annullamento della procedura di gara, ai sensi dell’art. 21nonies della legge n. 241/1990 s.m.i., dovrà verificare la sussistenza di valide, chiare e preminenti ragioni di interesse pubblico. Il detto potere di autotutela dovrà, poi, intervenire entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione (art. 6, comma 1, lett. d) della Legge 7 agosto 2015 n. 124) e previa valutazione degli interessi dei destinatari dell’atto da rimuovere.
In passato l’ipotesi di annullamento d’ufficio di atti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati doveva “tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale” (così l’art. 1, co. 136, della legge n. 311/2004, abrogato dall’art. 6, co. 2, della detta Legge Madia), attualmente, invece, soltanto la revoca di un provvedimento dà pacificamente luogo a un diritto all’indennizzo per i “pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati”, ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/90 smi.
Nel silenzio del legislatore, la giurisprudenza amministrativa è ferma, difatti, nel ritenere che “nelle ipotesi di annullamento d’ufficio non può farsi riferimento alla spettanza dell’indennizzo previsto, in tema di revoca, dall’art. 21-quinquies” (Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 7 novembre 2013, n. 4965; Tar Campania, Salerno, sez. II, 9 ottobre 2014, n. 1701).
La medesima giurisprudenza, al tempo stesso, ritiene ammissibile, in capo alla Pubblica Amministrazione, verificate particolari condizioni, un obbligo, definito “patrimoniale”, derivante dell’esercizio del potere d’annullamento.
La responsabilità precontrattuale della Stazione Appaltante.
Qualora l’Amministrazione ritiri (annulli), come cennato, atti ampliativi della sfera del privato, seppure legittimamente, essa è chiamata ad assolvere all’obbligo di correttezza e lealtà che permea “il contatto” negoziale. Liddove detto onere non venga adempiuto il privato potrà legittimamente chiedere il risarcimento del danno “precontrattuale”.
In tali circostanze (“patologiche”), ai fini della dichiarazione di responsabilità per culpa in contrahendo della PA appaltante, nessuna rilevanza assume la legittimità dell’esercizio della funzione pubblica, siccome cristallizzata nell’attività procedimentale. La domanda risarcitoria prescinde, difatti, da valutazioni sull’esercizio del potere pubblico: sicché è ipotizzabile una responsabilità da comportamento scorretto della PA anche quando il provvedimento conclusivo del procedimento sia legittimo.
Quel che assume rilevanza è, dunque, la correttezza del contegno tenuto dal contraente pubblico durante la fase delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo (generale) delle parti contrattuali di comportarsi secondo buona fede, ai sensi dell’art. 1337 del codice civile (Cons. Stato, V, 7 settembre 2009, n. 5245).
In dette ipotesi (“lesive”) la responsabilità discende, come detto dal dovere di “comportarsi” secondo buona fede, quale manifestazione del dovere di solidarietà sociale, gravante reciprocamente su tutti i membri della collettività, il cui principale fondamento riposa nell’art. 2 della Costituzione (Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188, Cons. Stato, sez. V, n. 4440/2012).
Dalla lesione delle regole di correttezza deriva, allora, non una responsabilità per atto lecito ma una responsabilità aquiliana, ai sensi dell’art. 2043 c.c, riconoscibile nelle ipotesi in cui sia dimostrabile che l’appaltante pubblico abbia colposamente tratto “in inganno” il privato con un suo comportamento, ovvero con un suo provvedimento, violandone il suo affidamento.
Nella materia dei contratti pubblici, difatti, l’aggiudicatario è il contraente scelto dall’amministrazione appaltante, la cui offerta irrevocabile ha già conseguito un giudizio di “accoglimento”. Liddove la PA annulli la gara egli non vanta un diritto di obbligazione scaturente dal contratto, che non si è ancora concluso, bensì un legittimo affidamento, come detto, protetto dalla tutela approntata per il contraente in buona fede.
La violazione della detta tutela costituisce lesione della libertà negoziale (C. M. BIANCA, Diritto Civile. Il contratto, 3, Milano, Giuffrè, 2000, 155 ss.) è può far sorgere in capo alla Stazione Appaltante una responsabilità “da comportamento scorretto”. Al proposito la Corte di Cassazione riconosce il diritto al risarcimento del danno in ragione della “colpa che connota un comportamento consistito nell’emissione di atti favorevoli, poi ritirati … in autotutela, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità e orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare” (Cass.Civ.,Sez.Un.,Ord. 23 marzo 2011, n. 6594).
Ad essere “offeso” non è, pertanto, l’’interesse legittimo del contraente ma il suo diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti contrattuali, cioè la libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza (Cons. Stato, Ad. Plen., sentenza n. 5 del 4 maggio 2018, Adunanza Plenaria 5 settembre 2005, n. 6; Cass. Civ., SS.UU., 12 maggio 2008, n. 11656; Cass. Civ., Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636).
Con particolare riferimento alle procedure di evidenza pubblica la responsabilità di cui si tratta potrà, allora, configurarsi sia in presenza del preventivo annullamento per illegittimità di atti della sequenza procedimentale di gara sia in caso del presupposto della loro validità ed efficacia.
Ne consegue che qualora l’Amministrazione, rilevando un errore nella procedura già esperita, autoannulla in via di autotutela la gara, ancorché sia intervenuta l’aggiudicazione (definitiva) in capo all’impresa vincitrice della selezione, ferma la legittimità dell’atto di autotutela, dovrà risarcire il danno da quest’ultima patito a titolo di responsabilità precontrattuale (Tar Campania – Napoli, I, 26.8.2003 n. 11259; Tar Campania – Napoli, I, 3.6.2002 n. 3258).
In particolare, è da ritenersi ammissibile ed accogliibile la richiesta risarcitoria del contraente privato:
a) in caso di revoca della indizione e della aggiudicazione per esigenze di ampia revisione del progetto disposta dopo vari anni dopo l’espletamento della gara;
b) per impossibilità di realizzare l’opera per mutate condizioni dell’intervento;
c) nel caso di annullamento di ufficio degli atti di gara per vizio rilevato dall’amministrazione solo in seguito alla aggiudicazione definitiva o che avrebbe dovuto rilevare all’inizio della procedura;
d) nel caso di revoca dell’aggiudicazione o rifiuto di stipulare il contratto per mancanza di fondi.
Ebbene “in tutti tali casi, se la diversa valutazione dell’interesse pubblico è stata dovuta a carenze gestionali o di attenzione, sin dall’inizio della indizione della procedura di gara, sussistono gli estremi della responsabilità precontrattuale” (Consiglio di Stato, Sez. V n. 790/20.2.2014).
L’affidamento incolpevole.
Deve, poi, rilevarsi che l’affidamento ritenuto meritevole di tutela è quello identificabile in un comportamento del cittadino che possa essere considerato incolpevole (Cass., Sez.Un., Ord. 4 settembre 2015, n. 17586), in applicazione del principio di leale collaborazione e correttezza che presidia il rapporto giuridico amministrativo di durata (Cass., Sez. Un., 4 settembre 2015, n. 17586; Cass., Sez. Un., 22 maggio 2017, n. 12799; Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2018, n. 1654; Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22435).
Il privato perché possa essere risarcito dovrà, dunque, essere in buona fede. Tanto perché la tutela del legittimo affidamento non è assoluta e non opera quando l’affidamento è riconducibile ad una condotta negligente, imprudente o, addirittura, fraudolenta del cittadino o dell’operatore economico che entra in contatto con la P.A.
Ciò significa che, se la situazione di vantaggio è conseguita al privato tramite l’utilizzo di dichiarazioni false o mendaci oppure per il tramite di comportamenti posti in essere in malafede, non si può formare quell’affidamento legittimo che giustifica il risarcimento del danno subito dal privato in seguito alla rimozione del provvedimento da parte della P.A.
Ed ancora.
Il tratto distintivo che rende l’affidamento “incolpevole” è quello cronologico. L’affidamento diventa pienamente tutelabile liddove il vantaggio viene mantenuto per un arco di tempo tale da convincere incolpevolmente il beneficiario della sua stabilità e definitività.
I danni risarcibili.
Sotto il profilo dei danni risarcibili, infine, si riscontrano profonde differenze. Mentre i danni da mancata aggiudicazione sono parametrati, in giurisprudenza, al cosiddetto interesse positivo, e consistono nell’utile netto ricavabile dall’operazione contrattuale, nel caso della responsabilità precontrattuale i danni sono limitati all’interesse negativo, ravvisabile, nel caso delle procedure di evidenza pubblica, nelle spese inutilmente sostenute per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative.
La responsabilità precontrattuale, si pone, difatti, come legittimante unicamente il risarcimento del cosiddetto “interesse negativo”, vale a dire l’interesse a non essere coinvolto in inutili trattative, comportanti, oltre ad uno spreco di tempo, esborsi economici di varia natura ed eventualmente il mancato conseguimento di utilità derivanti da altre opportunità contrattuali.
Pertanto, diversamente dal caso dei danni da “mancata” aggiudicazione il pregiudizio ripagabile è contenuto nei limiti delle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto (danno emergente) e della perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione, con altri, di un contratto ugualmente o maggiormente vantaggioso (lucro cessante) – Cons. St. 2 aprile 2019 n. 2181; Cons. St., sez. V, 3 gennaio 2019, n. 697; id. 27 marzo 2017, n. 1364; id., sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 790; id., V, 6 marzo 2013, n. 1357.
Sul punto, peraltro è ius receptum in giurisprudenza che, in tema di responsabilità̀ precontrattuale, è onere del ricorrente dedurre e provare la sussistenza del danno.
Il suddetto onere è ritenuto interamente esigibile sia quanto alla sussistenza e all’entità̀ delle spese vive, nella misura calcolata e con puntuale specificazione dei relativi criteri utilizzati, sia quanto agli ulteriori costi sopportati (ad esempio quantità di tempo/lavoro e/o le risorse umane ed economiche impiegate nelle trattative ovvero ai fini della progettazione intellettuale dell’offerta).
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