Tutela legale e risarcimento dei danni a favore degli operatori sanitari contagiati da Covid-19

Principi e rimedi giuridici in tema di danni alla salute subiti dai sanitari durante l’esercizio della propria attività lavorativa.
SOMMARIO:
La tutela della salute del lavoratore nell’ordinamento giuridico italiano. 1
Il D.Lgs. n. 81/2008 e le misure di sicurezza contro il Covid-19. 2
L’INAIL e l’assicurazione contro gli infortuni 3
Il diritto al risarcimento dei danni e il danno c.d. differenziale. 4
In questo periodo di profondo turbamento del nostro Paese, a causa della diffusione del Covid-19, che mette a rischio ogni giorno la nostra salute e la nostra tranquillità, assume più che mai particolare rilievo la tutela della salute dei lavoratori che prestano la propria attività proprio nell’ambito del sistema sanitario.
L’emergenza sanitaria che tutti noi stiamo vivendo, ci impone una riflessione anche sui risvolti giuridici della pandemia con riguardo agli aspetti che afferiscono il personale sanitario che quotidianamente combatte contro questo nemico invisibile, e che, molto spesso si trova di fronte al rischio di contrarre la malattia e di contagiare, a loro volta i pazienti ricoverati.
Nell’attuale scenario pandemico, infatti, quella dei sanitari rappresenta la percentuale più alta dei casi positivi accertati.
Già solo nel monitoraggio dello scorso anno, la scheda tecnica INAIL su “I dati sulle denunce da COVID-19 (monitoraggio al 31 ottobre 2020)” evidenziava come, al 31 ottobre, siano state 66.781 le denunce di infortunio sul lavoro a seguito di COVID-19 e il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili…) rappresentasse il 69,8% delle denunce.
Di fronte ad una entità di numeri così importante, sorge pertanto spontaneo chiedersi, come possono difendersi gli operatori sanitari e quali sono tutele loro offerte dalla legge in simili situazioni.
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In caso di contenzioso, appare meno difendibile la posizione delle…

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La tutela della salute del lavoratore nell’ordinamento giuridico italiano
Nell’ordinamento giuridico italiano, il diritto dei lavoratori all’igiene e alla sicurezza sul luogo di lavoro trova espresso fondamento nella Carta costituzionale.
E’ la Costituzione italiana (articoli 2, 32 e 41), innanzitutto, che sancisce la tutela della persona umana nella sua integrità psico-fisica come principio assoluto ai fini della predisposizione di condizioni ambientali sicure e salubri.
In particolare, gli art. 32 e 41 Cost. tutelano la salute non solo in quanto fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, ma anche come limite al libero esercizio dell’iniziativa economica privata.
La salute assume un profilo individuale ed un profilo collettivo (generale) ed il fatto che il diritto alla salute sia affermato come diritto fondamentale sta a significare che esso ha un rilievo preminente rispetto ad altri diritti pur riconosciuti dalla costituzione stessa, come il diritto all’iniziativa economica.
Così, come limite all’attività imprenditoriale, il diritto alla salute impone che il datore di lavoro non può invocare l’art.41, Cost. per giustificare scelte organizzative che mettano a repentaglio la sicurezza dei propri dipendenti o collaboratori.
L’attività economica, insomma, non può svolgersi, in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Se questi sono i principi fondamentali, il necessario corollario è contenuto nell’art. 2087 c.c. che impone la massima sicurezza tecnologicamente fattibile sul luogo di lavoro e il correlato obbligo di ricorrere alla migliore scienza ed esperienza per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, attribuendo al datore di lavoro una funzione di garanzia in ordine alla realizzazione della tutela della salute e della sicurezza stessa del singolo lavoratore.
La centralità della salute nei luoghi di lavoro, viene quindi ulteriormente confermata e dettagliata nel D.lgs. n.81/2008 che all’art. 2, lett. n), prevede l’obbligo di predisporre non soltanto misure strettamente tecniche, ma ogni comportamento che sia idoneo ad evitare il verificarsi del rischio presente in azienda, anche di natura organizzativa.
Il D.Lgs. n. 81/2008 e le misure di sicurezza contro il Covid-19
Tra le misure di sicurezza previste dal legislatore del 2008, si evidenziano, in particolare quelle relative alla programmazione della prevenzione, alla valutazione e informazione sui rischi e quelle in merito alla fornitura di idonei dispositivi di protezione individuale.
Nell’attuale emergenza sanitaria gli obblighi in capo al datore di lavoro si sono senz’altro intensificati e sono divenuti via via più stringenti.
I datori di lavoro, infatti, sono tenuti altresì al rispetto delle normative speciali (Decreti e Ordinanze) emanate, in via d’urgenza, a tutela dell’incolumità pubblica e della salute della collettività, da Governo e Regioni, che, sono intervenute con disposizioni di dettaglio per contrastare il contagio da Covid-19, prevedendo restrizioni sulle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, di svolgimento di incontri e riunioni, di accesso agli spazi destinati alle mense etc..
E’ stato, poi, disciplinato il comportamento da adottare in caso di contagi sospetti o confermati e sono state dettate regole sulla rilevazione della temperatura, l’igiene e la sanificazione dei luoghi di lavoro.
Di particolare importanza sono anche tutte quelle disposizioni di dettaglio che hanno previsto una serie di misure per la protezione individuale (prescrivendo l’uso obbligatorio di mascherine), per l’igiene e sanificazione dei luoghi di lavoro (prescrivendo la tenuta di erogatori di disinfettante) e per il distanziamento fisico, il lavaggio delle mani e la sorveglianza sanitaria.
L’INAIL e l’assicurazione contro gli infortuni
Prima di esporre le conseguenze che la violazione delle suddette norme comporta in caso di contagio, sul piano civile, in termini di responsabilità contrattuale per il datore di lavoro, è appena il caso di introdurre l’importante intervento legislativo intervento nella materia.
Infatti, nel complesso quadro di misure eccezionali introdotte dal Governo per fronteggiare la situazione pandemica, il D.L. n. 18/20, c.d. “Decreto Cura Italia”, è intervenuto con una specifica disposizione volta ad offrire un’immediata tutela economica ai lavoratori in caso di effettivo contagio da Covid.
L’art. 42, co. 2, rubricato “Disposizioni INAIL”, in particolare, equipara i casi di accertata infezione da COVID-19 nell’ambito dei luoghi di lavoro, all’accertamento di ogni altro evento infortunistico, ai fini dell’erogazione delle prestazioni INAIL;
Se ad un primo momento abbiamo assistito a qualche incertezza interpretativa nell’applicazione della norma, a far chiarezza sul punto è intervenuta la successiva circolare INAIL n. 13/2020, con cui l’Istituto previdenziale ha espressamente chiarito che anche i casi di Covid-19, relativi a medici, infermieri ed altri operatori sanitari in genere, sono da inquadrarsi come infortuni sul lavoro, “laddove sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro, oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Non solo, l’INAIL, ha inoltre precisato, che, nei casi in cui non fosse possibile stabilire né provare in quale occasione sia avvenuto il contagio, si può presumere (quindi senza necessità della prova) che lo stesso si sia verificato sul posto di lavoro, in considerazione delle mansioni del dipendente contagiato e di ogni eventuale altro indizio in tal senso.
Simile previsione non può che favorire principalmente gli operatori sanitari, esposti, certamente, per le loro mansioni specifiche, ad un elevato rischio di contagio, come ribadito anche nella successiva Circolare INAIL n. 13, del 3 aprile 2020.
Ad una condizione di elevato rischio di contagio possono essere, parimenti ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico, come coloro che operano in front-office, alla cassa, o il personale operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto etc.
L’applicazione di quanto sopra, consente così agli operatori sanitari una prima tutela rapida ed efficace del diritto leso, prescindendo dall’esatta individuazione del momento in cui il virus è stato contratto, tanto è vero che in questi casi si è parlato anche di “Rischio aggravato per operatori sanitari e categorie in costante contatto con l’utenza”
La trattazione del contagio da Covid-19 come infortunio sul lavoro non ha escluso, poi l’applicabilità del c.d. infortunio in itinere, e la tutela concorrente della malattia professionale, allorché ne siano provati tutti gli elementi costituitivi della stessa.
Per le malattie professionali, infatti, non basta l’occasione di lavoro come per gli infortuni, cioè un rapporto anche mediato o indiretto con il rischio lavorativo, ma deve esistere un rapporto causale, o concausale, diretto tra il rischio professionale e la malattia.
Il diritto al risarcimento dei danni e il danno c.d. differenziale
Orbene, l’indennizzo assicurativo non esaurisce le forme di tutela previste dall’ordinamento in favore degli operatori sanitari contagiati.
In caso di contagio, come accennato in precedenza, potrebbe configurarsi una responsabilità contrattuale del datore di lavoro per inadempimento degli obblighi di cui al sopra citato art. 2087 c.c. e alle disposizioni di sicurezza richiamate, prima tra tutte quelle contenute nel D.Lgs. n. 81/08.
Tuttavia, perché scatti il risarcimento del danno in favore del lavoratore non è di per sé sufficiente, il mero riconoscimento del contagio come infortunio sul lavoro.
Il Datore di Lavoro, risponde infatti, penalmente e civilmente, delle infezioni di origine professionale dei dipendenti solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per colpa.
A tale riguardo è opportuno richiamare la recente circolare INAIL n. 22/2020 che confermato la differenza sussistente nel nostro ordinamento tra indennizzo e risarcimento.
Precisa l’Istituto che non si possono confondere i criteri applicati dall’Inail per il riconoscimento di un indennizzo a un lavoratore infortunato con quelli totalmente diversi che valgono in sede penale e civile, dove l’eventuale responsabilità del datore di lavoro deve essere rigorosamente accertata attraverso la prova del dolo o della colpa nella determinazione dell’infortunio, come il mancato rispetto della normativa a tutela della salute e della sicurezza (che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali ad esempio).
Ne consegue che, il datore di lavoro, può essere tenuto a rispondere civilmente per gli infortuni sul lavoro dei propri dipendenti allorché il sinistro sia riconducibile ad un suo comportamento colpevole per aver violato uno specifico obbligo di sicurezza imposto dalle norme di legge o dalle specifiche disposizioni contenute nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali.
Di conseguenza, si può ad esempio ritenere passibile di responsabilità, per il contagio dei propri dipendenti, una struttura sanitaria, che non provveda alla fornitura di idonei dispositivi di protezione individuale (DPI), in quanto specificamente previsti dalle vigenti norme in materia per la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Accertata la responsabilità del datore di lavoro, per violazione delle norme poste a tutela della salute e sicurezza del lavoratore, il lavoratore può, dunque richiedere il risarcimento della differenza tra quanto versato dall’Inail a titolo di indennizzo per infortunio sul lavoro o malattia professionale, e quanto è possibile richiedere al datore di lavoro a titolo appunto, di risarcimento del danno in sede civile (c.d. danno differenziale).
In altre parole, spetta al lavoratore in questi casi il riconoscimento di una somma ulteriore rispetto a quello riconosciutogli e ristorato dall’ente previdenziale, al fine di risarcirlo di tutto il danno  subito in conseguenza dell’evento che ha determinato il suo infortunio o la sua malattia.
L’INAIL, infatti, riconosce un indennizzo in maniera automatica, con lo scopo di garantire mezzi adeguati al lavoratore che abbia subito un infortunio, che non è però sufficiente e comprensivo di tutti gli effettivi pregiudizi subiti.
In concreto, l’integrazione risarcitoria riguarda il danno subito dal lavoratore per le violazioni commesse dal datore di lavoro nella sua interezza; essa include, pertanto, la lesione alla salute e alla capacità reddituale, il peggioramento della qualità della vita del lavoratore (danno biologico) e il suo turbamento interiore (danno morale), ed anche le spese “vive” sostenute dal lavoratore (si pensi alle spese mediche, etc.), così come il mancato guadagno cagionato dall’infortunio occorso (danno patrimoniale).
Per ottenere il riconoscimento del danno differenziale, il lavoratore è tenuto a fornire la prova dell’infortunio-contagio subito e della violazione da parte del datore di lavoro dei doveri di tutela dell’integrità fisica dei propri dipendenti.
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