Può essere riconosciuto il diritto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione

 
 
(Annullamento con rinvio)
 
Il fatto
 
Con  ordinanza, giudicando in sede di rinvio disposto da Cass. pen., Sez. 4, con sentenza n. 54831 del 10 ottobre 2018, la Corte d’appello di Milano, accoglieva parzialmente una istanza ex art. 314 cod. proc. pen. con cui veniva liquidata al richiedente la somma di 3.100 euro a titolo di indennizzo per l’ingiusta detenzione patita nella misura di 31 giorni pari alla differenza tra la custodia cautelare sofferta – dapprima in carcere (quattro mesi) e successivamente agii arresti domiciliari (un mese e un giorno) – per complessivi mesi cinque e giorni uno e la pena di mesi quattro di reclusione definitivamente inflitta per il delitto di turbativa degli incanti, con esclusione della contestata circostanza aggravante di cui all’art. 353, comma 2, cod. pen..
 
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
 
Avverso tale ordinanza, il condannato, tramite il difensore di fiducia e procuratore speciale, proponeva ricorso per cassazione affidato a un motivo ossia: violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 314 e 315 cod. proc. pen..
Assumeva a tal proposito il ricorrente che la motivazione sarebbe stata contraddittoria e illogica con riferimento all’importo liquidato per l’ingiusta detenzione patita in quanto, in primo luogo, la Corte di appello avrebbe erroneamente decurtato quattro mesi di reclusione, pari alla pena definitivamente inflitta per il delitto ex art. 353 cod. pen. (esclusa, pertanto, l’aggravante ex art. 353, comma 2, cod. pen.), senza considerare che, per detto reato, non è ammissibile l’applicazione della custodia in carcere mentre, in secondo luogo, a suo avviso, l’importo considerato dalla Corte territoriale, pari a 120 al giorno, sarebbe stato ingiusto a fronte dei danni patiti a causa della carcerazione, come la perdita del lavoro, le conseguenze sullo stato di salute e la crisi coniugale.
 
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
 
Il ricorso veniva stimato fondato per le seguenti ragioni.
Si osservava prima di tutto come il ricorrente avesse patito la misura della custodia in carcere, poi sostituta con quella degli arresti domiciliari, in relazione al delitto aggravato di cui all’art. 353, comma 2, cod. pen. e come fosse stato definitivamente condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, condizionalmente sospesa, per il delitto di cui all’art. 353, comma 1, cod. pen.; al momento del fatto, in relazione al quale costui era stato definitivamente condannato, l’art. 353, comma 1, cod. pen. comminava la pena detentiva fino a due anni di reclusione.
Ciò posto, gli Ermellini stimavano come non avesse pregio la motivazione della Corte territoriale la quale si richiamava quanto affermato da Cass., Sez. 4, sentenza n.. 57368 dell’11/10/2018, che a sua volta si era appellata al principio secondo cui, in tema di ingiusta detenzione, con riguardo alla previsione di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., non può dare diritto alla riparazione la circostanza che il richiedente abbia ottenuto, in sede di cognizione, la sospensione condizionale della pena in ordine al reato relativamente al quale era stato sottoposto a custodia cautelare – previa esclusione della circostanza aggravante contestata -, sempre che l’entità della condanna sia superiore alla durata della custodia cautelare subita mentre, in caso contrario, il diritto alla riparazione sussiste limitatamente alla parte di custodia cautelare che soverchi la misura della condanna (così Sez. 3, n. 12394 del 14/12/2016) posto che, in quest’ultima decisione, era stato negato il presupposto per ottenere l’ingiusta detenzione in considerazione dell’irrilevanza della sospensione condizionale della pena riconosciuta in sede di merito con riguardo a un delitto (la procurata inosservanza di pena ex art. 390, comma 1, prima parte, cod. pen.) per il quale, in ogni caso, era ammissibile l’applicazione di una misura cautelare personale.
Orbene, nella vicenda in questione, invece, a parere dei giudici di piazza Cavour, il dato rilevante – la cui valutazione era stata omessa dalla Corte territoriale – non era rappresentato dalla circostanza che il ricorrente, al momento in cui era stata disposta la misura custodiale, avrebbe potuto beneficiare dalla sospensione condizionale della pena bensì che per il titolo di reato, per il quale era intervenuta la condanna definitiva, non era ammessa, all’epoca del fatto, la custodia cautelare in carcere rilevandosi come in tal senso deponesse il chiaro dato letterale dell’art. 314, comma 2, cod. pen., che riconosce il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche “al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso (…) senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280”; tale ultima disposizione, in particolare, stabilisce, al comma 2, che la custodia in carcere può essere disposta solo per i delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni mentre, nel caso de quo, il delitto ex art. 353, comma 1, cod. pen. prevedeva, all’epoca del fatto, la pena di due anni di reclusione sicché, non sussistendo le condizioni di applicabilità previste dall’art. 280, comma 2, cod. proc. pen., non poteva essere disposta la custodia cautelare in carcere.
Il Supremo Consesso, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, affermava il seguente principio di diritto: va riconosciuto il diritto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione al condannato per un delitto, diversamente qualificato rispetto a quello contestato con l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, in relazione al quale non poteva essere disposta la misura custodiale per difetto delle condizioni di applicabilità previste dall’art. 280, comma 2, cod. proc. pen..
Orbene, una volta enunciato tale criterio ermeneutico, i giudici di legittimità ordinaria, pur avendo riconosciuto il diritto dell’istante alla riparazione per l’ingiusta detenzione avendo escluso una condotta dolosa o colposa del condannato atteso che il giudice era oggettivamente nelle condizioni di negare la misura, osservavano come la Corte territoriale avesse però erroneamente limitato il periodo di ingiusta detenzione a soli 31 giorni, pari all’eccedenza rispetto alla pena inflitta in sede di merito, senza considerare che ab origine difettavano i presupposti applicativi della misura custodiale ex art. 280, comma 2, cod. proc. pen..
Dunque, fermo restando il riconosciuto diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, l’ordinanza impugnata veniva perciò essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
 
Conclusioni
 
La decisione in oggetto è assai interessante nella parte in cui viene affermato il principio di diritto secondo il quale va riconosciuto il diritto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione al condannato per un delitto, diversamente qualificato rispetto a quello contestato con l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, in relazione al quale non poteva essere disposta la misura custodiale per difetto delle condizioni di applicabilità previste dall’art. 280, comma 2, cod. proc. pen..
Di conseguenza, tale pronuncia può essere presa nella dovuta considerazione per proporre richiesta di riparazione per ingiusta detenzione ove si verifichi una situazione giuridica di questo genere.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tale tematica processuale, dunque, non può che essere positivo.
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