Non si configura alcuna incompatibilità, ai sensi dell’art. 34 c.p.p., a partecipare al giudizio per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca a carico del giudice che abbia precedentemente adottato il provvedimento di sequestro, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 20

(Ricorsi dichiarati inammissibili)
(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., art. 34; D.lgs., 6/09/2011, n. 159, art. 20)
Il fatto
La Corte d’appello di Roma dichiarava inammissibile l’istanza di ricusazione ex art. 37 c.p.p. presentata dai ricorrenti avverso i componenti del collegio della Sezione autonoma delle misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ai fini della pronuncia della decisione sulla confisca – misura di prevenzione, per avere il medesimo collegio espresso un giudizio anticipato nel merito, nel provvedimento di rigetto della richiesta di dissequestro dei beni sequestrati avanzata dalla terza interessata R..
A fondamento della decisione, la Corte territoriale aveva rilevato come la progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione – rimarcata anche in alcune pronunce di questa Corte di legittimità, collegata all’esigenza di imparzialità del giudice affermata dalla Costituzione e dalla normativa sovranazionale – non possa non tenere conto delle finalità specifiche del procedimento di prevenzione, che non consentono di effettuare la mera trasposizione della disciplina posta presidio dell’imparzialità del giudice della cognizione, trattandosi di procedimenti aventi un oggetto diverso.
Sotto diverso aspetto, la Corte calabrese aveva posto in luce che, nel modello legale del procedimento di prevenzione, diversamente da quanto accade nel giudizio penale regolato dal principio di separazione tra fasi, non v’è una separazione funzionale tra il giudice della fase cautelare (che adotti il provvedimento di sequestro dei beni) ed il giudice della decisione di primo grado (demandato all’adozione del provvedimento di confisca degli stessi beni sequestrati).
 
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
 
Nel ricorso a firma del comune difensore di fiducia, veniva chiesto l’annullamento del provvedimento per l’unico motivo con cui si eccepivano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli artt. 34, 36 e 37 c.p.p. e vizio di motivazione.
A supporto della deduzione, il comune difensore evidenziava che: a) il Tribunale aveva rigettato l’istanza di dissequestro l’ordinanza del 6 maggio 2019 con un provvedimento assunto de plano senza procedere, come invece avrebbe dovuto fare, con la forma dell’incidente di esecuzione consentendo il confronto fra le parti nel contraddittorio; b) in tale provvedimento di rigetto della richiesta di dissequestro, il collegio aveva espresso una valutazione di merito da ritenere pregiudicante l’imparzialità ai fini della decisione sulla confisca o comunque dante luogo ad un dovere dei componenti del collegio di astenersi ai sensi dell’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. h), (cioè per gravi ragioni di convenienza).
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
I ricorsi venivano dichiarati inammissibili in quanto manifestamente infondati.
Si osservava prima di tutto in via preliminare che – come anche evidenziato dai ricorrenti – sussiste effettivamente un contrasto interno alla giurisprudenza della Cassazione quanto alla applicabilità nel procedimento di prevenzione delle cause di incompatibilità previste nel codice di procedura penale, con particolare riguardo a quella di cui all’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b).
Difatti, negli arresti più recenti, prevale l’orientamento secondo cui la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice contenuta nel codice di procedura penale è applicabile anche al procedimento di prevenzione attesa la natura giurisdizionale dello stesso e l’incidenza su diritti di rilievo costituzionale che impongono l’osservanza delle garanzie del giusto processo tra le quali rilievo primario va riconosciuto all’imparzialità del giudice, orientamento certamente condivisibile. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto applicabile il motivo di ricusazione, previsto dall’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b), al presidente del collegio incaricato dell’impugnazione avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione patrimoniale della confisca che in precedenza, quale giudice per le indagini preliminari, aveva applicato la misura cautelare della custodia cautelare in carcere per i medesimi fatti posti a fondamento della misura di prevenzione). (Sez. 6, n. 41975 del 02/04/2019; Sez. 6, n. 51793 del 13/09/2018).
Pur tuttavia, veniva, nondimeno, rilevato come, dall’estensione al procedimento di prevenzione delle regole previste dal codice di rito in materia d’incompatibilità, non discenda la ravvisabilità di una causa di incompatibilità quanto all’assunzione dei provvedimenti in relazione alla confisca-misura di prevenzione per avere il medesimo giudice componente del collegio (o tutti i componenti di esso) adottato – nello stesso procedimento – provvedimenti in relazione al sequestro-misura di prevenzione atteso che, nell’architettura del procedimento di prevenzione, non è prevista una soluzione di continuità tra la fase c.d. cautelare – nella quale il tribunale provvede all’adozione del sequestro – e quella definitiva, nella quale il medesimo giudice decide sulla richiesta di confisca.
In particolare, veniva rilevato come ciò risultasse evidente alla luce delle norme del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, da cui si evince chiaramente come l’adozione del sequestro in via cautelare discenda dalla medesima “causa” del provvedimento definitivo di confisca – id est da un’unica richiesta dell’inquirente – e come, d’altra parte, il decreto n. 159 del 2011 non preveda la competenza di un giudice diverso provvedervi rilevandosi al contempo come in tale senso si fosse già pronunciata la Cassazione allorché venne rilevare quanto segue: “il procedimento penale è luogo di più elevato tasso di garanzia in rapporto alle sue caratteristiche ontologiche (ricostruzione compiuta del fatto dedotto nella imputazione) e finalistiche (l’eventuale inflizione di una pena) lì dove il procedimento applicativo di misura di prevenzione è diversamente modellato (specie in rapporto alla fase del primo grado) sia sul piano funzionale (non si ricostruisce in quanto tale uno specifico fatto di reato, ma si realizza un aspetto cognitivo sulle condotte della persona in funzione della formulazione, positiva o negativa, di una prognosi di pericolosità attuale e/o di illecita accumulazione patrimoniale) che strutturale, essendo caratterizzato da una maggiore elasticità di forme. Negare tale diversità strutturale e funzionale, in chiave di netta equiparazione (tra i due ambiti) delle regole in tema di incompatibilità del giudice per valutazioni espresse nel medesimo procedimento e correlata astensione e ricusazione sarebbe operazione del tutto illogica, oltre che antigiuridica, posto che l’apprezzamento delle diversità e la loro tollerabilità in chiave di tutela dei diritti fondamentali è l’in sé della interpretazione giuridica. Non può non evidenziarsi, in particolare, che in sede di prevenzione, nel modello legale del procedimento, non vi è separazione funzionale tra giudice della fase cautelare (in caso di sequestro dei beni, di emissione provvisoria del provvedimento di ritiro del passaporto ai sensi dell’art. 9 o di anticipazione dei divieti di cui all’art. 67 comma 3 D.Lgs. 2011) e giudice della decisione di primo grado, aspetto improponibile nel giudizio penale (caratterizzato da marcata differenziazione, derivante anche dal principio di separazione tra le fasi del procedimento) e che offre la misura di come il legislatore (anche quello della riforma adottata con il riordino dei testi in tema di prevenzione, datata 2011) abbia diversamente apprezzato – in modo non irragionevole – la necessità di tutela dell’apparenza di imparzialità, accordando al contraddittorio ed allo sviluppo successivo del procedimento – in caso di prevenzione – la capacità persuasiva idonea a smentire, potenzialmente, una prima valutazione operata dal collegio in sede cautelare. Così come, in sede di prevenzione patrimoniale, il giudice procedente è investito di un ampio potere officioso anche in tema di individuazione – tramite le attività gestionali svolte dall’amministratore giudiziario – di ulteriori beni potenzialmente confiscabili, il che rappresenta una caratteristica tipica ed esclusiva di tale forma di giudizio, espressamente prevista dalla legge. In dette ipotesi, dunque, non può certo affermarsi che il procedimento di prevenzione “perda” i connotati della giurisdizionalità (il che implicherebbe la necessità di promuovere una interpretazione adeguatrice o sollevare il dubbio di costituzionalità) essendo – per converso – la disciplina positiva interpretabile come la proiezione della diversità di oggetto del procedimento (in tal senso, tra le altre, Sez. H n. 2821 del 2.12.2008, Rv. 242720). Una giurisdizione che tollera l’identità soggettiva tra giudice della misura cautelare e giudice della decisione di primo grado (come quella della prevenzione) non può dirsi per ciò solo minore ma, più semplicemente adotta un diverso modello di tutela della imparzialità rapportato alla diversa tipologia di giudizio. Nel processo penale la natura degli interessi protetti (possibile inflizione di pena) si salda all’adozione di un modello procedimentale basato sulla tendenziale sterilizzazione del “giudizio” da conoscenze maturate nella fase investigativa. Da qui l’adozione di una tutela rigida in punto di disciplina delle incompatibilità per valutazioni compiute nella fase anteriore del medesimo procedimento (art. 34, 36 e 37 c.p.p.). In sede di prevenzione non vi è separazione delle fasi (il che esclude l’influenza negativa della conoscenza dei materiali investigativi) e la componente cognitiva sulle condotte del proposto è solo una frazione del giudizio, essenzialmente consistente in una prognosi sulle condotte future (con valutazione di pericolosità che può supportare, anche in via incidentale, l’ablazione patrimoniale). Da ciò deriva che il connotato di giurisdizionalità della prevenzione – sul piano della disciplina del procedimento – resta integro, pur nella attuale disciplina (con limitazione della incompatibilità di cui all’art. 34 c.p.p. al solo caso previsto da detta norma al comma 1, norma posta a tutela del sistema delle impugnazioni) posto che la cd. forza pregiudicante endoprocedimentale della prima valutazione (quella cautelare) pur esistente, può essere neutralizzata dal successivo dispiegarsi del contraddittorio nel corso della trattazione del procedimento, con fiducia normativa nelle capacità di selezione dei dati e di adeguamento valutativo da parte del giudice” (così si legge nella motivazione della sentenza Sez. 1, n. 43081 del 27/05/2016).
Detto questo, una volta reputato assodato che il sequestro-misura di prevenzione e la confisca-misura di prevenzione insistono sulla medesima fase processuale, nel procedimento di prevenzione non può non trovare applicazione la regola processuale di carattere generale, ormai stabilizzata nel diritto vivente, secondo cui non v’è causa d’incompatibilità in relazione alle funzioni legittimamente esercitate dal giudice nella stessa fase del procedimento, atteso che, altrimenti, ne deriverebbe la frammentazione di quest’ultimo e si consentirebbe alle parti, per mezzo della reiterazione di istanze incidentali, di determinare la rimozione del giudice già investito del processo (fattispecie relativa alla materia de liberiate). (Sez. 6, n. 16453 del 10/02/2015), gli Ermellini ritenevano possibile ribadire il principio di diritto secondo cui non si configura alcuna incompatibilità, ai sensi dell’art. 34 c.p.p., a partecipare al giudizio per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca a carico del giudice che abbia precedentemente adottato il provvedimento di sequestro, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 20, dal momento che tale provvedimento ha carattere interinale e provvisorio o destinato ad essere sostituito da una pronuncia decisoria finale e non può dirsi riferibile ad una fase antecedente ed autonoma del procedimento (Sez. 6, n. 49254 del 14/10/2016).
 
Conclusioni
 
La decisione in questione è assai interessante in quanto in essa si afferma il principio di diritto secondo il quale non si configura alcuna incompatibilità, ai sensi dell’art. 34 c.p.p., a partecipare al giudizio per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca a carico del giudice che abbia precedentemente adottato il provvedimento di sequestro, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 20.
Come visto poco prima, gli Ermellini addivengono a formulare tale criterio ermeneutico, citando un precedente conforme, in quanto tale provvedimento di sequestro ha carattere interinale e provvisorio o è destinato ad essere sostituito da una pronuncia decisoria finale e non può dirsi riferibile ad una fase antecedente ed autonoma del procedimento.
E’ dunque sconsigliabile, per la difesa, perlomeno alla stregua di questo approdo ermeneutico, eccepire una incompatibilità del giudice di tal genere in questo caso.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, non può che essere positivo.
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