Nella responsabilità medica, grava sul sanitario convenuto l’onere di provare la presenza di cause preesistenti idonee di per sé sole a produrre il peggioramento delle condizioni di salute del paziente
Fatto
Il tribunale di Tivoli ha recentemente depositato una interessante decisione con cui prende posizione su alcune questioni in tema di responsabilità medica.
Il caso trae origine da una domanda di un paziente che aveva adito il tribunale di Tivoli per ottenere la condanna della struttura sanitaria e del medico – dipendente della struttura sanitaria – che aveva eseguito un’ operazione chirurgica cui lo stesso si era sottoposto nel 2013, al risarcimento dei danni dallo stesso subiti a seguito di detto intervento chirurgico.
In particolare, riferiva l’attore che nell’agosto del 2013 era stato ricoverato presso l’ospedale dove aveva subito un intervento chirurgico per il posizionamento di uno sfintere a causa della sua incontinenza urinaria. Dopo qualche settimana da detto intervento, l’attore sosteneva di essersi recato presso una diversa struttura sanitaria perché gli fosse applicato un catetere artificiale e successivamente il dottore che aveva eseguito il primo intervento, dopo averlo visitato presso il suo studio privato, lo faceva ricoverare nuovamente presso l’ospedale al fine di applicargli nuovamente il catetere. Infine, vista la persistenza delle problematiche, il paziente, nell’ottobre del 2013, era stato costretto a rivolgersi ad un diverso medico per effettuare un nuovo intervento per eliminare la protesi (che non era più funzionale) e, a seguito di detto nuovo intervento, il diverso medico accertava il danneggiamento dell’uretra del paziente e l’impossibilità di impiantare nuove protesi.
In conseguenza dell’errore medico, che aveva determinato l’impossibilità di impiantare la protesi per risolvere l’incontinenza urinaria, l’attore sosteneva di aver subito un danno irreversibile all’uretra nonché una problematica di carattere psicologico (in particolare una sindrome depressiva) e ne chiedeva quindi il risarcimento al Tribunale di Tivoli.
Il medico convenuto si costituiva in giudizio chiedendo, non soltanto il rigetto della domanda attorea, ma chiamando in causa anche l’azienda sanitaria presso cui lo stesso era dipendente ed aveva eseguito l’operazione di cui è causa per essere da questa manlevato e tenuto indenne dalle richieste risarcitorie del paziente. In particolare, il medico rilevava come gravasse sull’azienda sanitaria un obbligo diretto di manlevare i propri dipendenti per le responsabilità connesse all’attività professionale da questi eseguita quali dipendenti della struttura.
La struttura sanitaria, invece, si costituiva chiedendo il rigetto, non soltanto delle domande attore, ma anche di quelle spiegate nei propri confronti dal medico convenuto e chiedeva, in via subordinata, che il tribunale di Tivoli provvedesse a graduare la responsabilità dei due convenuti (cioè della stessa struttura sanitaria e del medico), dopo aver accertato i vari livelli di responsabilità nella determinazione del sinistro.
La decisione del Tribunale
Il tribunale di Tivoli ha accolto la domanda formulata dall’attore e rigettato le richieste di manleva del sanitario nei confronti dell’ospedale.
Preliminarmente, il tribunale ha rilevato come la domanda formulata dall’attore sia da inquadrarsi all’interno della responsabilità contrattuale, in quanto in materia di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica sia la struttura sanitaria che il medico rispondono a titolo contrattuale qualora il paziente abbia subito un sinistro a causa della non diligente esecuzione della prestazione professionale da parte del medico dipendente della struttura sanitaria. A tal proposito, occorre rilevare come la disciplina applicabile al caso di specie ratione temporis visse fosse quella introdotta dalla legge Balduzzi (quindi con la previsione di una responsabilità da contatto sociale, di carattere contrattuale, del medico, oggi esclusa dalla legge Gelli bianco). In secondo luogo, il tribunale ha ribadito come nella suddetta materia la struttura sanitaria risponda non soltanto per l’inadempimento delle obbligazioni gravanti direttamente sulla medesima, ma anche per gli inadempimenti posti in essere dal medico di cui la struttura si è avvalsa per svolgere la sua attività, ciò anche se il medico non è legato da alcun rapporto di lavoro subordinato con la struttura stessa e che, in tal caso, entrambi i soggetti sono qualificabili come responsabili solidali a titolo contrattuale.
Ciò premesso, il tribunale ha rilevato come, nel caso di specie, la c.t.u. svolta abbia accertato l’inadempimento del sanitario convenuto, in considerazione del fatto che lo stesso, durante l’intervento chirurgico di cui è causa, aveva posizionato la protesi in maniera anomala, rispetto a quanto previsto dalle linee guida.
In considerazione di ciò il tribunale ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la condotta del medico e il peggioramento delle condizioni di salute del paziente: consistenti nella necessità di eseguire un secondo intervento chirurgico per espianto della protesi e nella persistenza del consueto grado di incontinenza urinaria nonché uno stato ansioso depressivo di grado moderato.
Il tribunale ha, invece, ritenuto di escludere la sussistenza di cause diverse dall’inadempimento del medico nella produzione dei danni di cui sopra, che erano state invocate dai convenuti (i quali, in particolare, avevano evidenziato la sussistenza di altre patologie precedenti che avrebbero determinato lo stato depressivo del paziente). A tal proposito, infatti, il tribunale ha evidenziato come gravi sulla struttura sanitaria sul medico l’onere di dimostrare che non sussiste il nesso causale fra condotta del medico e evento dannoso, in quanto sussistono cause diverse e preesistenti rispetto all’inadempimento del medico che siano state idonee da sole a produrre il danno lamentato. Nel caso di specie, il Tribunale ha accertato che i convenuti non hanno fornito alcuna prova al riguardo.
In secondo luogo, il Tribunale ha rigettato la domanda formulata dall’azienda sanitaria di graduare la colpa e la responsabilità con il medico anch’esso convenuto, in considerazione del fatto che il tribunale può statuire su tale aspetto soltanto nel caso in cui uno dei debitori convenuti eserciti l’azione di regresso nei confronti dell’altro debitore. Soltanto dopo che uno dei debitori convenuti abbia esercitato detta azione, infatti, il tribunale può accertare e distribuire le relative colpe e quindi attribuire ai convenuti le responsabilità connesse graduandole secondo il relativo grado di causalità della condotta degli stessi nella determinazione del danno. Invece, in mancanza di una esplicita domanda di regresso, il tribunale non può ricavare detta domanda dalle eccezioni che sono state formulate dal debitore per escludere la propria responsabilità e declinarla sull’altro debitore.
Nel caso di specie, il tribunale ha accertato come nessuno dei due convenuti avesse spiegato un’azione di regresso nei confronti dell’altro.
Infine, il tribunale ha accertato l’infondatezza della domanda di garanzia proposta dal medico nei confronti della struttura sanitaria per essere da questa manlevato quale dipendente della medesima, in quanto ha accertato che non sussiste alcun obbligo a carico della struttura sanitaria di tenere indenni i propri dipendenti per i danni derivanti dagli interventi da questi effettuati nell’esercizio della propria attività di lavoratore dipendente. Anzi, il tribunale ha rilevato come sussista al contrario un diritto di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti del medico qualora questo abbia causato il danno con dolo o colpa grave.
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