Brevi note sulla sanzione dell’interdizione al conferimento di incarichi per il periodo di tre mesi ai sensi dell’art. 18 del d. lgs. n. 39/2013
Le sanzioni previste dal d. lgs. 8 aprile 2013, n. 39 («Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico») sono di natura personale o investono l’ente che abbia conferito (o contribuito a conferire) incarichi dichiarati nulli?
Come noto, il d. lgs. n. 33/2013 e il d. lgs. n. 39/2013 hanno dettato una disciplina particolarmente articolata in tema di obblighi di pubblicità e trasparenza, nonchè di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi dirigenziali e di vertice nelle pubbliche amministrazioni e nelle società controllate.
In particolare, l’art. 18 del d. lgs. n. 39/2013 dispone che «[i] componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli sono responsabili per le conseguenze economiche degli atti adottati», esonerando da responsabilità quei componenti che siano «assenti al momento della votazione, nonché i dissenzienti e gli astenuti». Il secondo comma dello stesso articolo prevede che «[i] componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli non possono per tre mesi conferire gli incarichi di loro competenza».
A questo punto, ci si deve chiedere se l’eventuale sanzione della interdizione al conferimento degli incarichi sopra indicata riguardi le sole persone fisiche o l’ente (dalle stesse rappresentato) che sieda negli organi collegiali degli enti pubblici e delle società controllate.
Il tema è tutt’altro che irrilevante, se si pensa alle conclusioni alle quali è giunto un recente provvedimento reso dalla Sezione di Lecce del TAR per la Puglia (sentenza n. 933/2019 pubblicata il 5 giugno 2019).
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I fatti
Nel mese di maggio 2018, si teneva l’assemblea dei soci di una società controllata da enti locali, che vedeva all’ordine del giorno la nomina dell’amministratore unico.
Nel corso dell’assemblea, il Presidente di una Provincia, socio di maggioranza della società, proponeva all’assemblea per la carica in questione un soggetto, poi risultato eletto. Tuttavia, in considerazione della sussistenza dei presupposti di inconferibilità indicati dall’art. 7 del d.lgs. n. 39/2013, il Responsabile della prevenzione corruzione e della trasparenza (RPCT) della società controllata dichiarava la nullità del conferimento dell’incarico proposto dal Presidente della Provincia. Peraltro, con specifico provvedimento emesso dallo stesso RPCT, veniva comminata alla Provincia la sanzione dell’interdizione al conferimento di incarichi di propria competenza per il periodo di tre mesi dalla data di dichiarazione di nullità del conferimento dell’incarico, in ragione di quanto previsto all’art. 18 del d.lgs. 39/2013, che – come ricordato – al secondo comma prevede che «[i] componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli non possono per tre mesi conferire gli incarichi di loro competenza».
Avverso tale atto, la Provincia proponeva ricorso dinanzi al Sezione di Lecce del TAR per la Puglia, il quale – con sentenza n. 1160/2018 – lo rigettava, rilevando, fra l’altro che la scelta – pur dinanzi a una evidente inconferibilità – era stata espressa dalla Provincia con l’assenza delle altre parti, «sicchè la sanzione nei suoi confronti [era] stata legittimamente comminata». Il provvedimento veniva peraltro confermato dal Consiglio di Stato.
Successivamente, la Provincia adottava il «Regolamento sull’esercizio del potere sostitutivo per il conferimento di incarichi nel periodo di interdizione degli organi titolari ai sensi del terzo comma dell’art. 18 del d.lgs. n. 39/2013», che – all’art. 3 – prevedeva che «laddove incarichi conferiti da organi della Provincia [fossero stati] dichiarati nulli dalle autorità/organi competenti, il Responsabile della prevenzione della corruzione entro cinque giorni dalla ricezione della documentazione [avrebbe comunicato] all’organo che [avesse] conferito l’incarico ed al sostituto individuato dal Regolamento, l’attivazione delle procedure previste» dallo stesso Regolamento.
Nel giugno 2018 si teneva l’Assemblea della società pubblica, alla quale prendeva parte, come previsto dal sopra ricordato Regolamento, il Vice Presidente della Provincia. All’esito della riunione, l’Assemblea procedeva alla nomina di un nuovo amministratore unico della società, anche in questo caso proposto dall’ente territoriale. Tuttavia, i soci di minoranza della società pubblica adivano la Sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale di Bari, chiedendo l’annullamento e/o la declaratoria di nullità del verbale di assemblea avente a oggetto la nomina dell’amministratore unico, sostenendo che il provvedimento in precedenza adottato dal RPCT, in relazione al primo procedimento di nomina, avrebbe precluso non tanto al Presidente, bensì alla stessa Provincia (nella sua qualità di socio) la partecipazione all’assemblea. In estrema sintesi, secondo la prospettazione dei soci di minoranza, all’ente pubblico (e non al Presidente dello stesso) sarebbe stato proibito non solo di partecipare all’assemblea, ma – soprattutto – di procedere nell’espressione del voto di nomina del nuovo organo amministrativo. L’Autorità civile, pur dinanzi a una summaria cognitio, disponeva la sospensione cautelare dell’esecuzione della delibera assembleare, condividendo la prospettazione dei soci di minoranza e ritenendo che le sanzioni previste dall’art. 18 del d.lgs. n. 39/2013 dovessero essere riferite all’ente e non alla persona fisica che avesse assunto l’atto invalido.
Peraltro, con un secondo atto, il RPCT avviava il nuovo procedimento sanzionatorio ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 39/2013, con cui comminava direttamente alla Provincia la sanzione dell’interdizione al conferimento di incarichi di propria competenza per il periodo di 3 (tre) mesi.
Veniva quindi presentato ricorso avverso il provvedimento sanzionatorio e della dichiarazione di nullità dell’incarico di amministratore unico.
La sentenza del TAR
Assai rilevanti appaiono le conclusioni cui è giunto il TAR di Lecce, che ha sostenuto che l’art.18 del d.lgs. n. 39/2013, nel prevedere la responsabilità dei componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli, esprima principi che dovrebbero essere riferiti non alle singole persone fisiche che rappresentano l’ente, ma – direttamente – all’ente (ovvero, nel caso di specie, alla Provincia).
Nel dictum si legge che «in ogni caso gli organi esprimono la loro volontà per mezzo dei rappresentati o dei procuratori all’uopo costituiti i quali, secondo il principio della rappresentanza in materia civilistica, trasmettono gli effetti delle loro azioni al rappresentato».
Qualche perplessità può essere espressa di fronte a queste affermazioni. Infatti, il tenore letterale della norma sembra riguardare non l’ente, quanto il soggetto (persona fisica) che esprime in concreto la volontà per conto dell’ente stesso. A tal proposito, si evidenzia che il decreto, all’art. 1, comma 2, lett. f) individua per «componenti di organi di indirizzo politico» le «persone che partecipano, in via elettiva o di nomina, a organi di indirizzo politico delle amministrazioni statali, regionali e locali, quali Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all’art. 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, parlamentare, Presidente della giunta o Sindaco, assessore o consigliere nelle regioni, nelle province, nei comuni e nelle forme associative tra enti locali, oppure a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali».
Anche le Linee Guida ANAC del 3 agosto 2016 («Linee guida in materia di accertamento delle inconferibilità e delle incompatibilità degli incarichi amministrativi da parte del Responsabile della prevenzione della corruzione») vanno nella direzione di confermare che la sanzione dovrebbe essere comminata nei confronti di persone fisiche, tenuto conto che la misura prevista dal d. lgs. n. 39/2013 è «una sanzione personale di tipo interdittivo, fissa e non graduabile, che non può essere irrogata a prescindere da una indagine sull’elemento psicologico di chi deve subirla».
Del resto, privare della possibilità di scelta l’ente sembra essere una opzione non del tutto in linea con la ratio delle disposizioni normative che consentono all’ente di prevedere un Regolamento che permetta a quest’ultimo di individuare un soggetto che possa prender parte ai processi decisionali, così come previsto dal terzo comma dell’art. 18 del d.lgs. n. 39/2013.
Quindi, si ha l’impressione che il provvedimento reso dal TAR di Lecce potrebbe non aver colto appieno lo spirito della norma, laddove la sanzione personale si è trasformata in una misura che ha consentito l’esclusione (o, rectius, l’estromissione) di un ente pubblico (socio di maggioranza della società controllata) da un processo decisionale che sarebbe apparso possibile sulla base dei criteri ermeneutici offerti dai princìpi generali applicabili al caso.
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