La sospensione cautelare obbligatoria e facoltativa dei dipendenti pubblici coinvolti in procedimenti penali. Il quadro delineato dall’art. 55-ter, del d.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, e dalle contrattazioni dei comparti
Premessa
Il procedimento penale che coinvolga un dipendente pubblico ha degli inevitabili riflessi sul suo status disciplinare. Senza entrare nella disamina del regime eccezionale previsto per particolari fattispecie di reato, può rilevarsi che, nella generalità dei casi, l’Amministrazione di appartenenza, venuta a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a carico del dipendente, è tenuta ad aprire nei suoi confronti un procedimento disciplinare e pure a concluderlo con l’applicazione della sanzione o – ipotesi piuttosto rara – con un’archiviazione.
A fronte di questa regola generale, tuttavia, onde evitare di compiere attività amministrativa che potrebbe poi rivelarsi inutile o addirittura portare alla revoca di sanzioni disciplinari già comminate, il datore di lavoro pubblico ha la facoltà di sospendere il procedimento disciplinare avviato, correlandolo alla durata e all’esito del procedimento penale, qualora ad es. la particolare complessità del fatto addebitato lo richieda oppure non disponga di elementi sufficienti a supporto di una eventuale sanzione. In questo caso, anche contestualmente, la stessa Amministrazione datoriale può sospendere dal servizio in via cautelare il dipendente se la continuazione della sua attività è ritenuta deleteria per l’immagine dell’Ente oppure può divenire occasione per il ripetersi delle condotte illecite contestate.
Le principali norme di riferimento.
Il quadro normativo attuale, all’interno del quale si colloca l’istituto della sospensione cautelare del dipendente pubblico sottoposto a procedimento penale, è rappresentato fondamentalmente dall’art. 55-ter, del d.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, rubricato non a caso “Rapporto fra procedimento disciplinare e procedimento penale”, per cui “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. Fatto salvo quanto previsto al comma 3, il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l’amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Resta in ogni caso salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente”.
In particolare, l’ultimo inciso della disposizione soprariportata rappresenta il principale, se non l’unico, riferimento normativo alla facoltà della sospensione cautelare del dipendente pubblico, rimessa alla discrezionalità (vincolata) della Pubblica Amministrazione. L’unico antecedente legislativo, altrettanto scarno, è contenuto nel d.p.r. n. 3, del 10 gennaio 1957, meglio noto come il Testo unico delle disposizioni concernenti gli impiegati civili dello Stato, il quale, all’art. 91, dava la facoltà al Ministro di sospendere l’impiegato sottoposto a procedimento penale allorché la natura del reato fosse particolarmente grave, obbligandolo invece alla sospensione quando il dipendente fosse stato sottoposto a misura restrittiva della libertà personale.
La contrattazione collettiva
Un ruolo più rilevante sulla disciplina dell’istituto lo ha avuto, al contrario, la contrattazione collettiva, la quale riprende la materia attraverso una regolazione di maggior dettaglio, dettando disposizioni pressoché analoghe per i diversi comparti pubblici.
Nel Comparto funzioni centrali, per citarne uno, il Contratto collettivo vigente stabilisce in proposito che “Il dipendente che sia colpito da misura restrittiva della libertà personale è sospeso d’ufficio dal servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o, comunque, dello stato restrittivo della libertà. 2. Il dipendente può essere sospeso dal servizio, con privazione della retribuzione, anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà personale o questa sia comunque cessata, qualora l’amministrazione disponga, ai sensi dell’art. 55-ter del d. lgs. n. 165/ 2001, la sospensione del procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, ai sensi dell’art. 65 del presente contratto (art. 64, CCNL Funzioni centrali del 12.2.2018; analoghe disposizioni sono state dettate dall’art. 60, CCNL Funzioni locali; dall’art. 15 , CCNL Istruzione e ricerca; dall’art. 68, CCNL Comparto Sanità).
Quindi, è in sede di contrattazione collettiva che si distingue opportunamente la sospensione cautelare di tipo obbligatorio da quella facoltativa, a seconda della circostanza che al dipendente sia applicata una misura restrittiva della libertà personale oppure sia colpito da un provvedimento d’interdizione temporanea giudiziale o, viceversa, non sia sottoposto ad alcuna di queste misure detentive o interdittive. Solo in siffatta ultima ipotesi, l’Amministrazione di appartenenza può decidere, motivandolo, di sospendere facoltativamente il dipendente nelle more che si concluda il giudizio penale allorché la prosecuzione del servizio sia – o possa divenire – fonte di danno anche d’immagine all’Ente pubblico.
La sospensione facoltativa si distingue dall’obbligatoria, pertanto, perché discrezionale, ossia rimessa alla valutazione dell’Ente di appartenenza, pur rimanendo condizionata alla riscontrata presenza di elementi di gravità della condotta contestata al dipendente nel procedimento penale o anche dai riflessi negativi che da quest’ultima possano derivare all’immagine dello stesso Ente (soprattutto quando si tratti di vicende caratterizzate da un certo clamore mediatico). Ricorrendo i presupposti appena detti, la sospensione si risolve in una momentanea interruzione della prestazione lavorativa, decisa dall’Amministrazione in ordine al se e al quando.
Indennità assistenziale e restitutio in integrum
In forza del disposto contrattuale, al dipendente sospeso è corrisposta un’indennità di natura assistenziale pari al 50% dello stipendio tabellare in godimento al momento della sospensione nonché gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione individuale di anzianità, salvo conguaglio nel caso in cui il procedimento penale si concluda con una pronuncia di assoluzione con formula piena e il procedimento disciplinare, a esso correlato, si chiuda conseguentemente con un provvedimento di archiviazione (la c.d. restitutio in integrum).
La restitutio in integrum connessa alla sospensione facoltativa consiste nella ricostruzione della carriera in termini di anzianità di servizio e pagamento delle retribuzioni non pagate e ha natura retributiva, non risarcitoria. Essa è dovuta, dunque, nel caso in cui interviene l’assoluzione del lavoratore con sentenza passata in giudicato (Cass. civ., Sez. lav., 5 marzo 2018, n. 5060). Un altro caso si ha anche in caso di condanna in sede penale del dipendente, per il periodo di sospensione cautelare sofferto in eccedenza rispetto alla durata della pena inflitta; in tal caso dal quantum dovuto a titolo di restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare, va però dedotto l’importo delle retribuzioni corrispondenti al tempo della condanna penale detentiva, quand’anche questa non sia stata interamente scontata (art. 96 comma 2, D.P.R. n. 3 del 1957). Infine, la restitutio in integrum opera quando, all’esito del procedimento penale, anche se conclusosi con la condanna dell’imputato, l’Amministrazione non attivi il procedimento disciplinare (Cass. civ., Sez. lav., 10 agosto 2018, n. 20708). Sulla somma corrisposta per effetto della restitutio in integrum, sia per il caso di sospensione obbligatoria sia per quello di sospensione facoltativa, vanno riconosciuti al dipendente gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dal servizio (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 11 giugno 2007, n. 4954).
Può concludersi, quindi, sotto questo aspetto, sottolineando che la sospensione cautelare, per il suo carattere unilaterale e discrezionale, non fa venir meno l’obbligazione retributiva ma la sospende e la subordina all’accertamento della responsabilità penale prima e disciplinare dopo del dipendente. Solo qualora il procedimento disciplinare si concluda sfavorevolmente per il dipendente con la sanzione del licenziamento, il diritto alla retribuzione viene definitivamente meno, in quanto gli effetti della sanzione retroagiscono al momento dell’adozione della misura cautelare; viceversa qualora la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura tale da non giustificare la sospensione sofferta, il rapporto riprende il suo corso dal momento in cui è stato sospeso, con obbligo per il datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni arretrate, dalle quali dovranno essere detratte solo quelle relative al periodo di privazione della libertà personale perché in tal caso, anche in assenza dell’atto datoriale, il dipendente non sarebbe stato in grado di rendere la prestazione.
Cenni giurisprudenziali
Le norme di legge sopra menzionate si limitato a tratteggiare la disciplina dell’istituto, lasciando pertanto al lavoro della giurisprudenza la risoluzione delle questioni sorte in sede applicativa, alcune delle quali strettamente legate alle peculiarità delle fattispecie sottoposte all’attenzione della Giurisdizione ordinaria.
L’applicazione pratica della norma è servita a chiarire, tra le altre cose, che la sospensione cautelare facoltativa richiede soltanto il presupposto della natura particolarmente grave del reato e non che il dipendente abbia assunto la qualità di imputato, essendo sufficiente a tal fine la sottoposizione a procedimento penale. Quindi anche nella fase delle indagini preliminari è possibile comminare la sospensione dell’impiegato (sul punto, Cons. di St., Sez. VI, sentenza n. 880/2013). E’ stato chiarito, ancora, che la sospensione non rappresenta in sé un provvedimento disciplinare avente carattere sanzionatorio, bensì una misura cautelare configurabile come atto strumentale all’adozione di eventuali successivi provvedimenti disciplinari con una durata limitata nel tempo. La finalità della misura è quella di impedire che, in pendenza di un procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa pregiudicare l’immagine e il prestigio dell’Amministrazione di appartenenza (Cons. di Stato, Sez. III, sentenza 11 luglio 2014, n. 3587).
Per la sua adozione non è richiesto che l’Amministrazione svolga una dettagliata analisi dei fatti criminosi ascritti all’impiegato né che si diffonda nell’esame delle valutazioni effettuate in sede penale ma necessita solo dell’apprezzamento della gravità delle condotte addebitate all’interessato e dell’eventuale turbamento arrecato alla funzionalità dell’attività amministrativa dalla sua sottoposizione a procedimento penale (Cons. di Stato, Sez. IV, 12 maggio 2006, n. 2656).
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