Il correttivo del patto marciano al divieto del patto commissorio: maggior tutela per il debitore o  rafforzamento dell’aspettativa satisfattiva?

 
SOMMARIO: 1. Il caso. 2. Il divieto del patto commissorio: la natura dibattuta. 3. I confini applicativi: istituti a confronto. 4. Nuovi strumenti di autotutela esecutiva. 5. Conclusioni.
 
Il caso.
Il Tribunale di Napoli, in primo grado, rigettava la domanda di rilascio di un immobile concesso in comodato a seguito di alienazione, ritenendo simulata l’intera operazione negoziale, sia per difetto di prova del pagamento del prezzo, sia perchè il godimento era rimasto all’alienante; tesi smentita dalla Corte d’Appello che rilevava la nullità del contratto di comodato, per difetto di trascrizione.
La terza, invece, era chiamata a pronunciarsi, su sei motivi di doglianza proposti dalla difesa degli alienanti-comodatari, cinque dei quali vertenti sull’interpretazione e qualificazione dell’azione negoziale posta in essere. Segnatamente, i ricorrenti denunciavano la erronea interpretazione delle norme sul patto marciano e sulla validità di esso in caso di accesso ad un patto commissorio.
Gli ermellini, accogliendo la citata eccezione, statuivano che <<Il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c. non opera quando nell’operazione negoziale sia inserito un patto marciano (in forza del quale, nell’eventualità di inadempimento del debitore, il creditore vende il bene, previa stima, versando al debitore l’eccedenza del prezzo rispetto al credito), trattandosi di clausola lecita, che persegue lo stesso scopo del pegno irregolare ex art. 1851 c.c. ed è ispirata alla medesima “ratio” di evitare approfittamenti del creditore in danno del debitore, purché le parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso ed all’epoca dell’inadempimento, sia compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali parametri debba fare riferimento>>.
 
Il divieto del patto commissorio: il dibattito sulla natura dell’istituto.
Il divieto del patto commissorio, così come tramandato dalla cultura giuridica romanistica risalente al diritto post- classico[1], è formalmente contenuto nell’art. 2744 c.c., il quale sancisce la nullità del patto con cui le parti convengano, per i casi di inadempimento del debitore garantito da pegno o ipoteca, l’automatico trasferimento, in favore del creditore, della proprietà del bene su cui la garanzia grava.
E ciò sia che la stipula del patto sia anteriore, in continenti o ex intervallo alla costituzione della garanzia; sia che il valore della cosa ipotecata o oggetto di pegno sia superiore, uguale o inferiore al credito garantito.
L’interpolazione della norma imperativa in esame nella disciplina di diritto positivo è avvenuta, sull’onda delle grandi codificazioni ottocentesche (si pensi al Code Napoléon del 1804), in sede di stesura del codice civile italiano del 1865; limitatamente, però, agli istituti del pegno e dell’anticresi[2]. In questi termini, pare evidente che solo a seguito della promulgazione del codice civile del 1942, il legislatore ha espressamente allargato le maglie di operatività del divieto, collocato al titolo III, capo I, anche alle ipotesi in cui il debitore sia garantito da ipoteca.
Dal momento dell’entrata in vigore del nuovo codice, e per tutta la seconda metà del novecento, dottrina e giurisprudenza hanno concentrato i rispettivi campi di indagine sulla tematica che ruota attorno alla individuazione della ratio del divieto in parola; dando, in tal modo, origine all’avvicendarsi di molteplici tesi.
Secondo un orientamento dottrinale lo scopo della norma sarebbe quello di tutelare il debitore – parte debole del rapporto obbligatorio – esposto al rischio di approfittamento del creditore; dal momento che, quest’ultimo gode di una posizione di superiorità economica[3].
Un diverso orientamento individua la ratio del divieto nell’esigenza di impedire il verificarsi di un indebito vantaggio in capo al creditore; vantaggio potenzialmente conseguibile nell’ipotesi di appropriazione di un bene che, se alienato, produrrebbe un ricavo più elevato dell’ammontare del credito[4].
Altra ricostruzione teorica individua il fondamento dell’art. 2744 c.c. nella tutela della par conditio creditorum, da cui deriverebbe una lesione al verificarsi del soddisfacimento di un creditore al di fuori delle cause legittime di prelazione[5].
Altri ancora si riferiscono al principio del divieto di autotutela privata, in forza del quale solo la Stato è legittimato ad agire coattivamente per la soddisfazione della pretesa creditoria[6].
Taluni, infine, riconducono la ratio della norma alla esigenza di prevenzione dei danni che l’intera comunità patirebbe nell’ipotesi della diffusione di convenzioni abusive celanti fenomeni usurari[7].
Pertanto, dall’analisi – seppur succinta- delle varie tesi emerge incontrovertibilmente che ognuna di esse delinei un ampliamento dei confini entro cui sono destinati a trovare applicazione gli artt. 2744 e 1963 c.c.[8].
In altri termini, le norme “gemelle” in esame sono indirizzate a colpire non solo e non tanto una determinata pattuizione negoziale, ma un determinato risultato pratico – economico ( comunque perseguito ).
Se ciò è vero, quindi, il divieto ad oggetto si estende a qualsiasi negozio ( o pluralità di negozi collegati ) che – ancorchè lecito –venga impiegato per conseguire un risultato vietato dall’ordinamento; nello specifico, il trasferimento automatico della proprietà del bene in capo al creditore come conseguenza dell’inadempimento dell’obbligazione.
I confini applicativi: istituti a confronto.
 Orbene, indirizzando la trattazione sul tema dei confini applicativi della disposizione in parola, è bene evidenziare che, a causa della genericità del dato normativo, non è possibile individuare prima facie l’ambito di applicabilità della disciplina.
Pertanto, la soluzione che si impone è di operare un confronto tra il patto commissorio e altre figure ordinamentali affini, ossia: individuare le regioni per le quali tali figure sono considerate lecite, per desumere (ragionando a contrario) i caratteri di riprovevolezza che rendono nullo il patto commissorio[9].
Vero è, infatti, che allo scopo della presente indagine [10] assumono particolare rilevanza le norme in tema di: pegno irregolare, art.1851 c.c., prestazione in luogo di inadempimento, art. 1197 c.c., e vendita con patto di riscatto, artt. 1500 ss. c.c..
Così, muovendo dall’assunto della validità del pegno irregolare, è possibile sostenere che una delle ragioni alla base del divieto sancito all’art. 2744 c.c. sia la presunzione “iuris et de iure” del pericolo, cui è esposto il debitore, in ordine all’insorgenza di una perdita economica eccedente l’entità del debito inadempiuto.
Sotto altro profilo, invece, in forza della ammissibilità della datio in solutum, è possibile ricondurre l’illiceità del patto commissorio anche alla insidia cui è esposto il debitore; posto che, l’apposizione del vincolo sul bene, incentivata da una pattuizione che ne scongiura la perdita definitiva, è sottesa all’illusione del corretto adempimento dell’obbligazione prima della sua scadenza.
Altra ricostruzione, muovendo dalla liceità della vendita con patto di riscatto, condurrebbe a negare la validità del patto commissorio in virtù di un duplice ordine di ragioni.
Da un lato, infatti, la causa della vendita con patto di riscatto è riconducibile allo scambio, mentre a mezzo del patto commissorio si intende realizzare una funzione di garanzia; dall’altro, da un punto di vista soggettivo, la parte debitrice del patto commissorio – a differenza dell’alienante nella vendita con patto di riscatto – è inequivocabilmente posta in posizione di soggezione formale.
Pertanto, sintetizzando, è possibile affermare che, a seguito di una lettura sistematica delle disposizioni codicistiche, il fondamento della nullità di cui all’art. 2744 c.c. risiede nella simultanea concorrenza di tre elementi, id est: il pericolo di attribuire definitivamente al creditore un valore superiore all’entità del credito da soddisfare; l’insidia di essere costretto a compiere un atto dispositivo a mera tacitazione dell’obbligazione originaria; la qualità di debitore dell’alienante e di creditore dell’acquirente, con relativa emersione della causa di garanzia.
È proprio a mente di questi elementi che è possibile tenere distinti dal patto commissorio alcuni istituti tipici che – seppur presentando analogie con quest’ultimo – sono leciti e autorizzati dall’ordinamento.
Si pensi, ad esempio, al patto marciano, con cui le parti convengono che, al verificarsi dell’inadempimento, il bene passi in proprietà del creditore, ma ad un valore stimato da un terzo al momento del trasferimento; la conseguenza è che il creditore è tenuto a restituire al debitore l’eventuale differenza tra il valore del bene trasferito e l’ammontare del credito rimasto inadempiuto. In questi termini, come evidente, l’esclusione della nullità (ex art.1418 c.c.) dipende dalla assenza di uno degli elementi costitutivi perché possa dirsi configurabile un patto commissorio[11].
 
Nuovi strumenti di autotutela esecutiva. Come noto, il sistema processuale italiano, specialmente in ambito di procedure espropriative ad esecuzione forzata, soffre una inadeguatezza dovuta, tanto, all’eccessiva durata delle procedure, quanto, alla loro indiscutibile caoticità.
Per tali ragioni, il legislatore ha recentemente introdotto nuove forme di autotutela esecutiva – differenti da quelle a carattere generale già previste dal codice civile – generalmente riconosciute in favore degli istituti di credito.
Nello specifico, ammettendo, sono state introdotte nuove forme di garanzia e di modalità di agevolazione della loro escussione, che evidentemente incidono, sia ex ante nell’abbassare il rischio di deterioramento, sia ex post nell’incrementare il valore di realizzo ( si pensi ai casi di cessione del credito). In questi termini, il d.lgs. n. 170 del 2004, disciplinando i contratti di garanzia finanziaria, ha introdotto una deroga espressa al divieto sancito dall’art. 2744 c.c. (art. 6 lett.d), esponendo il debitore al potenziale rischio di non ricevere l’eccedenza del valore del bene rispetto all’entità del debito[12].
Ed ancora, a seguito dell’introduzione dell’art. 11 quaterdecies, commi da 12 a 12 quater della l. 2 dicembre 2005, n. 24, è stato introdotto il “ prestito vitalizio ipotecario”; istituto assimilabile al mutuo, utilizzato per concedere una linea di credito a medio/lungo termine in favore di persone fisiche di età superiore ai sessant’anni, a condizione che il rimborso possa essere chiesto, in una unica soluzione, entro dodici mesi dal verificarsi di determinate circostanze, quali ad esempio: la morte del mutuatario o in caso di trasferimento di proprietà dell’immobile dato in garanzia.
Si pensi, inoltre, all’art. 120 quinquiesdecies, comma 3, d.lgs. n.72 del 21 aprile 2016, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, in forza del quale: pur richiamando e confermando il precetto dell’art. 2744 c.c., è prevista la possibilità di pattuire il trasferimento dal debitore (consumatore) alla banca, della proprietà di un immobile gravato da ipoteca, o dei proventi della sua vendita, sospensivamente condizionata all’inadempimento del debitore.
Tuttavia, la stessa norma, per evitare che il debitore possa subire un ingiustificato pregiudizio dal meccanismo autosatisfattivo, in applicazione del “patto marciano”, impone la redazione di una stima del bene da eseguirsi dopo l’inadempimento e con modalità che garantiscano l’imparzialità del perito e l’attendibilità della stessa; obbligando, in tal modo, la banca alla restituzione dell’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto al debito garantito.
In conclusione, pare evidente come la tendenza legislativa degli ultimi, seppur orientata all’ampliamento e alla diversificazione di confini ed ambiti applicativi del divieto di patto commissorio – in termini eccezionali (si pensi alla deroga espressa dal d.lgs. n.170/2004)- sia costantemente rimasta fedele ai principi codicistici, confermando il divieto di patto commissorio sancito agli artt. 2744 e 1936 c.c.[13].
Conclusioni.
Come emerso apertamente dalla lettera della pronuncia in commento, immutato il divieto di vendita con patto di riscatto a scopo di garanzia[14], la giurisprudenza pare concorde nell’attribuire efficacia al cd. patto marciano; strumento utile – ricorrendone i presupposti – a garantire il debitore contro il rischio di trasferimento, nelle mani del creditore, di un bene di valore superiore rispetto all’ammontare del credito[15].
In questo solco, la Terza Sezione, allo scopo di maggior tutela della parte debitrice, ribadisce la necessità di effettuare (ex ante) la stima della cosa oggetto della pattuizione: entro tempi certi e modalità definite, assicurando una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta.
Tuttavia, in conclusione, condividendo quanto sostenuto sul punto da autorevole dottrina[16], prevedere uno strumento di autosoddisfazione pattizio ( il patto marciano) per confortare la liceità di una pattuizione ricadente nel divieto di patto commissorio, finisce per condurre ad un innegabile rafforzamento dell’aspettativa di soddisfazione del credito; dando luogo, così, a quel risultato oggettivo di garanzia tanto scongiurato dalla dottrina e dalla giurisprudenza più risalenti.
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Note
[1] N. CIPRIANI, Patto commissorio e patto marciano, Napoli 2000, p. 35 ss.
[2] Per un approfondimento sul tema, si v. G. MINNITI, p. 27 ss.
[3]Così,  E. CAPUTO, Vendite a scopo di garanzia e patto commissorio, in Giust. civ., 1979, I, p. 886 ss.
[4] G. PUGLIESE, Intorno alla validita` della vendita a scopo di garanzia, in questa Rivista, 1955, p. 1066.
[5] F. CARNELUTTI, Mutuo pignoratizio e vendita con clausola di riscatto, in R. d. proc. civ., 1946, II, p. 156.
[6] E. BETTI, Sugli oneri ed i limiti dell’autonomia privata ecc., in R. d. comm., 1931, II, p. 699
[7] Cfr. V. ROPPO, Il divieto del patto commissorio, nel Tratt. Rescigno, 19, Tutela dei diritti, I, 2a ed., Torino, 1997, p. 561 ss.
[8] V. Cass., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1611; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1675; Cass. 21 gennaio 2016, n. 1075, in Nuova g. civ. comm., 2016, I, p. 908 ss.
[9] Tra molti si v., A.C. PELOSI, Divieto del patto commissorio, lease back e frode alla legge, in R. crit. d. priv., 1985, p. 497 ss.
[10] Per una trattazione più approfondita della seguente disamina si v. amplius, A. LUMINOSO, La vendita con riscatto, cit., p. 268 ss.
[11] V. ancora, A. LUMINOSO, op. ult. cit., p. 234.
[12] Per un approfondimento sul tema dei contratti di garanzia finanziaria, si v. P. GALLO, Divieto di patto commissorio cit., p. 974.
[13] Sulla disamina in punto di autotutela esecutiva, v. A. LUMINOSO, Patto commissorio, patto marciano e nuovi strumenti di autotutela esecutiva, in Riv. dir. civ., 1/2017, 22 ss.
[14] A. LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano 2007, p. 59 ss. In senso contrario, fra gli altri, G. MINNITI, op. cit., passim, spec. p. 135 ss.
[15]Cfr. A. LUMINOSO, Patto commissorio, patto marciano e nuovi strumenti di autotutela esecutiva, in Riv. dir. civ., 1/2017, 22 ss.; in giurisprudenza, ex multis v. Cass. 20 novembre 1975, n. 3887, in G. it., 1977, I, 1, c. 126.
[16] Sul punto, v. A. LUMINOSO, Patto commissorio, patto marciano e nuovi strumenti di autotutela esecutiva, in Riv. dir. civ., 1/2017, 20.

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