La reazione legittima ad atti arbitrali del pubblico ufficiale

Introduzione
Ai sensi dell’art. 393 bis c.p. “non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339bis, 341bis, 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”.
Panorama storico
Con la norma in commento, introdotta nuovamente dall’art. 1 della L. 94/2009, il cd. Pacchetto sicurezza, non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 341, 342 e 343 del codice penale quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”; fondamentale per cogliere la natura della previsione, è considerare che il codice vigente fu emanato durante il ventennio fascista, regime che inquadrava rispetto ed obbedienza incondizionata ai pubblici poteri quale fondamento dello stesso.
Il codice Rocco, confermando tale ideologia, eliminò le disposizioni contenute negli artt. 192 e 199 del Codice Zanardelli, secondo le quali le norme relative alla violenza ed all’oltraggio non trovavano applicazione se era stato il pubblico ufficiale a causare il fatto; tuttavia, con la caduta del fascismo, si sentì la rinnovata necessità di reintrodurre il principio fissato dal Codice Zanardelli, venne così emanato il D.Lgs. Lgt n. 228/1944 nel cui art. 4 prevedeva il caso.
Ratio della norma
La dottrina prevalente pone l’accento sulla necessità di garantire la libertà dei privati contro gli eccessi dei funzionari; la ratio della norma, dunque, si fonda sulla considerazione che sarebbe iniquo punire comportamenti che possono rappresentare una naturale reazione psicologica a gravi scorrettezze commesse da chi, per la posizione che ricopre, più di ogni altro sarebbe tenuto al rispetto della legge.
Causa di giustificazione
La dottrina prevalente, riguardo la natura giuridica della norma, ritiene che essa abbia il carattere di una causa di giustificazione, fondata sul diritto del cittadino di reagire all’aggressione arbitraria dei propri diritti, la quale elimina l’antigiuridicità del fatto compiuto, qualora la reazione si presenti proporzionata all’eccesso posto da parte del funzionario.
L’art. 393 bis c.p. richiede espressamente, perché sussista la clausola di esclusione, non solo che il pubblico ufficiale “ecceda i limiti delle sue attribuzioni”, intendendo con tale espressione un eccesso di potere, una incompetenza, un vizio di merito, una violazione di legge che si consuma nell’uso inopportuno di un potere discrezionale; ma anche che tale eccesso si sia realizzato con atti arbitrari, ovvero qualsiasi comportamento posto in essere in esecuzione di pubbliche funzioni, legittime di per sé, ma caratterizzato da incongruenza tra le modalità impiegate  e le finalità per la quale è attribuita la medesima funzione, data la violazione dei basilari doveri di civiltà e correttezza che devono ispirare l’agire dei pubblici ufficiali.
Gli Ermellini, chiamati ad esprimersi sulla problematica evidenziata, hanno precisato che, ai fini dell’applicazione della esimente prevista all’art. 4 del D. Lgs. n. 288/1944, non basta l’eccesso rispetto ai limiti delle attribuzioni da parte del funzionario, ma è strettamente necessario che quest’ultimo tenga una condotta improntata a malanimo, capriccio, sopruso, prepotenza nei confronti del privato destinatario, come si evince dalla sent. n. 5414/2009.
Pareri della Corte Costituzionale
La Suprema Corte, inoltre, ha ritenuto che le diverse affermazioni giurisprudenziali, sopraggiunte nel tempo, risultano essere alquanto datate e frutto della tradizione, contrarie dunque a cogliere i mutamenti dell’ordinamento vigente aventi ad oggetto il rapporto tra cittadino ed autorità, secondo i valori espressi dalla Costituzione.
In conclusione, si rende lecita la reazione del privato di fronte ad atti arbitrari della pubblica autorità dato che, non soltanto, il soggetto passivo non è meritevole di tutela, ma dovrà essere garantito al cittadino, all’interno di una concezione democratica, la facoltà di resistere, tutelando il diritto o l’interesse privato arbitrariamente leso o messo a rischio, o quantomeno di essere giustificato quando abbia reagito verbalmente, interpretando tale reazione quale sfogo del turbamento psichico causato dall’atto arbitrario.
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