Accreditamento ed autorizzazione del fabbisogno di prestazioni sanitarie. Principi sistemici della politica di contingentamento

Commento alla sentenza tar campania – sezione salerno- n 587 del 26 maggio 2020  che, ai fini del provvedimento di  accreditamento istituzionale, ha stabilito che la  politica di contingentamento dell’offerta sanitaria richiede una considerazione complessiva del servizio, non consentendo valutazioni atomistiche delle singole strutture richiedenti.
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Premessa
La sentenza in commento offre un interessante spunto di approfondimento e di efficace “metabolizzazione” di alcuni principi stabiliti dalle normative regionali campane in materia di erogabilità  delle prestazioni sanitarie.
In particolar modo, la pronuncia in rassegna consente, con apprezzata chiarezza, di indagare, sia in chiave genetico/ontologica che logico/effettuale, la portata del c.d. vincolo del fabbisogno prestazionale sancito sia dalla disciplina nazionale che da quella regionale in materia.
Nella fattispecie in esame, l’Istituto diagnostico ricorrente impugnava, chiedendone l’annullamento, la nota soprassessoria dell’Asl interessata relativa alla istanza di accreditamento istituzionale per l’erogazione di prestazioni sanitarie aggiuntive, nonché i decreti del Commissario Straordinario Piano rientro disavanzo sanitario, ove e per quanto lesivi.
La gravata determinazione soprassessoria era, in particolare, motivata in base al rilievo dell’operatività del blocco delle autorizzazioni e degli accreditamenti sancito dall’art. 1, comma 237 quater, della l. r. Campania n. 4/2011[1], in funzione della preventiva ricognizione del fabbisogno territoriale di prestazioni sanitarie.
Il Collegio adito ha adottato la pronuncia di rigetto in esame alla luce della considerazione per la quale, in subiecta materia, trattandosi di prestazioni erogate in regime di accreditamento a carico del SSR, e venendo in diretto rilievo i criteri di contenimento della spesa sanitaria, è ammissibile una politica di contingentamento dell’offerta sanitaria.
Tanto, alla luce delle seguenti
Considerazioni.

Ratio del principio del c.d. blocco delle autorizzazioni e degli accreditamenti.

Dalla lettura della normativa nazionale[2] e regionale/commissariale in  materia[3] si desume che  : a) va data priorità, ai fini del soddisfacimento del fabbisogno, alle strutture provvisoriamente accreditate alla data del 1° luglio 2007 rispetto a quelle già in esercizio ma non accreditate e, inoltre, a queste ultime rispetto a quelle di nuova realizzazione; b)  la priorità per le strutture accreditate e per quelle già operative, è testualmente riferita all’obiettivo dell’accreditamento definitivo ed è collegata all’esigenza di non saturare il fabbisogno prima di aver definito l’accreditamento delle strutture che godono della priorità.
Si evince, quindi, che non è consentito estrapolare una “valutazione atomistica” della singola struttura, a discapito delle indeclinabili esigenze di programmazione del settore sanitario.
Detto principio vale anche in ambito di rilascio di autorizzazioni sanitarie, per le quali, pur se svincolate dall’erogazione di prestazioni a carico del SSR, la giurisprudenza ha risolto in senso affermativo la questione dell’applicabilità del regime di blocco ex art. 1, comma 237 quater, della l. r. Campania n. 4/2011.
Invero, nel bilanciamento di diritti costituzionalmente protetti, ma contrapposti, appare, per un verso, ragionevole e, per l’altro, conforme ai parametri dalla normativa statale di principio la scelta del legislatore regionale di sospendere il rilascio della autorizzazioni per nuove attività fino alla adozione dei piani di riassetto delle reti sanitarie, che costituiscono il presupposto della valutazione del fabbisogno complessivo e della localizzazione territoriale, dando la priorità, comunque, al completamento della procedura di accreditamento definitivo delle strutture già provvisoriamente accreditate.
Infatti, pur considerando l’ipotesi del rilascio delle autorizzazioni alla realizzazione non preordinato alla successiva richiesta di accreditamento, tuttavia è intuibile che “..il blocco delle autorizzazioni di nuove attività, comunque, mantiene una congrua ragionevolezza quando le misure di razionalizzazione dell’offerta sanitaria a carico del SSR non sono ancora giunte a compimento; potrebbe, invero, rilevarsi che già le strutture accreditate siano in grado di soddisfare i fabbisogni di prestazioni richieste a carico del SSR in una certa area, garantendo una soddisfacente accessibilità al servizio sanitario pubblico, cosicché la eventuale sufficienza dell’offerta di prestazioni da parte delle strutture accreditate, nell’ambito della programmata razionalizzazione del SSR, non risulta una variabile irrilevante anche quando la valutazione di compatibilità riguarda una struttura sanitaria, che, erogando prestazioni non a carico del SSR, non comporta ulteriori oneri finanziari al bilancio regionale..”.  [4]
Invero, la presenza di una molteplicità di operatori sul mercato, anche se non in regime di accreditamento, non è sempre a costo zero per il settore pubblico, determinandosi comunque la necessità di un costante monitoraggio volto a verificare che le strutture sanitarie autorizzate conservino un grado di efficienza tecnologica ed organizzativa che non si esaurisce alla fase iniziale, ma deve perdurare nel corso di tutta l’attività, mettendosi altrimenti a rischio la qualità della prestazione e la salute dei pazienti.
L’interesse a contingentare il numero di strutture correlandolo al fabbisogno, peraltro definito da specifici atti di indirizzo della ASL, corrisponde, inoltre, “…all’esigenza che le strutture sanitarie operanti sul territorio possano beneficiare di un numero di pazienti potenziali che valga a garantirne la remuneratività dei servizi, limitando il rischio che sul mercato operino imprese in numero tale per cui alcune si troverebbero necessariamente in difficoltà a reggere il peso degli investimenti necessari a garantire uno standard elevato dei servizi resi, in un campo così delicato in cui il pieno dispiegarsi delle regole di mercato potrebbe avere ripercussioni inaccettabili sulla salvaguardia del fondamentale diritto alla salute..).[5]

Lettura “costituzionalmente ed eurounitariamente orientata” del principio della previa ricognizione complessiva nell’ambito dell’autorizzazione sanitaria. Condizioni e limiti.

Il vincolo del fabbisogno non può/deve, tuttavia, tradursi in un blocco indeterminato delle autorizzazioni sanitarie.
Sulla base delle suindicate premesse, si è ritenuto che il blocco delle autorizzazioni sanitarie previsto dalla legge regionale mantiene, bensì, una sua intrinseca ragionevolezza, ma ciò fintantoché il fabbisogno di prestazioni sanitarie non sia stato ancora – entro tempi ragionevoli – quantificato, ovvero fintantoché, pur essendo stato quantificato, le strutture già definitivamente o provvisoriamente accreditate, sommate a quelle autorizzate e già in esercizio e interessate ad ottenere l’accreditamento, appaiano in grado di coprirlo interamente. E si è, conseguentemente, ritenuta illegittima una estensione sine die del regime di blocco delle autorizzazioni, disancorata dalla copertura del fabbisogno, siccome penalizzante l’iniziativa privata qualora questa risulti in possesso dei requisiti strutturali e funzionali previsti per ottenere l’autorizzazione.[6]
A tale ultimo riguardo,  pur potendosi subordinare il rilascio dell’autorizzazione sanitaria alla valutazione del fabbisogno, questa non può tradursi di fatto in un illegittimo blocco, a tempo indeterminato, all’accesso del nuovo operatore sul mercato, con una indebita limitazione della sua libertà economica, che non solo non risponde ai criteri ispiratori dell’art. 8 ter, comma 3, del d.lgs. n. 502/1992, ma è contrario ai principi del diritto euro-unitario affermati dalla Corte di Giustizia in riferimento alla pur ampia discrezionalità del legislatore in materia sanitaria.[7]
Ed invero, la regola enunciata dal citato art. 8 ter del d.lgs. n. 502/1992 non può risolversi alla luce dell’art. 32 Cost. – che eleva la tutela della salute a diritto fondamentale dell’individuo – e dell’art. 41 – teso a garantire la libertà di iniziativa di impresa – in uno strumento ablatorio delle prerogative dei soggetti che intendano elargire, in regime privatistico (vale a dire senza rimborsi o sovvenzioni a carico della spesa pubblica, e con corrispettivi a carico unicamente degli utenti), mezzi e strumenti di diagnosi, di cura e di assistenza sul territorio: in subiecta materia, dove non si tratta di prestazioni erogate in regime di accreditamento a carico del SSR, e dove non vengono in diretto rilievo i criteri di contenimento della spesa sanitaria, una politica di contingentamento dell’offerta sanitaria non è, cioè, in via di principio, configurabile né, tanto mento, è attuabile nel senso di procurare posizioni di privilegio agli operatori di settore già presenti nel mercato, mettendoli in condizione di incrementare la loro offerta a discapito dei nuovi entranti.[8]
Detto orientamento richiama l’impostazione seguita dall’ Autorità garante della concorrenza e del mercato che, con nota del 18 luglio 2011, ha posto in rilievo come una politica di contenimento dell’offerta sanitaria possa tradursi in una posizione di privilegio degli operatori del settore già presenti nel mercato che possono incrementare la loro offerta a discapito dei nuovi entranti, assorbendo la potenzialità della domanda, sottolineando, inoltre, l’irrilevanza di criteri di contenimento della spesa sanitaria, diversamente dai casi di accreditamento. L’Autorità ha, infatti, ritenuto che tale previsione comporta un ingiustificato innalzamento delle barriere all’ingresso nel mercato delle prestazioni sanitarie, perché induce gli operatori già presenti ad aumentare la propria offerta, diminuendo per questa via il fabbisogno potenziale complessivo ed impedendo così l’ingresso di nuovi e potenzialmente più efficienti operatori, senza che, in senso contrario, possano valere considerazioni di compatibilità finanziaria, posto che si tratta di richieste di accesso al settore delle prestazioni sanitarie che non sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale. [9]
Va, quindi, posta in essere una lettura costituzionalmente orientata della normativa sopra citata secondo cui: “..la pretesa […] di sottoporre le strutture sanitarie presenti nel territorio regionale ad un contingente numerico massimo, prescindendo da ogni considerazione quantitativa e qualitativa circa i nuovi servizi offerti dai richiedenti l’autorizzazione e circa i servizi già presenti sul territorio, in relazione alle esigenze della popolazione residente e fluttuante, non possa ritenersi connessa al superiore interesse pubblico generale alla tutela del diritto inviolabile alla salute, ma sia, anzi, suscettibile di incidere in negativo su tale diritto: a) limitando i servizi di prevenzione e cura concretamente attivabili sul territorio; b) ostacolando il miglioramento qualitativo e la riduzione dei prezzi dell’offerta di servizi sanitari da parte di privati non in regime di convenzionamento con il S.S.N., ottenibili grazie alla concorrenza ed alla conseguente facoltà di scelta dei pazienti tra strutture diverse…”. [10]
Ciò comporta che, in difetto del presupposto della valutazione complessiva del fabbisogno regionale,  l’amministrazione regionale sanitaria dovrà comunque compiere una valutazione puntuale, attinente al caso specifico, a prescindere da qualsivoglia attività programmatoria o pianificatoria, non potendosi condizionare negativamente l’attività economica privata al mancato esercizio di poteri doverosi.
Tanto non esclude che, per ragioni attinenti non solo alla tutela della salute, quale irrinunciabile interesse della collettività (art. 32 Cost.), ma anche alla tutela della concorrenza, l’autorizzazione per la realizzazione delle strutture sanitarie e sociosanitarie, ai sensi dell’art. 8-ter, comma 3, del d. lgs. n. 502 del 1992, deve necessariamente restare inserita nell’ambito della programmazione regionale, in quanto la verifica di compatibilità, effettuata dalla Regione, ha proprio il fine di accertare l’armonico inserimento della struttura in un contesto di offerta sanitaria rispondente al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di garantire meglio l’accessibilità ai servizî e di valorizzare le aree di insediamento prioritario delle nuove strutture.[11]
La disciplina nazionale e quella, conforme, adottata a livello regionale non contrastano in sé con il diritto eurounitario perché, come ha chiarito la Corte di Giustizia, “…una programmazione che richieda una previa autorizzazione per l’installazione di nuovi prestatori di cure può rendersi indispensabile per colmare eventuali lacune nell’accesso alle cure ambulatoriali e per evitare una duplicazione nell’apertura delle strutture, in modo che sia garantita un’assistenza medica che si adatti alle necessità della popolazione, ricomprenda tutto il territorio e tenga conto delle regioni geograficamente isolate o altrimenti svantaggiate….è legittimo che uno Stato membro organizzi i servizi di assistenza medica in modo da dare priorità ad un sistema di prestazioni in natura affinché ogni paziente acceda facilmente, sull’intero territorio nazionale, ai servizi dei medici convenzionati..”
Cionondimeno, un regime di previa autorizzazione amministrativa, perché sia giustificato anche quando deroghi ad una libertà fondamentali garantite dai Trattati e dal diritto dell’Unione, deve essere fondato “..su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, che garantiscono la sua idoneità a circoscrivere sufficientemente l’esercizio del potere discrezionale delle autorità nazionali…”.[12]
3.Valenza assoluta del principio ricognitivo del fabbisogno complessivo nell’ambito degli accreditamenti. Applicazione “scissa”della regola. Conclusioni.
Diverso, invece, il caso degli accreditamenti istituzionali, laddove le esigenze di salvaguardia dell’iniziativa economica privata giammai potrebbero prevalere sulle primarie esigenze di stabilità e contenimento della spesa pubblica sanitaria, alle quali è inscindibilmente ancorato l’ineludibile contingentamento programmatorio sistemico-globale dell’offerta erogabile a carico del SSR in funzione del fabbisogno territoriale di prestazioni e sulle quali l’incontrollata moltiplicazione di quest’ultima non potrebbe che incidere negativamente, con potenziale pregiudizio anche per i livelli qualitativi essenziali di assistenza.
 
 
Da tutto quanto detto finora,  emerge una differente valenza effettuale del regime di blocco delle autorizzazioni in rapporto, rispettivamente, alle autorizzazioni sanitarie ed agli accreditamenti istituzionali.
Riguardo alle prime, sembra valere un principio di c.d. temperamento/relativizzazione del citato blocco, nel senso di riconoscerne la legittimità  se e in quanto ancorato ad una ragionevole durata della propedeutica programmazione del fabbisogno.
Invero, la valutazione del fabbisogno, alla quale la legislazione nazionale vincola il rilascio dell’autorizzazione, non può essere pertanto illimitata né schiudere la strada ad ingiustificate e sproporzionate restrizioni dell’iniziativa economica, senza trovare un ragionevole e proporzionato controbilanciamento nella cura in concreto, da parte della pubblica amministrazione decidente, dell’interesse pubblico demandatole, mediante un adeguato apparato motivazionale a supporto del provvedimento, e nella presupposta, oggettiva, valutazione dell’interesse pubblico finalizzato alla tutela del diritto alla salute.
È richiesta quindi una valutazione del fabbisogno accurata ed attualizzata, che sia preceduta e sorretta una idonea istruttoria sull’esistenza di una determinata domanda sanitaria sul territorio e di una correlativa offerta da parte delle strutture private, senza che ciò si traduca di fatto in un illegittimo blocco, a tempo indeterminato, all’accesso del nuovo operatore sul mercato, con una indebita limitazione della sua libertà economica, che non solo non risponde ai criterî ispiratori dell’art. 8-ter, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992, ma è contrario ai principî del diritto eurounitario affermati dalla Corte di Giustizia in riferimento alla pur ampia discrezionalità del legislatore in materia sanitaria.
In poche parole, la pur doverosa previa valutazione del fabbisogno a livello regionale, in base a complesse articolate procedure, “..non può, per i ritardi e le inefficienze delle competenti amministrazioni, risolversi in un blocco tendenzialmente illimitato e comunque non limitabile relativamente  al rilascio delle semplici autorizzazioni, che non comportano, a differenza degli accreditamenti, alcun onere per la finanza pubblica..”.[13]
Tale principio non è esportabile nella materia degli accreditamenti, laddove le esigenze di salvaguardia dell’iniziativa economica privata giammai potrebbero prevalere sulle primarie esigenze di stabilità e contenimento della spesa pubblica sanitaria, alle quali è inscindibilmente ancorato l’ineludibile contingentamento programmatorio sistemico-globale dell’offerta erogabile a carico del SSR in funzione del fabbisogno territoriale di prestazioni e sulle quali l’incontrollata moltiplicazione di quest’ultima non potrebbe che incidere negativamente, con potenziale pregiudizio anche per i livelli qualitativi essenziali di assistenza.
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Note
[1]             Cfr. Art. 1, comma 237 quater, della l. r. Campania n. 4/2011: «Ferma restando la sussistenza del fabbisogno e delle condizioni di cui agli articoli 8 ter e 8 quater, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), in conformità ai principi generali del sistema, ai sensi dell’articolo 1, comma 796, lettere s e t, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), il fabbisogno va soddisfatto, prioritariamente, attraverso l’accreditamento delle strutture private transitoriamente accreditate, da intendersi provvisoriamente accreditate alla data del 1° luglio 2007 tenendo conto dell’organizzazione dei servizi ospedalieri di diagnosi e cura rappresentata e offerta a tal data in regime di accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere erogate nell’ambito delle specialità così come espresse e conseguenzialmente riconosciute, successivamente delle strutture private già in esercizio e solo successivamente mediante l’accreditamento delle strutture o attività di nuova realizzazione. Il rilascio di nuove autorizzazioni per la realizzazione, nonché l’accreditamento di nuove strutture è subordinato al completamento delle procedure di cui ai commi da 237 quinquies a 237 unvicies. (…)».
[2]     Cfr. art 8ter D.Lvo 502/92 e ss.mm.ii..
[3]             Cfr. DCA n. 21 del 30 dicembre 2009, n. 5 del 4 febbraio 2010 e n. 31 del 16 maggio 2011 che hanno sancito la sospensione delle procedure di accreditamento istituzionale e di autorizzazione alla realizzazione e all’ampliamento di strutture sanitarie, fino al completamento degli adempimenti previsti, collegati all’esecuzione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario.
[4]             Cfr. Cons. Stato, sez. III, 16 luglio 2014 n. 3762; 28 novembre 2014, n. 5908; cfr. anche TAR Campania, Napoli, sez. I, 1° aprile 2015, n. 1900;Salerno, sez. II, 27 luglio 2015, n. 1663; Napoli, sez. I, 21 ottobre 2015, n. 4916; Salerno, sez. II; 31 agosto 2016, n. 2044.
 
[5]                           [5] Cfr. TAR Campania, Napoli, sez. I, 22 ottobre 2018, n. 6127.
 
[6]             Cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 2448/2017; TAR Campania, Napoli, sez. I, n. 2406/2018.
 
[7]               Cfr. TAR Campania, Napoli, sez. I, 30 luglio 2019, n. 4167.
[8]               Cfr. Cons. Stato n. 3807/2015.
[9]               Cfr. Cons. Stato 550/2013.
 
[10]         Così T.a.r. Lazio Roma, II-bis, 14 gennaio 2014, n. 455 e T.a.r. Lazio Latina, I, 27 marzo 2014, n. 252.
 
[11]           Cfr. CdS  sez. III, 7 marzo 2019, n. 1589.
[12]       Cfrr. §§ 52-53-64  della sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, 10 marzo 2009, in C-169/07.
 
[13]          Cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 5720/2019; 10 luglio 2015, n. 3487, 3 agosto 2015, n.3807, 24 maggio 2017, n. 2448; TAR Campania, Napoli, sez. I, 6 febbraio 2019 n. 661.
 

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