Whistleblowing all’italiana: casi di mancate tutele
Proposte operative a protezione dei segnalatori
Per inoltrarci nell’attuale scenario normativo disciplinante la tutela di colui che segnala, ai superiori gerarchici, all’autorità amministrative di controllo, all’autorità giudiziaria, illeciti, abusi, violazioni di leggi o, più in generale, di un qualsiasi comportamento illegale/irregolare consistente in atti contrari ai doveri d’ufficio all’interno della propria organizzazione lavorativa (pubblica od anche privata) e che potrebbe integrare reati ovvero fatti ed atti potenzialmente ritenuti dannosi per l’intera collettività, si sceglie di esaminare un caso a dir poco emblematico di cui da anni, di tanto in tanto, si hanno aggiornamenti per mezzo dei media, dei quotidiani e di trasmissioni televisive dedite ad reportage d’inchiesta, che hanno riportato agli onori della cronaca questo caso di cd. Whistleblowing[1] (all’italiana).
Il Caso Inps
Ebbene, da quanto si può apprendere da elementi precisi e concordanti ricavabili da quanto riportato dagli organi appena richiamati nonché dagli articoli di stampa rintracciabili sul web[2], quello di cui parliamo più che un caso è un vero e proprio calvario con protagonista una dipendente dell’INPS, Sig.ra A.. , funzionaria direttivo di lungo corso presso la sede provinciale INPS di Crotone che nel lontano mese di maggio del 2011 scrisse alla Direzione delle risorse umane presso la sede centrale di Roma allegando una richiesta di accesso agli atti relativi alla procedura concorsuale al quale avrebbe partecipato della sua diretta superiore, la dirigente dott.ssa A.I. . Da ciò che si apprende, la richiesta sarebbe stata rigettata adducendo la stereotipata motivazione della “mancanza di interesse diretto, concreto e attuale”. Ma la Sig.ra A., determinata nel voler sapere se la prefata dirigente avesse effettivamente i requisiti ed i titoli per ricoprire un siffatto incarico, cosa che non appariva del tutto chiara dal CV della stessa, depositò un esposto presso la competente Procura della Repubblica di Crotone, segnalò la vicenda alla Corte dei conti nell’ambito della propria attività di controllo di legittimità nonché al collegio dei sindaci all’interno dell’INPS.
Ma i dell’Ente, per i primi tempi, anziché dare seguito ai sospetti avanzati dalla dipendente che aveva rappresentato una serie di incongruenze circa la procedura e il relativo incarico dirigenziale affidato alla dott.ssa A.I., nel luglio del 2011 si sanziona con un rimprovero la A., per poi essere “isolata, sottoposta a personale di livello inferiore, costretta all’inattività, privata della propria stanza e delle procedure che e erano state assegnate”, fino ad arrivare, il 23 gennaio del 2013, ad essere rimossa dal proprio ruolo e subendo poi demansionamenti e altri ripetuti provvedimenti disciplinari[3], stando a quanto la stessa dichiarò nell’ambito di un’audizione (novembre 2017) resa in un’aula del Tribunale Penale di Crotone durante un processo penale originatosi da una denuncia – querela sporta dalla stessa contro ignoti che avrebbero violato il suo ufficio prelevando documenti di servizio. A tali dichiarazioni la A.aggiunse di essere oggetto di mobbing da circa cinque anni concretizzatosi, tra l’altro, nell’essere “pagata 50mila euro per non far nulla, ma proprio nulla cagionando un danno erariale di almeno 200mila euro”.
La A.i si rivolse all’ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione – che, da quanto è dato sapere, si pronunciò sulla questione con un’archiviazione della segnalazione non trovando elementi utili per procedere, inviando, tuttavia, un fascicolo all’Ispettorato per la funzione pubblica che solo il 14 maggio di quest’anno, nell’ambito di una conferenza di servizi tenutasi presso il Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio, come racconta il “Fatto Quotidiano”[4], ha acclarato la non infondatezza di quanto all’epoca segnalato dalla funzionaria e cioè che la sua dirigente “non ha svolto alcun concorso per accedere ai ruoli della P. A., come vuole la legge, ma solo procedure di mobilità interna con cui è transitata da un consorzio privato (Co.Pro.SS) al Mef e da qui all’Inps”.
In forza di tale pronunciamento, l’Ente il 28 giugno 2018 ha comunicato ai legali della Sig.ra A. d’aver preso atto della fondatezza dei dubbi che la stessa avanza dal lontano 2011 e che l’INPS per il tramite della Direzione centrale delle Risorse umane avrebbe provveduto a “proporre denuncia alla Procura della Repubblica di Crotone, ricorso al Tar della Calabria di fronte al quale impugnerà gli atti tramite i quali la A.I. transitava con inquadramento dirigenziale dal consorzio-azienda speciale della Provincia di Crotone (Copross), dove nel 2001 aveva superato solo un concorso interno per la gestione di servizi sociali, per poi transitare nei ruoli dirigenziali del Mef a giugno 2005 e dell’Inps nel 2009, secondo un percorso di cessione dei contratti a tempo determinato non proprio lineare, chiedendo, altresì, la revoca del nullaosta a suo tempo concesso per il passaggio dal Mef all’Inps.
Quindi si potrebbe ipotizzare un epilogo della vicenda all’insegna del trionfo della giustizia, della legalità, della verità, della chiarezza e della trasparenza, se no fosse che alla A. nel mese di luglio di quest’anno viene notificato l’avvio di un altro procedimento disciplinare, il quarto dal 2011 e cioè dopo le sue denunce mentre nessuno nei primi 30 anni di servizio svolto, che stavolta comporta la sospensione immediata dal servizio (tant’è che sempre il citato quotidiano racconta che la dipendente recatasi al lavoro l’indomani mattina “le viene ritirato il badge e intimato di lasciare subito il palazzo”), profilandosi così un elevato rischio di licenziamento.
A questo punto, anche se la dirigente venisse licenziata, di sicuro non si potrebbe parlare minimamente di un buon esito della vicenda in quanto tutti gli elementi sono a favore di un eclatante caso di Whistleblowing all’italiana: una dipendente che segnala dei profili di illegittimità in riferimento all’assunzione di un ruolo dirigenziale da parte di chi non ha titolo o quanto meno secondo procedure in violazione di legge; rigetto richiesta di accesso agli atti, esposizione della vicenda alla Procura della Repubblica, alla Corte dei Conti, all’ANAC, tutte archiviate (2014); interrogazioni parlamentari dalle risposte evasive (2015); poi segnalazione alla servizio ispettivo del Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio e in ultimo – in risposta alle vessazioni subite per questa resistenza – nelle denunce della funzionaria riportate dalla stampa (2018).
Ed in più, i tanti processi ai quali la segnalante si è trovata a far fronte: civile per demansionamento (unica mansione per più di cinque anni: “smistare le caselle istituzionali”) e mobbing nei suoi confronti con forte depressione conseguente; penali poiché la dirigente accusata di truffa perpetuata in danno dello Stato, come ipotizzato nell’informativa della Guardia di Finanza trasmessa alla Procura di Crotone e come statuito anche da una sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro, Sezione lavoro, nel 2011 sporse querela contro chi la accusava ma che finirà nel nulla “perché non riuscirà effettivamente a dimostrare di aver superato un concorso pubblico per l’immissione nei ruoli dei dirigenti pubblici”; altra denuncia dalla quale si dovrà difendere la malcapitata dipendente sarà quella che l’accusata ha fatto nel 2018 dopo il servizio della trasmissione televisiva “Le Iene”, alla quale ha partecipato la stessa, stavolta per stalking.
Al di fuori di tutto questo, si potrebbe poi aprire il capitolo di coloro che dovrebbero rispondere in ordine alle ipotesi di profili di danno erariale eventualmente emergenti, qualora fosse riscontrato che effettivamente per 13 anni – dal 2005 ad oggi – siano state versate retribuzioni e contributi illegittimi.
Tutto ciò per aver preteso trasparenza e rispetto delle leggi, di conoscere elementi e circostanze relative all’incarico dirigenziale de quo per il quale nutriva forti dubbi di legittimità, e come contropartita ottenerne non una menzione d’onore e men che meno un’onorificenza o una medaglia appuntata sul petto bensì uno sconvolgimento della propria vita personale e professionale, dal quale difficilmente ne uscirà.
Altri casi di clamore mediatico
Solo per inciso, al caso esaminato se ne accompagnano altri di altrettanto clamore mediatico e in diversi settori lavorativi: nel famoso caso C., il carabiniere che denunciò colleghi: “Trasferito e demansionato dopo aver parlato”[5]; ancora nelle forze dell’ordine: “Molestie, carabiniere denunciò superiore (poi condannato). Lo racconta in tv: Arma apre procedimento disciplinare su di lei”[6]; in ambito sindacale: “Cisl, scoppia il caso dei mega-stipendi. Dirigente li denuncia ma verrà espulso”[7]
Nell’ambiente scolastico: “Docente denuncia il suo rapporto difficile col preside della sua scuola[8]; negli enti pubblici: “Agenzia dogane: gli indagati per truffa in concorso tutti promossi. Soltanto chi denuncia viene escluso dalle graduatorie”[9]; il caso di C. G. , che aveva rilasciato un’intervista alla trasmissione televisiva “Report” denunciando all’interno dell’inchiesta “Lo Stato dei concorsi” del 7.11.2016, come funzionavano le cose all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli collegando ad una già famosa inchiesta della competente Procura della Repubblica circa la generale conduzione dei concorsi presso tale Agenzia durante i quali i candidati, poi rei confessi per non essere stati tra coloro che avevano superato la selezione, copiavano durante le prove contraffacendo la Gazzetta Ufficiale, testo ammesso alla prova scritta, con all’interno i temi precompilati. Anche in quest’ultimo caso, come si viene a conoscenza dagli articoli pubblicati, tra gli altri, sui siti internet di “Report” e del “Fatto Quotidiano”: “Concorso Dogane, tre minuti per correggere una prova: “Vi racconto come abbiamo contraffatto la Gazzetta ufficiale”[10] e “Aveva parlato a report, procedimento disciplinare dall’Agenzia delle dogane”[11], per la dipendente è stato avviato un procedimento disciplinare.
Da questi casi narrati, che secondo lo scrivente sono solo i più conosciuti di tanti altri che si consumano tra le pareti della P.A., rimbalzano negli studi legali e si celebrano nelle aule dei Tribunali di tutta Italia, si può dedurre che la reazione dell’Ente alle segnalazioni di illeciti, ovvero, beninteso fino al definitivo accertamento delle relative responsabilità, presunti tali, all’insegna della trasparenza dell’azione amministrativa (tra le altre: L. n. 241/90), purtroppo non sia stata quella attesa dagli stessi (approfondimenti, aperture di istruttorie, indagini interne, individuazione dei responsabili ed addebiti delle conseguenti sanzioni sospensive od anche espulsive) bensì del tutto opposta a quanto previsto dall’ordinamento giuridico italiano in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti di cui all’art. 54-bis del D. Lgs. n. 165/2001, introdotto dalla cd. Legge Anticorruzione, n. 190/2012, e solo di recente riformato dalla legge n. 179 del 30 novembre 2017 recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”.
Tutele a favore del dipendente che segnala illeciti
Infatti, se oggi la tutela del whistleblower è sulla bocca di tutti come una conquista dell’odierno legislatore, va rilevato che già nel 2012 la legge n. 190 del 2012 – meglio conosciuta come legge Severino – aveva introdotto, anche se limitatamente alla pubblica amministrazione, misure generali a protezione del dipendente che segnalava illeciti, così disponendo: “1. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.”
Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato. 3. L’adozione di misure discriminatorie è segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. 4. La denuncia è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. ( … . )”.
Quindi, come si vede, sin dalla prima normativa a tutela del segnalatore si sottolinea che lo stesso deve essere tutelato da ogni forma di ritorsione conseguente al sua delazione che normalmente si esplicano proprio in attivazione di procedimenti disciplinari, trasferimenti, demansionamenti, vessazioni personali e professionali di ogni genere e, pertanto, ne deve essere segretata l’identità e la denuncia.
In tale contesto di tutela di coloro che operando all’interno dell’organizzazione decidono di denunciare condotte illecite di cui sono venuti a conoscenza nello svolgimento delle loro funzioni al fine di combattere la dilagante corruzione nei luoghi di lavoro, si deve sistematicamente inserire la novella della legge n. 179 del 30 novembre 2017 e della connessa Deliberazione dell’ANAC n. 6 del 28 aprile 2015, che rappresenta le linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.
Tali interventi, integrativi della già vigente normativa di riferimento, ampliano il campo soggettivo di applicazione delle tutele fino ad allora limitate al rapporto di impiego pubblico ricomprendendo i dipendenti degli enti pubblici economici, quelli degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico e i lavoratori/collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi che realizzino opere a favore delle pubbliche amministrazioni.
Altra novità importante riguarda sicuramente il rimarcare il divieto di rivelare l’identità del segnalante (art. 1, comma 3). Infatti, l’identità del segnalante deve restare coperta dal segreto sia nell’ambito di un procedimento penale (ex art. 329 c.p.p.), sia nel procedimento dinanzi alla Corte dei Conti (almeno fino chiusura della fase istruttoria).
Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante resta segreta laddove questo sia fondato su accertamenti distinti ed ulteriori rispetto alla segnalazione stessa, in caso contrario, ossia se la contestazione risulti fondata in tutto o in parte sulla segnalazione o comunque l’identità del segnalante sia necessaria per espletare il diritto di difesa, la segnalazione può essere utilizzata solo in presenza del consenso del segnalante a rivelare la sua identità[12]. Resta ferma l’ulteriore garanzia a tutela del segnalante relativa alla sottrazione della segnalazione all’accesso amministrativo agli atti quale disciplinato dalla legge n. 241/1990. Per quanto riguarda la corretta applicazione delle suddette tutele introdotte per i dipendenti/segnalatori il ruolo di controllo viene affidato dal legislatore all’Autorità Nazionale Anticorruzione (art.1, comma 5 e 6), sarà poi l’ANAC a dover informare il Dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza.
È demandata alla stessa ANAC l’applicazione delle previste sanzioni amministrative pecuniarie, fermi restando gli altri profili di responsabilità, al responsabile dell’adozione di misure discriminatorie da 5.000 a 30.000 euro, ovvero qualora venga accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni nonché nel caso dell’adozione di procedure non conformi a quelle normate, venga accertato il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute, l’ANAC applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.
Dunque prevedendo anche un sistema sanzionatorio per coloro che non si attivano ovvero si attivano violando le prescrizioni a tutela del lavoratore dipendente nella sua veste di segnalatore di illeciti.
Ebbene, tutto questo impianto normativo, a quanto si legge e si apprende quotidianamente, non pare garantire coloro che versando in una situazione di oggettivo svantaggio, prendendo il coraggio a due mani, denunciano il malfunzionamento, gli abusi e gli illeciti di varia natura in nome di quella integrità della pubblica amministrazione in cui credo e che vogliono sia affermata.
Di fatto, non si è riusciti il più delle volte a tutelare costoro da licenziamenti, trasferimenti, demansionamenti ed applicazione di sanzioni espulsive, anche se, a tal riguardo, la citata legge prevede espressamente la nullità di tali atti adottati dall’amministrazione o dall’ente, nonché la reintegrazione del lavoratore eventualmente licenziato a motivo della segnalazione, onerando l’amministrazione di giustificare gli stessi con ragioni estranee alla segnalazione. Ma ammesso che si arrivi ad annullare tutti gli atti discriminatori o ritorsivi adottati nei confronti del segnalatore, ma chi risarcirà quest’ultimo di tutte le connesse angherie, umiliazioni, frustrazioni e via dicendo, subite per aver fatto qualcosa che ha creduto giusto e, in particolar modo, contando su una pronta ed efficace azione di protezione di se?!
Chi potrà mai rimuovere gli effetti negativi che nel frattempo il delatore, il whistleblower”, il soffiatore con il suo fischietto, ovvero la sentinella o allertatore civico, ha subito nell’ambito del suo quotidiano rapporto lavorativo e sulle condizioni personali e professionali?! Perché anche di relazioni tra colleghi, con gli utenti, con altri superiori, è fatta la vita di un lavoratore, che vengono irrimediabilmente compromesse, quando si viene attaccati dai superiori gerarchici verso i quali tutti gli altri si girano ossequiosi laddove non si girano dall’altra parte.
Infatti, va sottolineato che la maggior parte dei casi di persecuzione dei segnalatori esaminati sono caratterizzati da denunce riguardanti superiori gerarchici, mentre nel caso di denunce tra colleghi (classico caso di assenteisti dal luogo di lavoro), la normativa in materia di tutela del segnalatore risulta rispettata senza l’attivazione di misure di ritorsione o discriminatorie nei confronti del dipendente che pur con le sue denunce, magari, ha attirato l’attenzione dei media ovvero costretto il dirigente ad attivarsi[13].
Così bisogna prendere atto, ovviamente senza ritenere che dei singoli casi mettano minimamente in discussione la potenziale validità dell’intero impianto normativo sulla tutela del segnalatore di illeciti, che a volte non si riesce nell’intento di proteggere colui che denuncia degli illeciti nella sua organizzazione e che tali casi, molto spesso, hanno un effetto deterrente totalmente opposto alla previsione incentivante che è alla base di siffatta normativa.
A sommesso parere di chi scrive, basterebbero poche ma significative accortezze: prevedere già dal dato normativo che, al fine di evitare che il segnalatore, la cui identità nella realtà dei fatti spesso viene identificata quasi subito, venga sottratto a ripercussioni o ritorsioni, venga trasferito in un’altra articolazione/unità lavorativa della medesima organizzazione o ente a seconda della struttura amministrativa e delle possibilità di manovra da parte dei vertici della stessa, ciò per evitare anche i contatti tra eventuali interessati, contro interessati e segnatore. Inoltre al fine di non intervenute solo ex post all’attivazione di procedimenti di demansionamento e alla conclusione di procedimenti disciplinari a volte anche di natura espulsiva (licenziamento ovvero sospensione immediata dal posto di lavoro) si preveda la competenza, in queste fattispecie specifica, la competenza di un organo collegiale esterno (ad esempio l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (UCPD) che – in sostituzione del dirigente – valuti più oggettivamente la rilevanza disciplinare dei comportamenti segnalati a carico del dipendente segnalatore, che potrebbe anche aver, nel frattempo, aver posto in essere comportamento improprio. Queste costituirebbero quelle mosse iniziali e strategiche per evitare che chi segnali si trovi a combattere in una situazione di inferiorità in termini di subordinazione e capacità difensiva. In conclusione si auspica che la concreta tutela di coloro che denunciano ipotesi di reato, abusi, illegittimità e, in generale, atti assunti in violazioni di leggi, in modo tale che chi scelga di intraprendere questa strada non debba mettere minimamente in conto di rimetterci la serenità della propria esistenza personale, familiare e professionale.
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[1] Nel mese di febbraio del 2014, la redazione del quotidiano “Pagina 99” si è rivolta all’Accademia della Crusca per avere un parere su come tradurre in italiano il termine inglese whistleblower. La risposta è stata la seguente: il termine inglese opaco e di ostica pronuncia “whistleblower”, letteralmente “soffiatore nel fischietto”, al momento, nel lessico italiano non trova una parola semanticamente equivalente al termine angloamericano. Manca la parola, ma è innanzitutto il concetto designato ad essere poco familiare presso l’opinione pubblica italiana. L’assenza di un traducente adeguato è, in effetti, il riflesso linguistico della mancanza, all’interno del contesto socio-culturale italiano, di un riconoscimento stabile della “cosa” a cui la parola fa riferimento. Infatti, per ragioni storiche, socio-politiche, culturali – che qui non è il caso di discutere – in Italia, ciò che la parola whistleblower designa non è stato oggetto di attenzione specifica, riflessione teorica o dibattito pubblico, almeno fino a tempi recentissimi.
[2] Tra i tanti: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/29/crotone-funzionaria-inps-si-autodenuncia-da-5-anni-sono-pagata-per-non-far-nulla-la-dirigente-non-ha-titoli-puniscono-me/3982738/; https://www.corrieredellacalabria.it/politica/item/64418-in-parlamento-il-caso-della-funzionaria-inps-pagata-per-non-fare-nulla/; https://www.fanpage.it/crotone-funzionaria-inps-ammette-in-tribunale-io-pagata-da-5-anni-per-non-fare-nulla/; https://www.iene.mediaset.it/2018/news/inps-arcuri-sospesa-lavoro-concorso-dirigente-infante_149659.shtml; https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/13/inps-la-dirigente-senza-concorso-resta-e-prende-10mila-euro-al-mese-chi-lha-scoperta-viene-sospesa-senza-stipendio/4486816/.
[3] Solo recentemente, nel mese di luglio 2018, alla Arcuri è stata inflitta una sanzione disciplinare di 45 giorni di sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per “dichiarazioni non autorizzate alla stampa, per essersi sottratta a compiti che non riteneva conformi alla sua qualifica e in ultimo per la mancata comunicazione di un procedimento penale a suo carico innescato da una vecchia questione condominiale”. Fonte: articoli e pubblicazioni richiamati alla nota n. 2.
[4] Si veda l’articolo disponibile al seguente link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/03/inps-stipendia-per-7-anni-la-dirigente-senza-titoli-e-punisce-chi-ha-denunciato-ora-cambia-idea-costretta-a-rimuoverla/4465224/.
[5] Articolo disponibile al seguente link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/19/cucchi-il-carabiniere-che-denuncio-colleghi-trasferito-e-demansionato-dopo-aver-testimoniato-aula-scandaloso/4438261/.
[6] Articolo disponibile al seguente link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/27/molestie-carabiniere-denuncio-superiore-poi-condannato-lo-racconta-in-tv-arma-apre-procedimento-disciplinare-su-di-lei/4256438/.
[7]Articolo disponibile al seguente link: http://www.repubblica.it/economia/2015/08/10/news/cisl_scoppia_il_caso_dei_mega-stipendi_dirigente_li_denuncia_ma_verra_espulso-120720595/.
[8] Articolo disponibile al seguente link: https://it.blastingnews.com/lavoro/2015/10/una-docente-denuncia-il-suo-rapporto-difficile-col-preside-della-sua-scuola-00620953.html.
[9] Articolo disponibile al seguente link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/25/agenzia-dogane-gli-indagati-per-truffa-in-concorso-tutti-promossi-soltanto-chi-denuncia-viene-escluso-dalle-graduatorie/4448756/.
[10] Articolo disponibile al seguente link: https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/concorso-dogane-tre-minuti-per-correggere-una-prova/.
[11] Articolo disponibile al seguente link: http://www.rai.it/dl/Report/extra/ContentItem-08a93c87-bd96-4453-98ee-2618b24508e4.html.
[12] A tal riguardo si segnala che la Corte di Cassazione, nella prima sentenza sul whistleblowing successiva all’entrata in vigore della legge 30 novembre 2017, n. 179, ha stabilito che “la tutela della riservatezza dell’identità del segnalante non è assoluta in quanto, nell’ambito di un procedimento penale, trovano applicazione le norme previste dal codice di rito in tema di segreto, mentre, in un eventuale procedimento disciplinare, sebbene l’anonimato sia garantito dalla novella legislativa, esso può cadere qualora la conoscenza dell’identità del segnalante sia assolutamente necessaria per la difesa dell’accusato.” (Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 9041/18; depositata il 27 febbraio).
[13] Prova né è il primo caso di licenziamento in applicazione del Whistleblowing applicato ad una dipendente del Comune di Roma che era stata segnalata anonimamente da una collega che l’accusava di assentarsi dal lavoro dopo aver timbrato il cartellino. Dopo la denuncia la dipendente è stata pedinata e vista timbrare il cartellino per poi lasciare il posto di lavoro diverse volte. Approfondimento disponibile al seguente link: http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2017/11/20/ASQ0IHyK-whistleblowing_licenziata_campidoglio.shtml
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