Avvocati: quando è dovuta l’Irap?
In base a quanto stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera c) del d.lgs. 446/1997, gli avvocati/praticanti, che svolgono attività professionale in forma autonoma o associata rientrano tra i soggetti passivi dell’Imposta regionale sulle Attività produttive istituita in quanto rientrano fra “le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’articolo 5, comma 3, del predetto TUIR esercenti arti e professioni di cui all’articolo 49, comma 1, del medesimo testo unico”.
L’art. 3 titolato “soggetti passivi” deve però essere letto in combinato con il precedente art. 2, comma 1 della norma, titolato “presupposto dell’imposta” che recita: “Presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta”.
Se dunque è vero che in linea generale l’avvocato/praticante rientra – quale persona fisica esercente in forma abituale una libera professione diretta alla produzione di servizi – fra i soggetti passivi dell’imposta, è pur vero che per l’effettivo assoggettamento all’imposta deve essere verificata – con riferimento al singolo caso – la sussistenza della autonoma organizzazione di tale attività, soprattutto quando la stessa è gestita, come spesso accade nei piccoli studi professionali, con un minimo apporto di beni strumentali, senza dipendenti e/o collaboratori o con un solo dipendente addetto alle attività di segreteria.
Proprio per questo, l’effettivo assoggettamento all’imposta del reddito di lavoro autonomo prodotto da un avvocato/praticante è stato oggetto di profondi dubbi, dal momento che l’attività professionale svolta in forma individuale non sembra sempre configurare “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”, presupposto impositivo dell’imposta.
Dalla lettera della norma si evince infatti che per l’applicazione dell’imposta debbono coesistere tre presupposti:
1) esercizio abituale di un’attività;
2) finalità dell’attività rappresentata dalla produzione di beni o prestazione di servizi;
3) esistenza di un’organizzazione, per di più autonoma, che possa consentire lo svolgimento dell’attività, e la produzione di ricavi, anche indipendentemente dalla presenza del titolare.
I presenti contributi sono tratti da
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Orientamenti giurisprudenziali
La Corte Costituzionale è intervenuta nella materia per la prima volta nel 2001, con sentenza 21 maggio 2001, n. 156, dichiarando che l’imposta non è applicabile nei confronti dei professionisti che esercitino la propria attività in assenza di elementi di organizzazione. La Corte precisa che “mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o di lavoro altrui”. Su questo presupposto, la Corte afferma che “l’attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione – il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto – risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, … con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa”.
Successivamente, anche la Corte di Cassazione ha affermato che “l’imposta non risulta applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il contribuente costituiscano un mero ausilio della sua attività personale” (Cass., sez. trib., 8 febbraio 2007, n. 3672; Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3674).
Con numerosi interventi, (Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3678, Cass. 3672/2007, Cass. n. 5003/2007, Cass. n. 13570/2007, Cass. n. 8360/2008, Cass. n. 2715/2008) la Corte ha sostenuto che “il requisito organizzativo rilevante,il cui accertamento spetta al giudice di merito, sussiste quando il contribuente, che sia responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture riferibili alla responsabilità altrui, eserciti l’attività di lavoro autonomo con l’impiego di beni strumentali, eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività auto organizzata per il solo lavoro personale, oppure si avvalga, in modo non occasionale, del lavoro altrui”. Anche in questi casi dunque, la Corte ha decisamente escluso l’applicazione dell’imposta ai “piccoli professionisti” e ribadito l’assoggettamento all’imposta esclusivamente per i professionisti con struttura più organizzata, che vengono identificati con i casi in cui il professionista:
– è responsabile dell’organizzazione;
– non è inserito in strutture organizzative riferibili a responsabilità e interessi altrui;
– impiega beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione o si avvale in modo non occasionale di lavoro altrui.
A distanza ormai di 17 anni dal primo intervento della Corte Costituzionale, possiamo considerare assolutamente minoritario l’orientamento contrario, da sempre sostenuto dall’Amministrazione finanziaria e ribadito nella direttiva dell’Agenzia delle Entrate 11 giugno 2014, n. 4.
Da questa analisi emerge come l’accertamento della sussistenza del requisito di assoggettabilità all’imposta spetti al giudice di merito con riferimento al singolo caso.
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