Invio di newsletter, previo consenso libero e specifico
Sì all’invio di newsletter da parte del gestore del sito, purché quest’ultimo utilizzi dati personali per somministrare o far somministrare informazioni pubblicitarie a colui che abbia effettivamente manifestato la volontà di riceverle. In altri termini, il nostro ordinamento non vieta lo scambio di dati personali per le finalità suindicate, ma esige che lo stesso sia frutto di un consenso pieno ed in nessun modo coartato.
Effetti del consenso da indicare con completezza, nella stessa pagina
L’interessato deve essere posto in condizioni di raffigurarsi, con certezza ed in maniera inequivocabile, gli effetti del consenso prestato al trattamento dei suoi dati. Ed è da escludere che il consenso possa ritenersi specificamente e liberamente prestato, laddove gli effetti del consenso stesso non siano indicati con completezza accanto ad una specifica “spunta” apposta sulla relativa casella di una pagina Web, ma siano invece descritti -come nel caso qui esaminato – in altra pagina Web linkata alla prima, per cui non vi sia alcuna contezza che l’interessato abbia consultato detta altra pagina (apponendo qui una diversa spunta per il consenso).
Consenso specificamente riferito ad un trattamento individuato
E’ inoltre evidente che il consenso, per essere specifico, non possa riferirsi genericamente a dei non meglio identificati messaggi pubblicitari; sicché ad esempio – tornando al caso de quo – colui che abbia chiesto di fruire di un servizio di informazione giuridico-fiscale, non deve poi vedersi raggiunto da pubblicità di servizi o prodotti non attinenti alle ricerche effettuate. E’ allora necessario che il consenso sia riferito ad un trattamento chiaramente individuato, il che comporta la necessità di indicare dei settori merceologici o dei servizi a cui i messaggi pubblicitari saranno riferiti. Il tutto specie grazie al GDPR entrato in vigore lo scorso 25 maggio 2018.
E’ quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, con sentenza n. 17278 del 2 luglio 2018, accogliendo il ricorso dell’Autorità Garante della Privacy. Quest’ultima aveva adottato un provvedimento con cui aveva sancito l’illiceità del trattamento dati effettuato da una s.r.l. per finalità promozionali, in assenza di previo consenso libero e specifico dei soggetti interessati e dunque in violazione del Codice privacy. Il provvedimento veniva impugnato dalla società cui era stato contestato, e l’impugnazione accolta dai giudici di merito. L’Autorità si rivolgeva dunque in Cassazione, ottenendo questa volta ragione.
Il principio di diritto
I Giudici Supremi, in particolare, sintetizzano le loro argomentazioni enunciando il seguente principio di diritto: in tema di consenso al trattamento dei dati personali, la previsione dell’art. 23 Codice privacy – secondo cui il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in relazione ad un trattamento chiaramente individuato – consente al gestore di un sito internet, il quale somministri un servizio fungibile (nella specie un servizio di newsletter su tematiche legate alla finanza, al fisco, al lavoro e al diritto) di condizionare la fornitura del servizio al trattamento dei dati per finalità pubblicitarie. Ciò, sempre che il consenso sia inequivocabilmente prestato in ordine a tale effetto; il che comporta altresì la necessità di indicare dei settori merceologici a cui i messaggi pubblicitari vadano riferiti.
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