Ritenere infondate le pretese di controparte è un giustificato motivo per non aderire alla mediazione?

Fin dall’entrata in vigore del d.lgs. 28/2010, la procedura di Mediazione si è scontrata con il pregiudizio, da parte di alcuni soggetti (quali a titolo esemplificativo Compagnie Assicurative, Banche ed Enti Pubblici) rispetto a tutti gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, tra cui la Mediazione.
A priori, vengono infatti poste spesso in atto strategie difensive ostruzionistiche quali, ad esempio, la mancata partecipazione al procedimento; ciò anche a seguito della stabilizzazione dell’istituto avvenuta con il decreto legge 50/2017, convertito nella legge 96/2017.
Non è facile comprendere quali siano le ragioni sottese a tale atteggiamento: probabilmente si tratta di una riserva culturale, verso uno strumento di ADR che consente un confronto immediato, su un piano di assoluta parità, tra parti aventi storicamente e socialmente peso e potere diversi.
Ragioni ancor più incomprensibili alla luce dell’art. 8, comma 4 bis, del già richiamato decreto, ove si prevede che dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, il Giudice può desumere argomenti di prova, nonché condannare la parte al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Non solo: l’art. 8, comma 1, garantisce come, nel corso del primo incontro, alle parti e ai difensori siano fornite tutte le informazioni finalizzate a consentire loro di decidere con maggiore consapevolezza se intraprendere la Mediazione.
Il contesto di riunione, nell’ambito della Mediazione, rappresenta uno dei pochi luoghi in cui le parti possono discutere ad “armi pari”, alla presenza di un terzo indipendente ed imparziale.
La partecipazione di grandi organizzazioni, come banche o assicurazioni, così come degli Enti pubblici rappresenterebbe, per tutti i chiamati, una grande opportunità. Tuttavia frequentemente, si presentano al primo incontro al solo fine di chiedere al Mediatore di verbalizzare la loro volontà di non proseguire nella procedura “pretendendo” che vengano altresì verbalizzate le motivazioni della loro decisione: tali richieste di verbalizzazione conducono ad una strumentalizzazione e processualizzazione della procedura, snaturalizzandola.
I pregiudizi nei confronti della procedura, unitamente al tentativo di processualizzarla hanno condotto alla formazione di prassi contra legem: si pensi, ad esempio, all’accettazione da parte del Mediatore acché le parti invitate, pur non aderendo alla procedura, verbalizzino i motivi della mancata adesione, con successiva chiusura della procedura con un verbale di mancato accordo.
Come già evidenziato, la parte chiamata in mediazione può scegliere se partecipare o meno al primo incontro ma, nel caso in cui decida di non partecipare senza giustificare la propria decisione, oppure nel successivo giudizio la giustificazione addotta non sia valutata in senso positivo dal giudice, il suo comportamento potrebbe farla incorrere nelle già sopra richiamate sanzioni previste dall’articolo 8, comma 4 bis.
Sul punto, merita di essere commentata la sentenza del 10 marzo 2017 emessa dal Tribunale di Verona, giudice Dott. Vaccari, che con attenzione e rigore, applica proprio il principio richiamato nella predetta norma. Si tratta di una pronuncia di rilevante importanza, atteso che si colloca nell’alveo di decisioni di merito e, come vedremo infra, anche di legittimità, che sempre più di frequente fanno applicazione dell’art. 8, comma 4 bis, d.lgs. 28/2010.
Nel merito, la causa origina dalla domanda proposta da due soggetti privati nei confronti di un Istituto di credito, volta ad ottenere la restituzione di somme indebitamente imputate al cliente nel corso di un rapporto di conto corrente. La Banca, pur essendosi costituita in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree, non ha partecipato alla procedura di Mediazione c.d. delegata, di cui il Giudice aveva disposto l’esperimento, senza addurre un giustificato motivo.
Il Giudice, pur ritenendo non accoglibile la domanda attorea, correttamente applica l’art. 8, comma, 4 bis, d.lgs. 28/2010 e condanna l’istituto bancario a corrispondere all’entrata del bilancio dello Stato la somma pari al contributo unificato, atteso che la mancata partecipazione al procedimento di mediazione.
In particolare, il Dott. Vaccari afferma che l’unica giustificazione addotta dalla Banca e comunicata all’Organismo di mediazione incaricato (ossia l’infondatezza delle pretese di controparte) non possa rientrare nell’ambito del giustificato motivo, tale da consentire di non partecipare al procedimento di Mediazione.
Infine, giova rammentare come la Corte di Cassazione, espressasi sull’art. 8, comma 4 bis, d.lgs. 28/2010 nel scorso mese di gennaio, evidenzia come tale norma fornisce al Giudice “uno speciale potere sanzionatorio, a fronte della diserzione dall’incontro programmato avanti all’organismo di mediazione da parte dei contendenti che si siano costituiti in giudizio. Trattasi, in particolare, osserva il giudice di legittimità, di un potere officioso che deve essere esercitato obbligatoriamente – l’espressione “condanna” non lascia spazio a dubbi in proposito – in presenza della condizione legittimante individuata dalla norma: la mancata partecipazione al procedimento di mediazione”.
La Suprema Corte ritiene inammissibile il ricorso per cassazione proposto contro il provvedimento con cui il Giudice di merito, rilevata la mancata partecipazione al procedimento di Mediazione di una parte – anche in quel caso una Banca – l’ha condannata al versamento all’entrata del bilancio dello Stato all’importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Da tali pronunce non discendono soltanto gli importanti principi ivi enunciati, quanto una considerazione di carattere più generale: l’atteggiamento di una parte, anche se ritenuta contrattualmente più forte, di non intervenire in mediazione, senza un giustificato motivo, sarà poi sanzionato dall’Autorità giudiziaria, anche nell’ipotesi in cui, nel merito, le sue difese trovino accoglimento.
Ancora una volta, la magistratura è intervenuta censurando condotte poste in essere per strumentalizzare un istituto, quale quello della mediazione, che è e deve restare cosa diversa dal giudizio e che, in ogni caso, non può e non deve seguire le norme di diritto processuale.
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